Una lettera dal Brasile
Un ’altro’ Natale

di p. dário

Açailândia, 8 de Dezembro de 2007

Sta arrivando un altro Natale e torno a scrivervi dal Brasile, ricordandomi dei Natali vissuti a São Paulo e tanto diversi dal nostro clima invernale. Qui fa molto caldo, sta arrivando la stagione delle piogge (con grande ritardo)... eppure anche qui Babbo Natale ha il giubbotto rosso e il cappello di lana! Poteri del consumo globale e di questi idoli che lo rappresentano...

Condivido qualche povera riflessione, che mi aiuta a fare il punto del cammino fin qui (5 mesi).
Mi colpisce, in questo tempo di Avvento, la forza straordinaria del sogno che Dio ci mette davanti.
I testi di Isaia e del Vangelo hanno un respiro e una passione ’esuberanti’, utopici, esagerati. Spalancano dimensioni che non osiamo immaginare, provocano alla speranza: tutti i popoli correndo verso lo stesso monte di Dio, spade che si trasformano in vomeri, lance in aratri. Pace universale e riconciliazione dei nemici (il lupo e l’agnello, il bimbo e il serpente). Il banchetto di Dio che é festa soprattutto per gli esclusi, accoglienza e vita per zoppi, ciechi, muti...
Eppure, leggendo da qui, mi accorgo che in questi stessi testi non si nasconde il dolore, il peso della realtá: il violento e l’empio ancora dominano la scena. Gerusalemme é macchiata di sangue.
La Bibbia non é ingenua e descrive bene la storia anche di oggi.
Racconta di un germoglio che spunterá... ma qui sentiamo il dolore della natura e della vita spezzata. Racconta di un ’resto’, una piccola minoranza che continua a sperare... e anche qui crediamo fermamente in questa speranza: é il motivo che ci resta per continuare a vivere!
Il nostro sperare non é solo aspettare passivo. Un canto molto bello del tempo della dittatura dice “Quem sabe faz a hora, não espera acontecer” (Chi ha capito anticipa le cose, non aspetta che succedano da sole).

Capire

Giá: capire, anticipare le cose. Ma come?! É la domanda che ci assilla ogni giorno: da che parte andare? Stiamo facendo le scelte giuste?
Stando qui cominciamo a sentire -come cappa opprimente- il peso di una realtà che stenta a cambiare. L’unica risposta é... assumere la sfida, fare di questa passione e preoccupazione il centro della nostra vita. Farci carico della realtá di qui, lasciare che occupi interamente e unicamente in nostro cuore.
“Avere in noi gli stessi sentimenti di Cristo” significa non passare indifferenti, giorno per giorno, al silenzioso grido di agonia di questa realtà ambientale e sociale, al degrado progressivo dei valori che vengono consumati. E starci dentro con tutte le forze, come dice la Parola e come richiama il maestro Dossetti (per me il senso della vita consacrata si riassume cosí).

Come creature

Stare dentro la realtá, qui da noi, significa assumere il dolore della Creazione.
Per i missionari é sempre stato decisivo quel versetto dell’Esodo (3,7) in cui il Signore della Storia dice “Ho udito il grido del mio popolo e sono sceso a liberarlo”. Le nostre scelte spesso si orientano a partire da questo clamore, a cui proviamo a rispondere immergendoci (scendere) e partecipando con la gente al cammino di liberazione.
Ma oggi, tanto forte quanto il grido del popolo, ci ferisce il silenzio assordante della vita che giá non c’é piú. Contesti ambientali completamente distrutti, equilibri spezzati, deserti di monoculture al posto di ecosistemi ben integrati con il lavoro dei piccoli produttori, progetti minerari che stanno seccando le viscere della nostra terra e della gente che la abita...
In una catena, l’anello piú debole é il primo ad essere schiacciato; quando la vittima é senza voce, tutto risulta meno grave e appare meno violento.
La Creazione soffre qusta discriminazione senza poter alzare la voce (e quando lo fa é tutto d’improvviso, nei disastri naturali).
In questo senso, occorre completare il versetto dell’Esodo: “Ho ascoltato un silenzio preoccupante e innaturale. Per questo, sono sceso a restituire voce e vita a questa terra ferita”.

Un vescovo, il digiuno e la morte

Una delle persone che sta riuscendo a scendere, ascoltare e amplificare la voce di queste ferite é dom Luís Flávio Cappio, vescovo francescano in Bahia. Ormai da 11 giorni sta digiunando e pregando in riva al rio São Francisco, che il governo brasiliano vuole letteralmente spostare, per risolvere il grave problema della secca nelle regioni del nordest del Brasile.
Senza entrare in dettagli, si tratta di un progetto faraonico che foraggia grandi imprese di costruzione e stimolerebbe la produzione agricola latifondiaria. Esistono da anni alternative documentate, con impatti e costi molto minori, rivolte ai piccoli produttori locali.
É in loro nome, quasi dando voce anche al fiume, che dom Luís sta digiunando. Dice che di fronte a questi colossi organizzati anche il Vangelo suggerisce come unica soluzione il digiuno e la preghiera. Ed é disposto a continuare fino alla morte (tanto che qui giá in molti parlano di martirio). Il gesto di questo vescovo sta provocando molte reazioni di solidarietá e iniziative di protesta locali, aggregando forze e risvegliando coscienze.
“La Creazione stessa geme e soffre le doglie di un parto, aspettando la rivelazione dei figli di Dio” (Rm 8). Dom Luís si sta rivelando figlio di Dio e fratello universale di tutte le creature, facendosi carico del loro dolore. E ci invita a fare lo stesso.

In questi stessi giorni, una bimba é morta di denutrizione, in una delle regioni della nostra parrocchia. Il digiuno é una scelta per la vita; Maria Vitória é invece espressione di una sconfitta.
É fallimento di tutti: la comunitá che non ha saputo accompagnare il caso, noi che ci siamo mossi troppo tardi, il Consiglio Tutelare dei diritti dei bambini che si é omesso, l’ospedale che l’ha scaricata irresponsabilmente.
Perché il sogno di Dio si spezza cosí facilmente? Sono troppo forti, ancora, le logiche marce di interesse personale, accumulazione, irresponsabilità, impunitá. Viene voglia di gridare, ci sentiamo impotenti e arrabbiati, non capiamo bene come sia meglio muoverci.
Tornano le domande di tutti i giorni: da che parte andare? Stiamo facendo le scelte giuste? Cosa vuol dire essere missionari qui?
Non ci sono risposte, bisogna tenere occhi e orecchie ben aperti. La Parola e la storia, un grande ascolto e... l’aiuto di Dio!

Cammini aperti

Graças a Deus, come dicono sempre qui, ci sono le nostre comunitá! Gli anni di lavoro pastorale in questa regione hanno portato frutti vivi: settimana scorsa abbiamo realizzato la nostra assemblea annuale delle comunitá cristiane che accompagnamo (sono 27, varie in cittá, altre in un raggio di 50-100 km).
É stato un momento di grande respiro! Protagonista é la gente, gente che costruisce comunitá, celebra e promuove i diritti e i doveri per tutto l’anno, malgrado noi li visitiamo solo ogni tanto...
Dall’assemblea sono emerse le prioritá per il nostro 2008: cittadinanza e partecipazione, promozione dell’ambiente, piccole comunitá di base e visita alle famiglie, mezzi di comunicazione. Sono cammini aperti che vengono da lontano e che ci aiutano a non perdere la strada. Che Dio ci accompagni!

Cammini da aprire

Allo stesso tempo, come missionari, dobbiamo stare con queste persone aprendo cammini e visioni nuove. E portando la loro voce fuori dagli spazi ristretti in cui sono nascoste.
Per questo ci stiamo giá muovendo verso il prossimo Forum Sociale Mondiale, che si realizzará a Belém, in Pará, a gennaio 2009.
Questo scenario internazionale sará l’occasione perché la nostra gente ’respiri il mondo’ e allarghi i suoi orizzonti. Ma anche un’opportunitá per lanciare denunce e azioni che recuperino la dignitá dell’ambiente e dei lavoratori delle nostre zone.
Stiamo lavorando molto su questo, in una prossima lettera racconteró.
Mi colpisce una coincidenza significativa: a Belém, quasi cent’anni fa, é morto un santo missionario, lebbroso tra i lebbrosi. Ed era del mio paese! Padre Daniele da Samarate, compagno di cammino dal giorno dei miei primi voti... mi aspettava qui e lo ritrovo con sorpresa: anche a lui chiediamo di indicarci la strada!
Che bella occasione, sarebbe, perché anche il mio paese e la mia parrocchia si spostassero all’incontro con il mondo nella terra di padre Daniele, dopo tanti anni...
Il Forum Mondiale come spazio di incontro, progetto sempre in costruzione per un mondo piú umano, occasione di gemellaggi, esperienze di vita e di chiesa che si incontrano e si alleano. La missione, oggi, passa anche attraverso questi spazi. Facciamocene carico tutti insieme!

Vi abbraccio forte e vi ricordo, anche con un po’ di nostalgia!
p. dário



Domenica, 09 dicembre 2007