Nuovo START e dottrina nucleare Usa
Avanti verso il disarmo nucleare . . . anzi no

di Angelo Baracca

Ringraziamo Angelo Baracca, professore di Fisica all'Università di Firenze, grande esperto di questioni nucleari (per contatti: baracca@fi.infn.it) per averci messo a disposizione questo importante contributo sul nuovo trattato START e dottrina nucleare Usa.

Il trattato START ha sicuramente il merito di avere riattivato il dialogo Usa-Russia. Lo START e la nuova strategia nucleare Usa sono passi verso una riduzione della quantità e del ruolo degli armamenti nucleari, ma risultano documenti molto prudenti ed anche ambigui, che mostrano quanto siano ancora lontane le prospettive del disarmo e dell’eliminazione del rischio nucleare. L’obiettivo di fondo rimane il mantenimento e il rafforzamento dell’egemonia militare Usa.

Da Praga a Praga: meno armi nucleari?

C’è voluto più di un anno dalle roboanti dichiarazioni di Obama sulle drastiche riduzioni delle armi nucleari con la prospettiva della loro eliminazione, ribadite nel summit di giugno 2009 con Medvedev, perché vedessero faticosamente la luce (e non per caso simultaneamente) il nuovo trattato START (Strategic Arms Reduction Treaty[1]) e la nuova strategia nucleare statunitense (NPR, Nuclear Posture Review[2]), dopo estenuanti negoziati, ed evidenti contrasti all’interno dell’Amministrazione Usa, e certamente anche nell’establishment russo. Le valutazioni degli esperti e dei politici sono ovviamente divise. Non vi è nessun dubbio che il nuovo START è ben lontano da una prospettiva di disarmo, e la nuova dottrina Usa non elimina in modo categorico la spaventosa eventualità del riscorso a queste armi, anche se si sforza in tutti i modi di esorcizzarla o circoscriverla, con grandi giri di parole che non eliminano però la riserva di fondo: aggravata peraltro dalla persistenza di situazioni regionali nelle quali una guerra nucleare non appare purtroppo un’eventualità remota (basti pensare all’Asia meridionale e al Medio Oriente). Si può sostenere con buona ragione che non era questo, e in questo momento politico, lo scopo dei due documenti. Le decisioni dell’Amministrazione Obama sono gravate da pesantissimi condizionamenti nell’ambito dell’establishment, del Pentagono, e del complesso militare industriale. Quantomeno si deve riconoscere a queste decisioni il merito di avere sbloccato il dialogo diretto tra Washington e Mosca, ed avere per lo meno riportato il problema degli armamenti nucleari nell’agenda politica, dalla quale erano stati esclusi per molti anni. Ma non si deve dimenticare mai che il disarmo nucleare è un impegno che le grandi potenze hanno sottoscritto quarant’anni fa, con l’Art. VI del Trattato di Non Proliferazione (TNP), e non hanno mai mantenuto; che dal 1996 la Corte Internazionale di Giustizia ha espresso il parere che l’uso o la minaccia delle armi nucleari viola il diritto internazionale e umanitario; e soprattutto che finché ci saranno armi nucleari non avremo la garanzia assoluta che non verranno usate (altrimenti perché non eliminarle!): esse sono le più potenti armi di distruzione di massa, e provocherebbero un numero inaccettabile di vittime civili innocenti! Il disarmo nucleare completo e controllato è un impegno categorico che i potenti della Terra hanno verso l’umanità intera, e nessun motivo politico potrà mai giustificare il fatto che questo impegno non sia stato mantenuto. Nessun motivo politico giustificherebbe il ricorso alle armi nucleari, mai!

Individuerei così i tre elementi di fondo che ispirano la strategia di Washington:

? qualsiasi decisione deve essere subordinata ad assicurare, sempre e comunque, il mantenimento (e rafforzamento) dell’egemonia militare degli Stati Uniti;

? questa esigenza rimane incompatibile con l’eliminazione degli armamenti nucleari, e con la possibilità, per quanto residuale e remota, del loro uso (altrimenti perché mantenerli?); anche se si sottolinea la necessità – anch’essa allarmante – di potenziare gli armamenti convenzionali!

? gli Stati Uniti si arrogano il diritto assoluto e indiscutibile di giudicare sia la necessità degli armamenti nucleari e del loro eventuale uso, sia quali siano i paesi che violano il regime di non proliferazione e possano pertanto essere i possibili bersagli.

Per questo ritengo necessario analizzare il nuovo START alla luce della NPR statunitense, e soprattutto di una premessa di fondo.

Il grande problema a monte: lo scudo antimissili – Il convitato di pietra:

Ho già espresso in varie occasioni la convinzione che per una valutazione complessiva si debba tenere conto della rivoluzione che il sistema militare sta subendo con l’introduzione del sistema di difese antimissile che gli Usa (e non solo) stanno sviluppando, e che è stato con tutta evidenza (e rimarrà) il punto del contendere tra i due paesi. Questo sistema[3] costituisce un enorme salto militare, paragonabile a quello che avvenne con lo sviluppo dei missili balistici al posto (o meglio in aggiunta) ai bombardieri strategici: qualora un sistema integrato e articolato di intercettazione di questo tipo funzioni (e non è affatto detto, al 100 %, ma comunque un avversario non può confidare sulle sue manchevolezze: il salto è fatto e diviene irreversibile, e gli interessi economici sono colossali), il paese che lo detenga acquista almeno sulla carta una superiorità determinante, divenendo potenzialmente invulnerabile ad un attacco, e libero quindi di sferrare un primo colpo ovunque. I russi l’hanno capito molto bene e ne hanno una paura terribile: per un anno hanno insistito, inutilmente, per ottenere delle garanzie e degli impegni, anche nel testo della START.

Il punto a mio avviso cruciale per valutare eventuali riduzioni nella quantità e nel ruolo degli armamenti nucleari è che il nuovo sistema militare che si sta realizzando, basato sulle difese antimissili, potrebbe essere compatibile con (o necessitare di) un numero molto minore di testate nucleari, configurando peraltro un nuovo sistema offensivo più efficace e pericoloso. Io ho il sospetto che possano essere stati i russi ad opporsi a maggiori riduzioni dell’arsenale strategico, la cui consistenza rimane il maggior punto di forza in presenza di un sistema di difese antimissile dell’avversario. Il ministro degli esteri Lavrov ha infatti sottolineato che Mosca si riserva di uscire dal trattato qualora veda la propria sicurezza minacciata dai futuri sviluppi di queste difese.

Il nuovo START: un passo avanti . . . anzi no

Sulle riduzioni quantitative delle testate previste dal nuovo START bisogna fare delle precisazioni, ed avanzare qualche riserva.

Le disposizioni formali del trattato

Il trattato pone come limiti (da raggiungere, si badi, per il 2017!) 1.550 testate strategiche per parte, e 700 vettori (missili, sommergibili e bombardieri), più altri 100 consentiti di riserva (!). Certo, 1.550 testate (ma perché non 1.500?! Bizantinismi la cui origine sfugge al senso comune) sono  un po’ meno delle 1.700-2.200 previste (ma per il 2012!) dal trattato SORT del 2002 [4]. Ma in primo luogo, a che cosa riferiamo le riduzioni? Le testate che ancora esistono nei due paesi sono più di 20.000, anche se “solo” circa un quarto nell’arsenale operativo: quando queste 5.000 testate strategiche operative si ridurranno a 3.100 (entro il 2017!), potrebbero rimanerne comunque più di 17.000, visto che non vi è obbligo di smantellare le testate rimosse! Di queste circa 2.500 sono testate tattiche o non-strategiche (di cui 4/5 russe), che il trattato (riguardante le sole armi strategiche) non prende nemmeno in considerazione: su queste ritorneremo. Ma vi sono migliaia di testate strategiche di riserva: la NPR ne parla ripetutamente, riferendosi a una “protezione (hedge) contro sorprese tecniche o geopolitiche” (NPR[5], Executive Summary pp. vi, xi; testo pp. 7, 25, 30, 38, 39): ne vedremo immediatamente le implicazioni.

Conteggi “fasulli”, testate che vanno e vengono: i veri limiti degli arsenali per il 2017

Ma . . . c’è un ma, anzi due. Come ha messo in evidenza autorevolmente Hans Kristensen, della Federation of American Scientists (http://www.fas.org/blog/ssp/2010/03/newstart.php), il nuovo START limita il limite legale, ma non il numero delle testate! Il “trucco” sta nel fatto che il trattato introduce un nuovo metodo di conteggio, contando un bombardiere come una testata, mentre i bombardieri americani e russi ne possono portare da 6 a 20 (non era così per il SORT; ma ora Mosca ha rifiutato ispezioni in situ nei bunker delle proprie basi aeree). Nelle basi aeree verrà conteggiato il numero di  bombardieri e non il numero delle testate, che può rimanere molto superiore: nel 2017 quindi le testate operative in ciascuno dei due paesi potranno superare il numero di 2.000 che era imposto (per il 2012) dal SORT! Se si applicassero le nuove regole di conteggio agli arsenali attuali, gli Usa schiererebbero solo 1.650 testate strategiche, non le attuali 2.100, e la Russia 1.740, invece delle attuali 2.600; cioè si “occulterebbero” circa 450 e 860 testate, per un totale di 1.310, più di tutte le testate degli altri paesi nucleari sommate insieme!

Ma questo conteggio “fasullo” (fake) ha in realtà una duplice conseguenza, come spiega Kristensen. Da un lato, infatti, Mosca si è opposta a maggiori restrizioni nel numero delle testate per conservare qualche grado di parità con Washington, e lo ha ottenuto con questo conteggio “fasullo” delle testate dei bombardieri: nel 2017 potrà schierare un numero maggiore di testate strategiche sui propri missili balistici di quante ne consente il SORT, anche se probabilmente non lo farà a causa del ritiro dei vecchi sistemi; ma potrà proseguire tutti i programmi di modernizzazione delle forze nucleari.

 Dall’altro, gli Usa si sono riservati la possibilità di “upload” i propri missili, cioè di aumentare il carico di testate sui missili. Qui entrano in gioco le testate di riserva (hedge), che come abbiamo ricordato costituiscono ancora una fetta consistente degli arsenali: si tratta di testate rimosse dai missili a testata multipla in seguito alle riduzioni imposte dai trattati, ma non smantellate. L’upload consiste nel riportare delle testate dalla riserva nuovamente sui missili. La Russia ha migliaia di testate immagazzinate, ma quasi tutti i suoi missili sono caricati quasi alla massima capacità, per cui ha capacità molto limitate di upload. Al contrario gli Usa hanno molto spazio vuoto sui loro missili, potenzialmente libero per l’upload di testate prelevate dall’attuale riserva, e da qui al 2017 potrebbero decidere di schierare migliaia di testate (v. fig.). Infatti che la nuova NPR prevede di ridurre la consistenza della riserva, utilizzandola in questo modo: “Gli Usa, mentre ridurranno in modo significativo la dimensione della hedge tecnica complessiva, manterranno la capacità di ‘upload’ delle testate nucleari come hedge tecnica contro qualsiasi problema futuro relativo ai vettori o alle testate Usa,o in seguito a un deterioramento fondamentale dell’ambiente della sicurezza. Per esempio, se ci fosse un problema con un tipo specifico di testata ICBM, potrebbe essere messa fuori servizio e sostituita con testate da un altro tipo di testate ICBM, e/o testate nucleari potrebbero venire uploaded agli SLBM e/o i bombardieri.” (p. 22); “Si dovranno mantenere delle capacità di ‘upload’ testate nucleari non schierate sui vettori esistenti come hedge contro sorprese tecniche o geopolitiche. Verrà data la preferenza alla capacità di upload per i bombardieri e i sottomarini strategici” (p. 25).

Dopo la ratifica dello START (uno dei problemi cruciali, v. oltre) il SORT decadrà: mentre il nuovo START ha validità 10 anni (quindi solo 3 anni dopo che sarà giunto a regime, nel 2017).

Un aspetto importante è che il nuovo trattato include delle verifiche (pur con i limiti citati), per i prossimi 10 anni, con procedure semplificate: 18 ispezioni in situ per parte ogni anno, e un numero limitato di scambi di dati telemetrici dei test missilistici.

 

Estimated U.S. and Russian Strategic Warheads, 2017

Sebbene il nuovo trattato START riduca il limite per le testate strategiche schierate, una regola di conteggio “fasullo” delle testate dei bombardieri consente ad entrambi i paesi di continuare a schierare altrettante testate come per il Trattato di Mosca. Un limite alto di carica per i vettori assicura una significativa capacità ulteriore di carica per gli Usa, mentre la Russia non ne avrà essenzialmente nessuna (benché abbia migliaia di testate extra immagazzinate, tutti i missili schierati dovrebbero essere già caricati alla capacità massima). Decisioni future sulla struttura delle forze nucleari potrebbero modificare il numero esatto, ma questo grafico illustra il paradosso.

[FONTE: Federation of American Scientists, http://www.fas.org/blog/ssp/2010/03/newstart.php]

 

La NPR dell’Amministrazione Obama: un ruolo minore delle armi nucleari . . . a meno che non siano destinate a voi!

Ma è necessario, come dicevo, coniugare l’analisi con quella della nuova NPR statunitense, che non a caso non è uscita subito prima dell’accordo raggiunto per lo START. Essa segna certamente un punto di svolta rispetto alla strategia di Bush, ma i commentatori più attenti la giudicano molto prudente, ed anche ambigua e contraddittoria (forse anche come risultato dei contrasti interni). Il commento generale di Hans Kristensen, uno degli analisti più autorevoli ed equilibrati ma decisamente disarmista, è che “la nuova NPR appare un documento sorprendente cauto che raccomanda di ridurre ulteriormente la posizione nucleare Usa nel futuro, ma per ora conserva molto delle strutture delle forze nucleari chiave e degli elementi politici delle amministrazioni precedenti”. Vi ricordate il Don Giovanni? “Vorrei e non vorrei”! La netta impressione che traggo dall’analisi accurata di questo documento è che nell’establishment politico e militare statunitense rimanga irrimediabilmente radicato il pregiudizio, nella migliore delle ipotesi aprioristico nella peggiore strumentale, che gli armamenti nucleari siano necessari, e che non ci si debba precludere l’opzione, per quanto remota (ma quanto?) del loro uso.

Contro i terroristi (quali?) servono davvero le armi nucleari?

Le prime perplessità sorgono già nella premessa del documento, secondo cui, rispetto ai decenni passati, i nuovi rischi da affrontare oggi sono i terroristi e i regimi ostili. “La minaccia di guerra nucleare globale è divenuta remota, ma il rischio di un attacco nucleare è cresciuto. . . . il pericolo più immediato ed estremo oggi è il terrorismo nucleare” (pp. iv, 3). Le riserve su queste affermazioni (che Obama va ripetendo come un mantra) sono varie: dalla gratuità dell’affermazione che il rischio di un attacco nucleare sia cresciuto, all’uso sempre generico del termine “terrorismo”, attribuito a discrezione degli Stati Uniti, per cui non è terrorista Israele (né ovviamente gli Usa e la NATO in Afghanistan), senza considerare chi, come e perché abbia generato ed esasperato il terrorismo. Ma la domanda di fondo è: davvero gli Usa hanno bisogno di migliaia di testate nucleari per proteggersi dai terroristi? O dai regimi che vengono considerati tali? Come verrebbero contrastati, concretamente, i terroristi nucleari con la minaccia, o l’uso di armi nucleari? Queste armi che, ripetiamolo, hanno un potere distruttivo incomparabile, e provocherebbero sempre migliaia, o più, di vittime innocenti. Questi dubbi sono rafforzati dalle misure concrete elencate per prevenire questo pericolo: nessuna di esse implica infatti in alcun modo un ruolo concreto, una necessità delle armi nucleari! Tali misure sono infatti (p. vi-vii, 9-13):

• “invertire le ambizioni nucleari della Corea del Nord e dell’Iran”;

• “rafforzare il ruolo della IAEA”;

• “creare conseguenze per chi viola” il regime di non proliferazione (sottinteso: a giudizio discrezionale di Washington; di nuovo, Israele o il Brasile[6] non lo violano, altri si);

• “rendere sicuri tutti i materiali nucleari vulnerabili nel mondo entro quattro anni” (obiettivo in se lodevole, che Obama ha perseguito con il Nuclear Security Summit del 12-13 aprile, vi torneremo);

• ratificare del nuovo START (v. oltre) e del CTBT[7] e negoziare (sarebbe ora! Ma chi non lo ha voluto fino ad oggi?) del FMCT[8] (Fissile Material Cutoff Treaty);

• “impedire il commercio nucleare sensibile” (ma allora il trattato commerciale in materia nucleare con l’India?);

• “promuovere gli usi pacifici dell’energia nucleare senza aumentare i rischi di proliferazione”: e questa sarebbe veramente la quadratura del cerchio, basti pensare a cosa ha fatto la Corea del Nord; ai rischi del combustibile misto nucleare uranio-plutonio (Mox); e vedremo se Obama, in ulteriore ossequio alla lobby nucleare (e alle pressioni degli oppositori della ratifica del nuovo START, v. oltre), attiverà nuovamente dopo più di 30 anni il ritrattamento del combustibile irraggiato.

• “mettere al sicuro ed eliminare le armi di distruzione di massa e i loro vettori”;

• “rafforzare le capacità di rivelare ed interdire le sottrazioni di materiali nucleari”.

Qualcuno riesce a vedere in tutto ciò qualche ruolo, o la pur minima necessità degli armamenti nucleari? Se non come idea a priori? Qualcuno pensa davvero che la Corea del Nord (un domani, chissà, l’Iran) sferrerebbero un attacco nucleare agli Usa? Con la garanzia di venire cancellati dalla carta geografica! A questi paesi le armi nucleari servono semmai per non venire attaccati (per questo Israele scalpita per attaccare l’Iran ora, “a prescindere”, come diceva Totò), il solo modo per scoraggiare le loro ambizioni è che gli Stati nucleari eliminino totalmente i loro arsenali! Ma la stessa NPR conferma che ne siamo ben lontani.

«Non attaccheremo con armi nucleari paesi non nucleari» . . . a meno che . . .

La NPR sostiene di volere ridurre il ruolo degli armamenti nucleari. Per valutare questa “volontà” bisogna analizzare attentamente le parole che vengono usate. In primo luogo viene formulata una versione rafforzata della “assicurazione di sicurezza negativa”[9], dichiarando che “gli Stati Uniti non useranno o minacceranno di usare armi nucleari contro stati non nucleari che siano membri del Trattato di Non Proliferazione (TNP) e adempiano i suoi obblighi di non proliferazione nucleare “ (p. 15). Tutto chiaro? Neanche per sogno. Chi stabilisce chi viola il TNP? Elementare Watson! Non lo viola Israele, che al TNP nemmeno ha aderito? Invece “La Corea del Nord e l’Iran hanno violato gli obblighi di non proliferazione” (pp. iv, 3): quando e come, almeno fino ad oggi, lo avrebbe violato l’Iran? Nemmeno la Corea del Nord, a rigore, lo ha violato, poiché prima di sviluppare testate nucleari ha legalmente receduto dal TNP con il preavviso richiesto di tre mesi: senza con questo volere giustificare in alcun modo le sue testate, ma non per questo bisogna riservarsi la possibilità di attaccarlo con armi nucleari! Altrimenti andrebbero attaccati, prima e con maggior ragione, Israele, India e Pakistan.

Segue anche un’ulteriore assicurazione . . . ma sempre con le dovute riserve: qualsiasi stato che rientri nella suddetta Assicurazione di Sicurezza Negativa “che usi armi chimiche o biologiche contro gli Stati Uniti o i suoi alleati o partners è esposto alla prospettiva di una risposta militare convenzionale devastante” (p. 16, corsivo mio), dunque non nucleare. Ma . . . c’è di nuovo un “ma”, che contraddice questo impegno, e sempre a esclusiva discrezione di Washington (mai viene citato neanche l’Onu): “dato il potenziale catastrofico delle armi biologiche e il ritmo rapido di sviluppo della biotecnologia, gli Stati Uniti si riservano il diritto di fare qualsiasi aggiustamento dell’assicurazione che può essere fornita dall’evoluzione e proliferazione della minaccia delle armi biologiche e dalle capacità degli Usa di contrastare quella minaccia” (p. 16, corsivo mio).

E gli altri Stati? Per quelli “che possiedono armi nucleari e quelli che non adempiano gli obblighi di non proliferazione nucleare, rimane una ristretta serie di eventualità in cui le armi nucleari degli Usa possono ancora giocare un ruolo nello scoraggiare (deterring) un attacco convenzionale o con armi chimiche o biologiche contro gli Usa o i suoi alleati e partners” (pp. viii, 16). Ma questo è il fisrt-use nucleare, né più né meno! Malgrado la prudenza e l’ambiguità dei termini, che parlano di deterrenza, senza ricordare esplicitamente l’uso: le possibilità di usare le armi nucleari sono sempre state considerate “ristrette”, o remote, durante la Guerra Fredda si diceva che i giganteschi arsenali servivano ad evitarne l’uso! La frase prosegue: “Gli Usa non sono quindi preparati al momento attuale ad adottare una politica universale che il «solo scopo» delle armi nucleari Usa sia di scoraggiare un attacco nucleare agli Usa e ai nostri alleati e partners” (p. 16). Quale altro scopo dunque, se non il loro uso? Infatti “si riservano il diritto di impiegare (employ) le armi nucleari per scoraggiare attacchi con armi chimiche e biologiche” (p. viii, corsivo mio). La coda di paglia emerge dal bisogno di mettere le mai avanti: “Tuttavia questo non significa che la nostra volontà di usare le armi nucleari contro paesi che non siano coperti dalla nuova assicurazione sia in alcun modo cresciuta. In verità, gli Usa desiderano sottolineare che considererebbero l’uso di armi nucleari solo in circostanze estreme per difendere gli interessi vitali degli Usa o dei suoi alleati e partners” (pp. viii-ix, 16, corsivo mio). Si noti, per difendere gli « interessi vitali» degli Usa, non un attacco al loro territorio! Pur mettendo tutte le mani avanti sulla volontà di “estendere per sempre il non-uso delle armi nucleari”, ma mantenendo comunque questa riserva di fondo che, per quanto remota, non esclude il ricorso alle armi nucleari! Anche in casi in cui non venga direttamente attaccato il territorio statunitense!

Non viene modificato lo stato di allerta degli armamenti nucleari

Il chiodo fisso in tutto il contesto è di mantenere una deterrenza strategica: questa preoccupazione sottende tutti i ragionamenti sul regime degli armamenti nucleari, su possibili riduzioni future,mantenendo sempre la riserva di un possibile passo indietro in cui venga valutato necessario

Una degli aspetti che mi sembrano più gravi è che la NPR dichiaratamente non modifica lo stato di allerta delle testate nucleari strategiche: “La NPR conclude che l’attuale stato di allerta delle forse strategiche Usa – con i bombardieri non in allerta permanente (off full-time alert), quasi tutti gli  ICBM in allerta, ed un numero significativo di SSBN [sommergibili strategici] in navigazione in qualsiasi momento – dovrebbe essere mantenuta” (pp. x, 25-26), perché se lo stato di allerta venisse ridotto, questo “potrebbe ridurre la stabilità in caso di crisi (crisis stability) fornendo a un avversario l’incentivo per attaccare prima che la «rimessa in stato di allerta» (re-alerting) sia completa” (p. 26); “per assicurare una forza di risposta capace di sopravvivere è necessario mantenere continuamente in navigazione degli SSBN sia nell’oceano Atlantico che nel Pacifico, così come la capacità di aggiungerne altri in caso di crisi” (p. 22). Ma dov’è oggi tutto questo rischio di un attacco nucleare di sorpresa verso gli Usa!

Questa decisione perpetua la strategia della Guerra Fredda e mantiene uno dei pericoli più grandi di lancio delle armi nucleari per errore! Molti analisti in questi anni valutavano che per allontanare questo rischio ed abbassare il livello di tensione, il provvedimento più efficace sarebbe di ridurre il livello di allerta delle testate, ancor prima di ridurne il numero.

La NPR è consapevole di questo problema, ed elenca una serie di misure per evitare decisioni affrettate al Presidente, che non appaiono però molto convincenti, o comunque risolutive (p. x):

•  praticare il “puntamento in oceano aperto” (open-ocean targeting) di tutti i missili ICBM e SLBM (c’è da chiedersi come segnalerebbero i satelliti di allarme precoce un lancio improvviso di missili, se nel 1995 confusero un lancio di un razzo meteorologico dalle coste della Norvegia per un missile balistico nucleare lanciato da un sommergibile vicino alle sue coste);

•  “rafforzare i sistemi di comando e controllo per massimizzare il tempo di decisione del Presidente in caso di crisi”;

•  “esplorare nuovi modi per basare gli ICBM che aumentino la sopravvivenza e riducano ulteriormente qualsiasi incentivo per il lancio immediato”.

Può essere importante osservare che Mosca insiste per considerare armi strategiche anche i missili intercontinentali una volta che siano armate con testate convenzionali.

Rafforzare la deterrenza regionale, rassicurare gli alleati; le testate in Europa

Preoccupati della proliferazione nucleari, gli Usa dichiarano di volere “rassicurare gli alleati e i partners non nucleari che i loro interessi di sicurezza possono essere protetti senza loro proprie capacità di deterrenza nucleare”, assicurando un “«ombrello nucleare» Usa credibile” (p. xii). È il caso di chiedersi perché allora non venga per lo meno posto anche il problema della ridondanza, dell’inutilità, degli arsenali nucleari di Londra e di Parigi (per non parlare di quello di Israele).

Ma l’assicurazione di questa “deterrenza regionale” ha anche altre gravi implicazioni. Intanto si riafferma una volta di più che “Le architetture di sicurezza nelle regioni chiave manterranno una dimensione nucleare finché rimangono le minacce agli alleati e ai partners degli Usa” (p. 31): intanto si dovrebbe analizzare quali siano queste minacce agli alleati degli Usa, se non quelle generate dalla stessa politica statunitense e della NATO; e in secondo luogo sarebbe tutto da dimostrare che queste minacce richiedano ancora gli armamenti nucleari. Qui la NPR non manca di citare esplicitamente un punto dolente, “le armi nucleari non-strategiche schierate in avanti (deployed forward) in regioni chiave, e le armi nucleari basate negli Usa che potrebbero venire rapidamente schierate in avanti per affrontare contingenze regionali” (p. xii). È certo singolare, ma non meraviglia più di tanto, che con tutte le preoccupazioni degli Usa per l’osservanza del TNP non sfiori nemmeno il dubbio che “gli accordi unici di compartecipazione nucleare (nuclear sharing) della NATO per i quali i membri non nucleari partecipano alla pianificazione nucleare e possiedono aerei specialmente configurati capaci di trasportare armi nucleari” (p. xii) possano violare il TNP! In ogni caso, sebbene cinque paesi europei della NATO[10] (tra i quali brilla per la sua assenza l’Italia) abbiano chiesto la rimozione delle testate tattiche schierate in Europa, la decisione viene demandata all’Alleanza (pp. xiii, 27), senza nemmeno esprimere una scelta da parte dei proprietari di quelle testate, che sarebbe ora che decidessero senza se e senza ma di riportarsele a casa.

Ma c’è un’affermazione ancora più grave. La NPR ricorda infatti che dopo la fine della Guerra Fredda gli Usa hanno rimosso le armi nucleari che erano schierate nel Pacifico, precisando però che “Da allora hanno fatto affidamento sulle forze strategiche centrali e sulla capacità di schierare nuovamente sistemi nucleari in Asia dell’Est in tempi di crisi“ (p. xiii); idem per il “numero limitato di armi nucleari schierate in avanti in Europa, più un piccolo numero di armi nucleari schierate negli Usa per possibile spiegamento oltreoceano in sostegno alla deterrenza estesa agli alleati e partners in tutto il mondo“ (p. xiii). Quasi a giustificazione si aggiunge che la Russia ha un numero molto più grande di testate non-strategiche “delle quali un numero significativo è schierato vicino ai territori di vari paesi della NATO”: ma è un semplice fatto geografico che la Russia confina con questi paesi, mentre ci si scorda che l’allargamento e la strategia della NATO stringeva l’accerchiamento della Russia ai suoi confini.

Nulla quindi è irreversibile, gli Usa si riservano sempre il diritto di recedere da qualsiasi impegno! In aggiunta, si mette bene in chiaro che gli Usa “continueranno a mantenere e a sviluppare capacità di colpire a grande distanza, che integrano la presenza militare avanzata e rafforzano la deterrenza regionale” (p. xiii).

Bisogna richiamare anche la conferma della decisione di sviluppare il nuovo aereo Joint Stright Fighter F-35 con doppia capacità (pp. 27, 34). Mentre, nel contesto dell’insistenza sulla necessità di rafforzare gli armamenti convenzionali, si insiste nello “sviluppo di capacità rapide di global-strike non nucleare . . . particolarmente utili per sconfiggere minacce regionali improvvise” (p. 34).

Future riduzioni?

Certo, la prospettiva di un mondo senza armi nucleari viene dichiarata, ma con tali riserve e distinguo da lasciare il dubbio che ci perseguita dal 1970: “Gli Usa sono impegnati all’obiettivo di lunga scadenza di un mondo libero da armi nucleari. . . . Molti fattori influenzeranno la consistenza e il ritmo di [future] riduzioni. Primo, qualsiasi riduzione nucleare futura deve continuare a rafforzare la deterrenza di potenziali avversari regionali, la stabilità strategica vis-à-vis Russia e Cina, e l’assicurazione dei nostri alleati e partners. Questo richiederà un accertamento aggiornato delle necessità di deterrenza; ulteriori miglioramenti delle capacità non nucleari . . . ; riduzioni mirate delle armi strategiche e non strategiche . . . garantendo costi inaccettabili [per qualsiasi attacco]” (pp. 29-30), Inoltre, la garanzia dell’efficienza delle testate attuali (v. oltre), nonché il riferimento alla consistenza dell’arsenale russo.

L’aspetto positivo è la volontà di proseguire il dialogo con la Russia in questa direzione, anche se è probabile che questo non avvenga, o non dia risultati concreti, prima della ratifica del trattato dalle due parti, date le difficoltà in agguato (v. oltre).

Armi nucleari «nuove»?

Una dichiarazione piuttosto gratuita è che la Russia e la Cina avrebbero in atto ammodernamenti rilevanti delle loro armi nucleari, a differenza deli Usa: “gli Usa e i vicini asiatici della Cina rimangono preoccupati degli attuali sforzi di modernizzazione militare della Cina, compresa la modernizzazione qualitativa e quantitativa dell’arsenale nucleare (p. v). Affermazioni per lo meno dubbie, dalla Cina non si hanno informazioni dirette, e queste conclusioni sono fornite dall’intelligence Usa, che spesso nel passato ha sopravvalutato i programmi e i progressi di Pekino, che non sembra né attrezzata né interessata ad una proiezione transoceanica[11], ma ha forse l’occhio puntato su Taiwan.

Comunque la NPR dichiara che gli Usa non produrranno armi nucleari nuove, e prevede una serie di procedure (refurbishment of existing warheads, reuse of nuclear components from different warheads, and replacement of nuclear components) per garantire nei decenni futuri l’efficienza delle testate esistenti senza riprendere i test nucleari. La problematica è estremamente complessa, riguardando i processi fisici che avvengono col tempo all’interno delle testate (distinguendo parti nucleari e non nucleari: un totale di circa 6.000 componenti!), le metodologie e i programmi di controllo. Non è il caso di entrare in dettagli in questa sede, anche se si tratta di un aspetto della massima importanza. La denuncia dei rischi di deterioramento dell’arsenale nucleare è uno dei cavalli di battaglia dei Repubblicani, che premono anche per una ripresa della produzione di nuovi pits di plutonio per le testate. I programmi in corso da anni sono lo Stockplie Stewardship Program e il Life Extension Program. Sull’efficacia di queste procedure gli esperti dei laboratori militari hanno posizioni contrastanti[12] (v. anche oltre). E l’assicurazione del mantenimento di un arsenale efficiente è uno dei cavalli di battaglia dei repubblicani: c’è in ballo anche la ratifica del trattato CTBT di messa al bando dei test nucleari, che Mosca giustamente pretende, ma fu bocciata nel 1999 (v. oltre).

La NPR dichiara che “Il Life Extension Program userà solo componenti nucleari basate su progetti testati in precedenza, e non sosterrà nuove missioni militari o nuove capacità militari”. E che verrà data la preferenza alle opzioni di refurbishment (riadattamento) delle testate esistenti, e riuso di componenti nucleari per testate diverse, mentre la terza opzione “la sostituzione (replacement) di componenti nucleari verrebbe fatta solo se obiettivi critici dello non potessero essere raggiunti in altro modo, e se specificamente autorizzati dal Presidente e approvati dal Congresso” (p. xiv): Kristensen commenta criticamente che “Questa politica lascia la porta aperta per ampie modifiche delle testate nucleari – consentirebbe anche la produzione della Reliable Replacement Warhead (RRW), sebbene gli ufficiali insistano che il programma è morto”; “dal mio punto di vista [la sostituzione di componenti da testate diverse e non necessariamente nell’arsenale attuale] secondo la mia definizione costituirebbe una ‘nuova’ testata”.[13]

Tutto questo, insistiamo, se non verranno ripresi i test nucleari (v. oltre). È il caso di sottolineare che l’Amministrazione Obama – in ossequio all’impegno di mantenere l’arsenale efficiente e pronto, ma forse anche per parare troppe resistenze[14] (riforma sanitaria docet) – in febbraio ha presentato al Congresso un budget per il 2011 che richiede un aumento del 13,4 % dei fondi per il complesso nucleare. Il solito discorso: rafforzare l’arsenale per poterlo ridurre!

Si può concludere parafrasando ancora Kristensen: “Sopra tutto, la NPR è un documento politico pragmatico che combina il mantenimento di un forte arsenale, modeste riduzioni delle testate nucleari, sforzi di non proliferazione [personalmente aggiungerei: forti riserve sulla necessità delle armi nucleari, e sulla possibilità del loro uso; tutto a discrezione assoluta degli Usa, cosa che anche Kristensen ammette], ed una visione di un mondo libero da armi nucleari per posizionare l’Amministrazione Obama per il Summit Nucleare di aprile, la Conferenza di Revisione del TNP di maggio, e la ratifica del Nuovo trattato START e del CTBT”.

È dichiarato ufficialmente che solo dopo le suddette ratifiche si potrà riparlare di ulteriori riduzioni, di eliminazione delle armi tattiche e delle riserve: un cammino lunghissimo (sempre che lo sviluppo delle difese antimissili non lo interrompa). Siamo ancora lontanissimi dalla prospettiva di eliminazione totale degli armamenti nucleari (Obama ha dichiarato che non avverrà durante la sua vita), e non è detto che i comandi militari ne abbiano l’intenzione, anche se nel futuro sarà necessario un numero molto minore di testate.

E ora?

Quali sono le prossime scadenze, i prossimi obiettivi e i prossimi scogli?

Le ratifiche dello START (e del CTBT) . . . con qualche scommessa

La ratifica dello START incontrerà varie resistenze nel Congresso USA (forse qualche opposizione anche in Russia), anche se i commentatori sembrano in generale ottimisti. In ogni caso difficilmente visi arriverà entro il presente anno. Inutile dire che il compito sarebbe risultato molto più arduo se il trattato avesse previsto tagli maggiori agli arsenali. I Repubblicani e componenti del Pentagono premono perché vengano realizzati nuovi impianti di produzione di pits di plutonio per testate nucleari, ma un esame accurato mostra che gli Usa non hanno bisogno di test nucleari per mantenere efficiente il loro arsenale[15]. I processi di manutenzione in corso hanno dimostrato che i pits possono durare molto più a lungo (45-60 anni) di quanto si supponesse quando venne bocciata la ratifica del CTBT nel 1999[16]. Anche se l’arsenale attuale non ha i sistemi più recenti che garantiscono insieme le tre condizioni di safety, security[17] (contro furti o usi illeciti) e controllo: “A differenza della safety intrinseca, non esistono nell’arsenale esistente security intrinseca e opzioni di controllo per l’uso, e richiederebbero nuovi progetti (designs)”[18]: ma questi richiederebbero troppo tempo per essere completati, per cui il rapporto consiglia approcci diversi, come la security fisica attorno ai siti nucleari, centralizzazione del loro stoccaggio, nonché toglierli dallo schieramento avanzato (forward deployment). In ogni caso anche il CTBT – si poteva dubitarne? – contempla la clausola di diritto di recesso nel “supremo interesse nazionale”, e la ripresa dei test nucleari!

E varrebbe la pena ricordare una vota di più tutti gli altri programmi di ammodernamento nucleare in corso non solo negli Usa, ma in tutti gli Stati nucleari (nuove classi di sommergibili SSBN, nuovi missili, ecc.): programmi che si proiettano per i prossimi decenni, con investimenti colossali, e che è difficile pensare che possano rientrare o essere cancellati. Un anno fa è stata inaugurata negli Usa la National Ignition Facility, un colossale impianto in cui 192 super-laser dovrebbero innescare la fusione nucleare di un piccolissimo pellet di deuterio e trizio (in Francia è in costruzione Mégajoule, con 240 laser): un impianto militare, del Lawrence Livermore National Laboratory, il cui scopo non è certo (anche se viene doverosamente citato) di fornirci energia illimitata per il futuro, ma di perfezionare le testate nucleari![19] Imprese così colossali perché? . . . Per poi chiuderle, ed eliminare le armi nucleari?

La messa al sicuro dei materiali fissili . . . con qualche problema

Il Summit nucleare convocato da Obama il 12-13 aprile è stato dedicato all’obiettivo di mettere in sicurezza (security) i depositi globali di materiali nucleari entro quattro anni, per metterli al sicuro rispetto a sottrazioni di materiali di interesse militare. Anche qui con più di un’ambiguità, arbitrarietà e parzialità! La prima riguarda ancora e sempre Israele, che ha dato un ulteriore schiaffo ad Obama inviando una delegazione di secondo livello, per evitare qualsiasi rischio che qualcuno volesse portare in discussione il proprio arsenale nucleare. Ma non è stata l’unica. Abbastanza grave anche la parzialità verso l’India, con cui Washington ha stabilito un accordo di fornitura di tecnologia nucleare, ovviamente per uso “civile”, se non fosse che il confine tra usi civili e militari è così aleatorio, e in ogni caso la fornitura di materiali o tecnologie nucleari civili può “liberare” surrettiziamente risorse che l’India può indirizzare a potenziare le sue attività militari (eventualità aggravata dalla recente notizia sulla possibilità che l’India possa attivare quattro impianti di riprocessamento). E senza contare che, dietro questo accordo, il Pakistan preme per un trattamento non da meno, anche se rimane indiziato per i rischi a cui è soggetto il suo arsenale militare.

Dietro questi problemi se ne nasconde uno ulteriore, che è legato sia agli aspetti delle ratifiche, sia ai futuri progetti di rilancio dei programmi nucleari civili: il problema, cioè, del riprocessamento del combustibile nucleare irraggiato, che il Presidente Carter interruppe negli anni ’70. Da allora gli Usa adottano per le loro centrali il “monouso” del combustibile nucleare (once through), ma i progetti avveniristici dei reattori di quarta generazione richiederebbero la ripresa del riprocessamento e dell’estrazione del plutonio[20], che costituisce il materiale fissile militare per eccellenza! Uscirà Obama da questa contraddizione?

La Conferenza di Riesame del TNP: . . . con qualche scheletro nell’armadio?

Il Nuovo START tratta ovviamente solo degli arsenali nucleari Usa e russo. Ma tutti gli altri Stati Nucleari messi insieme contano quasi un migliaio di testate, una quantità tutt’altro che indifferente; e tutt’altro che tranquillizzante (basti pensare allo studio pubblicato recentemente dalla rivista Le Scienze [21] sulle spaventose conseguenze, globali, che avrebbe una guerra nucleare “limitata” tra India e Pakistan!). Penso che non vi sia dubbio che l’atmosfera nella prossima Conferenza sarà molto diversa da quella della precedente del 2005, che per il boicottaggio delle potenze nucleari fu un clamoroso fallimento, che si concluse senza nemmeno un documento finale. Questo non vuol dire che sbloccherà il processo di disarmo nucleare. Le resistenze saranno fortissime, insieme alle pressioni degli Stati non nucleari, ma anche qui le ambiguità e le doppiezze abbonderanno, e quasi certamente precluderanno un successo completo.

La prima rimane, ancora e sempre, l’arsenale nucleare di Israele, che né gli Usa né gli altri paesi occidentali sembrano disposti anche solo a portare in discussione, ma che rimane lo scoglio più grande verso un processo di disarmo nucleare, e per arrestare la proliferazione nucleare! Sembra che qualche paese arabo abbia l’intenzione di sollevare nella conferenza il problema di Israele, e l’obiettivo di una Nuclear Free Zone in Medio Oriente, che sarebbe il provvedimento più efficace per disinnescare le tensioni più esplosive nella regione. Si possono nutrire seri dubbi che il tentativo abbia successo. Basti ricordare quelli che accadde il 18 settembre 2009 alla Conferenza generale della IAEA, dove in effetti gli Stati arabi riuscirono a far passare di misura una risoluzione, che si limitava (gravissimo attentato!) ad esprimere preoccupazione per l’arsenale nucleare e invitava Israele a sottomettersi ai controlli dell’Agenzia[22], con il voto contrario massiccio di Usa e paesi europei! (E il silenzio assoluto dei media).

Il problema speculare a quello di Israele è ovviamente l’Iran. Ma anche qui i due pesi e due misura sono di prammatica: il Brasile in qualche modo è chiamato in causa, avendo assunto posizioni di copertura dell’Iran, dovute al fatto che negli anni scorsi ha completamente realizzato il processo di arricchimento dell’uranio, aggirando anch’esso le ispezioni della IAEA ai propri impianti nucleari[23].

Ma oltre a queste contraddizioni principali rimarranno molti altri tranelli, come quello già ricordato di India e Pakistan (ma dietro a questi, quello dell’Afghanistan).

 
NOTE

[1] White House, “Key fact about the New START Treaty”, March 26, 2010, http://www.whitehouse.gov/the-press-office/key-facts-about-new-start-treaty.

[2] Nuclear Posture Review Report, April 2010, http://www.defense.gov/npr/docs/2010%20Nuclear%20Posture%20Review%20Report.pdf.

[3] A. Baracca, “La Pace Vale uno Scudo”, Medicina Democratica, n. 183-185, 2009: l’Amministrazione Obama ha cambiato alcune cose (in particolare la sostituzione dei radar e missili intercettatori che l’Amministrazione Bush voleva schierare in Europa, sostituendoli con intercettatori basati in mare e mobili, ma riproponendo l’installazione di altri intercettatori Patriot in Europa dell’Est), ma non l’ossatura e le finalità generali, ed ha quindi accettato in definitiva il progetto nella sua globalità: rimando anche al mio articolo sul fascicolo precedente.

[4] Il trattato SORT (Strategic Offensive Reductions Treaty), noto anche come “Trattato di Mosca”, venne firmato nel 2002 da Bush Jr. e Putin, dopo che era decaduto il trattato START-II del 1993: è importante sottolineare, anche al fine delle valutazioni attuali, che il SORT non prevedeva verifiche.

[5] Per le citazioni dal documento, i numeri romani si riferiscono all’Executive Summary, i numeri arabi al testo.

[6] Il Brasile ha portato a termine il processo di arricchimento dell’uranio per centrifugazione, che viene contestato all’Iran, mentre nessuno ha battuto ciglio per il Brasile, che aggirò anche i controlli della IAEA in modi non molto dissimili, e sotto la giunta militare aveva una programma militare che arrivò molto vicino a realizzare la bomba.

[7] Il trattato di messa al bando dei test nucleari (Comprehensive Test Ban Treaty), la cui ratifica fu bocciata dal Congresso Usa nel 1999.

[8] Dopo la fine della Guerra Fredda si scoprì che gli Stati nucleari hanno rendicontato i materiali fissili in modo piuttosto approssimativo. La necessità di un trattato internazionale che vieti la produzione di materiali fissili per fini militari fu richiamata fin dalla Risoluzione n. 1148 del 1957 dell’Assemblea Generale dell’onu, ribadita nel 1993 con la raccomandazione di un «trattato non discriminatorio, multilaterale, ed effettivamente verificabile che metta al bando la produzione di materiale fissile per armi o altri dispositivi esplosivi nucleari», ed ancora nella Conferenza di Revisione del tnp del 1995, in cui il trattato venne prorogato indefinitamente: ma fino ad oggi non sono mai stati avviati negoziati effettivi, per oggettive difficoltà tecniche e per motivi politici. Si veda per un’introduzione «The security benefits of a Fissile Material Cutoff Treaty», Bulletin of the Atomic Scientists, 31 ottobre 2008, http://www.thebulletin.org/web-edition/features/the-security-benefits-of-a-fissile-material-cutoff-treaty.

[9] Quella secondo cui le armi nucleari non verrebbero mai usate contro stati che non le possiedono.

[10] Antonio Mazzeo, “Cinque paesi NATO contro le armi nucleari USA. Ma non l’Italia”, 4 marzo 2010, http://www.pane-rose.it/files/index.php?c3:o17060:e1

[11] Nell’ottobre del 2008 un rapporto dell’Arms Control Board a Condoleezza Rice drammatizzò in modo inattendibile la minaccia nucleare di Pechino, proponendo un vero «piano per una Guerra Fredda con la Cina». È certo che le forze nucleari della Cina, in particolare quelle strategiche, sono incomparabilmente inferiori a quelle Usa, ed è credibile che lo rimarranno nel futuro: la Cina non è in grado di sferrare un attacco nucleare agli Usa. Basti pensare che il numero di missili balistici intercontinentali con gittata sufficiente rimane fermo a una ventina di vecchi DF-5A risalenti al 1981, con gittata 13.000 km, e a propellente liquido, che richiede un certo tempo per preparare al lancio: mentre non si ha idea se e quanti nuovi missili DF-31A, con gittata minore (11.200 km) ma propellente solido, siano stati schierati o lo saranno. Sembra certo che i missili cinesi portino una sola testata e non siano precisi come quelli statunitensi; le testate cinesi sono valutate in circa 186 operative, forse 240 totali. In tempo si pace le forze missilistiche cinesi non sono in stato di allerta, né sono puntate su obiettivi: si pensa che le testate siano separate dai vettori. Nel gennaio 2009 la Cina ha reiterato l’impegno al no-first-use (Chinese State Council, China’s National Defense in 2008, Information Office of the State Council of the People’s Republic of China: Beijing, Jan. 2009). La Cina non ha nemmeno bombardieri a lungo raggio, ed ha un solo sommergibile nucleare balistico SSBN in servizio, e una nuova classe in costruzione (non si sa quanti): ma soprattutto è assai dubbio che potrà avventurarsi in operazioni di pattugliamento simili a quelle dei sommergibili Usa, senza avere nessuna esperienza in questo campo; in caso di crisi infatti, in pieno oceano i suoi sommergibili sarebbero vulnerabili ad attacchi.

[12] Per una discussione più dettagliata si può vedere: Elaine M. Grossman, “Nuclear Posture Review Adopts Varied Approach to Updating Warheads”, April 7, 2010, http://gsn.nti.org/siteservices/full_edition.php; Arms Control Association, Tom Z. Collins e Daryl G. Kimball, “Now more than ever: the case for the CTBT”, febbraio 2010 (la Sezione 2, “The United States does not need nuclear tests to maintain its arsenal), http://www.armscontrol.org/reports.

[13] Hans Kristensen, “What’s Wrong with What’s Wrong with the Nuclear Posture Review”, April 11, http://www.fas.org/blog/ssp/2010/04/what%e2%80%99s-wrong-with-what%e2%80%99s-wrong-with-the-nuclear-posture-review.php#more-2967

[14] Sono significativi i commenti di autorevoli politici, protagonisti di passate Amministrazioni, quali William J. Perry e James R. Schlesinger, “Nuclear review shows bipartisanship”, April 14, 2010, http://www.politico.com/news/stories/0410/35747.html

[15] Si veda l’analisi documentata e aggiornata in “Now more than ever”, citato, nota 12.

[16] Degli Stati nucleari solo Francia, Russia e Gran Bretagna l’hanno ratificato, mentre Israele, India, Pakistan e Nord Corea non l’hanno nemmeno firmato: ma perché entri in vigore è necessaria anche la loro ratifica.

[17] In italiano abbiamo solo il termine “sicurezza”, ma l’inglese distingue tra safety come incolumità, assenza di pericolo, e security come sistemi di protezione, protezione fisica contro potenziali furti o usi non consentiti (come l’incidente del 30 agosto 2007, quando l’Air Force perse traccia di  sei missili cruise con testata nucleare!).

[18] “Now more than ever”, citato, p. 12.

[19] Nel lontano 1972 l’autorevole rivista Science pubblicava un’analisi della recente tecnica di confinamento inerziale per la fusione nucleare, che giudicava già da allora un progetto indiscutibilmente militare: «Per quasi 20 anni gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica hanno professato interesse per sottoscrivere un trattato per la messa al bando totale dei test nucleari. Ma se le due superpotenze arriveranno eventualmente ad un accordo . . . una tecnologia importante e in rapida evoluzione può, in modi rilevanti, aiutare entrambe le parti ad aggirarlo. La nuova tecnologia è la fusione mediante laser, una tecnica per generare esplosioni nucleari in miniatura colpendo pellets [sferette] di idrogeno con impulsi laser convergenti di enorme potenza. Negli anni recenti la fusione laser è stata ampiamente acclamata . . . come una potenziale scorciatoia verso uno degli obiettivi fondamentali della ricerca nucleare, energia elettrica a basso costo dalla fusione termonucleare. Anche se non vi sono dubbi sulla sincerità di queste speranze, non viene capito in generale che l’obiettivo pratico immediato del programma del governo di 68 milioni di dollari per il la ricerca e sviluppo della fusione laser è di trovare una tecnica di laboratorio per simulare esplosioni di testate nucleari. Vi è anzi un corpo di opinioni – per quanto in generale non condivise dai laboratori nazionali – che sostiene che la simulazione delle armi può essere l’unica applicazione pratica della fusione laser in questo secolo. Secondo le autorità nel campo degli armamenti, la fusione laser promette miglioramenti di ‘ordini di grandezza’  rispetto ai metodi attuali di simulazione . . . gli esperti di armamenti si aspettano che la fusione laser diventi uno strumento sperimentale straordinariamente utile per studiare la ‘fisica delle testate’ fondamentale e, unitamente a codici di simulazione elettronica sempre più raffinati, per sviluppare nuovi progetti di armi. . . . la fusione laser sta emergendo come un nuovo metodo per portare i test nucleari al coperto (indoors), una prospettiva che sembra assolutamente attraente nel contesto di una trattato di messa al bando. . . . Nessuno sembra essere in disaccordo sul fatto che la simulazione delle armi sarà la prima applicazione della fusione laser; le opinioni si dividono se questa sarà l’ultima. » (R. Gillette, “Laser fusion: an energy option, but weapons simulation is first”, Science, vol. 188, 4 aprile 1975, pp. 30-34).

[20] Rimando per una discussione al mio L’Italia Torna al Nucleare?, Cap. 5, Milano, Jaca Book, 2008. Il problema del riprocessamento non era all’ordine del giorno del Summit, ma le agenzie hanno riportato la preoccupazione espressa da alcuni esperti sui rischi di proliferazione militare connessi alla diffusione del combustibile misto uranio-plutonio (MOX): Viola Gienger, “Nuclear-Fuel Recycling Debated as Obama Holds Summit (Update2)”, Bloomberg Businessweek, April 13, http://www.businessweek.com/news/2010-04-13/nuclear-fuel-recycling-dispute-arises-on-margin-of-obama-summit.html

[21] Alan Robock e Owen Brian Toon, “Guerra nucleare locale”, Le Scienze, marzo 2010, pp. 62-69.

[22] IAEA, General Conference, “Israeli Nuclear capabilities”, Sept. 18, 2009, http://www.iaea.org/About/Policy/GC/GC53/GC53Resolutions/English/gc53res-17_en.pdf

[23] “Brazil has big responsibilities in NPT talks: expert”, April 19, 2010, http://www.spacewar.com/reports/US_Russia_urge_world_to_build_on_their_nuclear_pact_999.html



Luned́ 26 Aprile,2010 Ore: 15:59