SE FOSSI NATO IN CECENIA

di Adriano SOFRI

Che cosa dire, come dirlo, per far sì che le persone vogliano figurarsi che cosa succede in Cecenia? Che vi si immedesimino per un momento, e se ne spaventino a morte?
La Cecenia è grande come l’Abruzzo e il Molise. Prima delle due guerre dell’ultimo decennio, aveva più o meno un milione di persone. Sono morte fra un quinto e un quarto. In percentuale, è come se fossero morte nell’Abruzzo e nel Molise 350-450 mila persone. Oppure, se in Italia negli ultimi dieci anni fossero venute due guerre come quelle russe in Cecenia, in proporzione sarebbero morte 13 milioni di persone circa, e una ventina di milioni sarebbero andati profughi all’estero.
Io compirò 62 anni l’estate prossima. Se fossi nato in Cecenia, invece che in Italia, sarei stato deportato in Kazakistan con tutta la mia nazione, il 23 febbraio del 1944. Avrei viaggiato in un treno bestiame, a un anno e mezzo, con un fratello di sette anni. Uno su tre morì in quel viaggio. Dunque se fossi stato deportato coi miei genitori almeno uno di noi quattro sarebbe morto. Se fossi morto io -il più debole- e fossero sopravvissuti i miei genitori, la mia cara sorella, che ha tre anni meno di me, sarebbe nata in Kazakistan, e avrebbe visto il cielo del Caucaso solo dopo aver compiuto dodici anni. Però a questo punto almeno un altro membro della mia famiglia sarebbe morto. Dei figli miei, di mio fratello e di mia sorella, uno su tre sarebbe morto negli ultimi dieci anni.

La Russia ha una popolazione di quasi 150 milioni di persone. È un grande paese, molto triste. Si è saputo in questi giorni che vi muoiono 170 persone per ogni 100 nuovi nati. La speranza di vita media per gli uomini maschi è di 58 anni, di 71 per le donne. In Italia è di 77 anni per i maschi, di 83 per le donne. La Russia occupa con un esercito di centomila armati -ma è arrivata ad averne molte volte di più- una sua (la rivendica come propria, infatti) repubblica di 700.000 abitanti sì e no. È come se l’Italia occupasse il Molise con un esercito italiano di 50.000 armati.
Se fossi nato in Cecenia e non in Italia, il mio cielo sarebbe nero del fumo delle città e dei villaggi bruciati. La mia terra sarebbe nera di fango, petrolio, bombe e cingoli. Rosse di sangue, terra e cielo. Se fosse successo in Italia quello che è successo in Cecenia, non uno dei monumenti che adornano questo paese esisterebbe ancora. Polvere e rovine lo coprirebbero. Niente più Venezia, niente più Roma e Firenze e Palermo. Niente Tiziano nè Michelangelo. Niente Posillipo e lago Maggiore. Le case violate, gli uomini rastrellati e torturati. Chiesto un riscatto ai parenti dei rapiti, solo per riottenerli cadaveri. Donne stuprate e assassinate dai mercenari occupanti, o abbandonate alla vergogna pubblica: e poi uccise dai loro parenti, o ricattate dal cinismo dei signori della guerra per tramutarsi in bombe umane. Dal fango dei campi di profughi, dal fondo delle fosse a cielo aperto in cui vengono gettati, legati fra loro, i prigionieri, chiamerei al soccorso i governanti dei paesi civili. I governanti dei paesi civili esprimerebbero la loro comprensione per la persecuzione genocida di cui sono bersaglio. In nome della guerra al terrorismo, si farebbero complici della guerra terrorista. Desidererei solo di morire, chiederei al mio cielo oscurato la giustizia e la vendetta che la terra mi nega.

Sentii da un vecchio ceceno, uno di quei vecchi caucasici dalla leggendaria longevità -invece sono solo i superstiti di un genocidio- dalla circassa chiara e la sciapka di astrakhan, uno che i giovani additavano
mormorando: «Non sai quanti russi ha ammazzato!», gli sentii dire: «I ceceni sono stati creati da Dio per stare come un moscerino nell’occhio della Russia». Guerriero lui, guerriero il suo moscerino. Noi cittadini non violenti dell’Europa dobbiamo stare come un moscerino non violento nell’occhio dei capi russi, ubriachi della propria brutalità. Il Caucaso è in Europa. L’Europa vi nacque. È lì che l’aquila squarcia ogni giorno le carni del Prometeo incatenato. La Russia perde l’anima in Cecenia. L’Europa vende l’anima alla Russia.
Oggi, a sessant’anni dalla deportazione staliniana di ceceni e ingusci, in tante città del mondo persone manifestano. Dicono che sono venute a conoscenza di quel genocidio, e che vogliono farlo sapere agli altri. E che sono venute a conoscenza del tentato genocidio degli ultimi dieci anni. Che sono scandalizzate da una guerra ripugnante, e da una risposta terrorista disperata e infame. Che la loro Europa si sente responsabile di quel lembo d’Europa. Che soffre e si vergogna per le sofferenze indicibili di quel popolo. Che la gente cecena è al bivio fra un occidente che non è se non l’Europa, e l’oriente distorto del fanatismo islamista. Che la comunità internazionale deve esigere dalla Russia il rispetto per i diritti umani, e per il diritto -e il rispetto di sè; e deve rivendicare una tutela delle Nazioni Unite su una terra e una gente destinate a devastazione umiliazione e morte. Si manifesta per questo a Roma, davanti a Palazzo Chigi, oggi pomeriggio, alle 17,30. Ho seguito lo sciopero della fame di Olivier Dupuis, dura dal 18 gennaio, è arrivato al punto in cui è giusto allarmarsi. Ha ottenuto molto, gli chiedo fermamente di smettere oggi: per la discussione al Parlamento europeo del 26 è già abbastanza scheletrico. Lui sa che, se fosse utile, ci sono altri pronti a dargli il cambio. È importante che i Ds abbiano aderito pienamente alla manifestazione di oggi e ai suoi obiettivi. Andateci, voi che vi opponete alle guerre senza se e ma, e voi che vi opponete alle guerre coi se e coi ma. Là è il fondo del pozzo. Chi si affacci al bordo di quel pozzo, non troverà pretesti per dissentire. Qualcuno ci vada anche per me, per favore. Non esito a chiederlo. Dopo si sentirà meglio.


(l’Unità) articolo pubblicato a pag. 1 del 23 febbraio 2004



Lunedì, 23 febbraio 2004