[ADITAL] Agencia de Información Fray Tito para América Latina
Don Pedro Casaldáliga: «Il capitalismo non ha salvezza»

di Julio Ruiz

Traduzione di José F. Padova


www.adital.com.br

25.08.08 - MUNDO

Adital – Di Pedro Casaldáliga, vescovo emerito di São Félix (Brasile), dove tuttora vive, si dice sia mistico, poeta e uno dei leader della Teologia della Liberazione. Ottantenne e afflitto da un Parkinson incipiente, le sue parole riassumono tanto amore per il Vangelo e i poveri che meritano sempre che se ne tenga conto. Anche in questa occasione si rivolge alla HOAC.

Ecco l’intervista.

Come fu il suo arrivo in Brasile e in Mato Grosso?

Arrivai in gennaio del 1968 e a Medellin in ottobre. La Santa Sede (che è santa e peccatrice a un tempo) chiedeva ai claretiani [ndt.: Congregazione dei Figli del Cuore di Maria, ordine fondato da san Antonio Maria Claret nel 1819] di aprire una missione in questa regione. Il Superiore generale – che era tedesco, mi voleva molto bene e con il quale ero stato impertinente durante tutta la mia carriera: vorrei andare in missione, vorrei andare in missione, mi chiamava «vir desideriorum», uomo dei desideri – diceva che il Brasile era un Paese di molte sfide e di molto futuro, tanto come società quanto come Chiesa, ed è vero.

Il Brasile ha automaticamente una certa egemonia, per le dimensioni, per le possibilità e per la storia che ha vissuto. È il più ricco e il più povero. Le possibilità sono molte: abbiamo tutti i tipi di clima, molta acqua, molto terreno, molta ingiustizia, molta miseria. È un Paese emergente. Ormai non si parla ora del Brasile semplicemente come di terzo mondo. Già si parla di Brasile a fianco della Cina, dell’India. Ogni Paese è ciò che è, ma il Brasile per dimensioni e possibilità è un Paese che si distingue.

Come dicevo, nel gennaio del ’68 venimmo il compagno Manuel Luzón e io. Seguimmo il corso di quattro mesi del CFI (Centro di Formazione Interculturale). Ci installammo in questa regione che è la porta d’ingresso per l’Amazzonia, chiamata Amazzonia legale e ci toccò in sorte di vivere l’inizio della dittatura militare. Era l’avvio del latifondo; fu una specie di esperimento di latifondo con gli incentivi fiscali che il governo assegnava.

Nella Chiesa stavamo vivendo le conseguenze del Vaticano II e di Medellìn, che in pratica fu il nostro Vaticano II. Vi fu in mezzo a noi molto Spirito Santo e gente lucida, aperta; il clima era buono, malgrado tutta la violenza. Si visse un certo clima di profezia, di inserimento, di superamento delle barriere. Compreso il fatto che qui in Brasile per molti parlare di comunismo o di marxismo non spaventava molto, perché il marxismo vero e proprio qui in America Latina fu vissuto in un modo più popolare, molto meno sovietico.

- e ti nominano vescovo…

Mi nominano vescovo il 23 ottobre 1971, quando diffondemmo quella lettera pastorale che intitolammo “Una Chiesa dell’Amazzonia in conflitto col latifondo e con l’emarginazione sociale”. Nel ’70 avevo scritto un documento di due pagine molto intense, perché cominciavo a scoprire più in profondità il mondo dei peones delle fattorie. Il documento s’intitolava “Feudalesimo e schiavitù nel nord del Mato Grosso”.

Il Nunzio mi elogiò, ma mi disse di non pubblicarlo, perché avrebbe pregiudicato l’immagine del Brasile. Lo includemmo in seguito nella lettera pastorale. Portava le due parole: feudalesimo e schiavitù. Qualcuno diceva che parlare di feudalesimo era di ignoranza passatista. Quello che si visse storicamente accadde in altre condizioni, ma non smetteva di essere schiavitù. Tenete presente che adesso a ogni due per tre [riferito al prezzo, noi diciamo tre per due riferito ai pezzi] si scoprono casi di lavoro schiavo, lavoro degradante, in Amazzonia e in tutti i paesi.

- Parliamo della Prelatura, di Sao Felix, della sua struttura e organizzazione.

Prelazia o Prelatura qui in Brasile sono diocesi, vere e proprie diocesi con vescovo, in Amazzonia. Adesso ne abbiamo 14. Soltanto in Brasile esiste questo tipo di figura, perché anche in altri Paesi del mondo si parla di prelatura e prelati, che tuttavia non hanno il contenuto e il significato che vi è qui.

Il popolo cristiano si riunisce in comunità ecclesiali di base (CEB), che scelgono i loro responsabili nel Consiglio Pastorale locale, regionale e generale. Vi è anche la Assemblea della Prelatura, formata da tutti i gruppi pastorali e tutti i responsabili dei consigli regionali (fra 120 e 130 persone). Vi sono nuove equipe pastorali che animano la pastorale di ogni regione. Vi sono pochi sacerdoti e ciò costringe a formare leader laici e a preparare le comunità (secondo l’ecclesiologia del Vaticano II). La pastorale ha una forte componente sociale e politica e abbraccia tutti gli aspetti della vita in modo integrale.

Viviamo degli aiuti esterni, della solidarietà. Abbiamo anche pensato diverse volte che potremmo escogitare qualcosa che rendesse e che non dovremmo vivere soltanto di elemosina, di solidarietà; che potremmo inventarci qui, una fattoria? Ti metteresti a cooperare con i padroni delle fattorie? Impossibile. Diverse volte ci hanno anche detto: “Perché non comperate questa emittente di radio locale che coprisse tutta l’estensione della Prelatura?” Tuttavia il problema non è comprare l’emittente, vi sarebbero enti in Europa che finanzierebbero l’acquisto, il problema è mantenerla.

Da diversi anni abbiamo tre priorità: formazione, in tutti i sensi della parola; autonomia personale, economica, e pastorale socio-politica… A volte abbiamo detto scherzando (ed è vero): se ogni cattolico adulto desse un real [= € 0,41] ogni mese, dodici reales all’anno, manterremmo economicamente autonoma la Prelatura. Nel corso dei secoli la Chiesa popolo ha avuto esperienze di imperi che sovvenzionavano, “Franchi” che sovvenzionavano, e il popolo della Chiesa cattolica non è stato educato a mantenere la sua Chiesa.

-La Prelatura di Sao Felix come ha risposto alla realtà sociale di ogni momento?

Si fondò la CPT (Commissione Pastorale della Terra), si fondò il CIMI (Consiglio Indigeno Missionario). Noi conduciamo una pastorale molto politicizzata che è stata criticata. Forse a volte fummo molto politicizzati nel senso che a volte fummo meno “spirituali” (lasciamo le cose al loro posto), forse non sapemmo armonizzare.

Ci siamo chiesti molte volte, nelle riunioni di CIMI, CPT, Pastorale Operaia, riunioni della Chiesa o del movimento popolare, fino a che punto fosse legittima la supplenza, fino a che punto si potesse arrivare; la famosa storia del “pesce”: insegnare a pescare o dare il pesce… io credo che in ultima istanza per prima cosa si debba dare il pesce, perché abbiano la forza per andare e arrivare fino al fiume; ci sarà da acquistare per loro gli strumenti della pesca, perché non hanno alcun genere di infrastruttura, non hanno alcuna condizione per reclamare, per aprire spazio a loro stessi…; dopo di che si dovrà insegnare loro, soprattutto a impadronirsi del fiume.

Allora non si tratta di supplire, affogando le iniziative. Tanto nel CIMI come nella CPT abbiamo nominato diversi compagni vescovi con questa coscienza e questa volontà di dare consigli, stimolare, prestare la nostra voce là dove essi non potrebbero avere voce. Furono soltanto “consigli”, “commissioni”. Noi crediamo nell’importanza, soprattutto in questa America, che si stimolino le basi del movimento popolare e che i cristiani entrino in pieno nel movimento, perché non sia già una supplenza del clero, ma vita cristiana nelle necessità di fronte alle ingiustizie e alle rivendicazioni.

Qui abbiamo anche la Fratellanza di Gesù, con un’esperienza missionaria di pura presenza, di pura esperienza di vita, di pura incarnazione, di testimonianza: gridare il Vangelo con la vita.

D’altro lato, anche ora ad Aparecida, malgrado tutti coloro che desideravano farla finita col nome di Teologia della Liberazione, si è riconosciuto che queste pastorali di punta aiutarono e stanno aiutando molti a non addormentarsi in un “irenismo” o mancanza di vitalità. Perché se si tengono soltanto pastorali di tipo carismatico, per cantare alleluia…, possono convivere molto bene il padrone e il dipendente. Eppure, per vivere e lavorare, avere salute ed educare i figli ed essere liberi, allora… “Non si può servire a due padroni, non puoi servire a Dio e al denaro”.

La teologia della liberazione ha detto, ed è vero, che il nostro problema principale non è l’ateismo, è l’idolatria del consumismo, del lucro… Per questo dico sempre, e lo dicono molti altri, che il capitalismo non ha salvezza, non si può battezzare il capitalismo. Se è capitalismo, allora è il lucro, l’accumulazione, il privilegio, l’emarginazione e il denaro al di sopra della persona umana, compresa la negazione della propria patria a causa delle multinazionali e transnazionali.

Come vede la Chiesa di oggi?

È molto più ecumenica. Per esempio, i laici, soprattutto le donne, sono presenti in misura elevatissima. Riguardo alla donna, oggi è rara la “presenza” ufficializzata, tuttavia si tratta di una presenza molto alta, reale, attiva. La presenza e il comportamento della donna nella Chiesa dell’America latina è egemonica.

E adesso posso garantire con gratitudine e sicurezza che lungo questi 40 anni ho visto emergere la donna nella società e nella Chiesa, anche le indigene (che si organizzano anche in federazioni e confederazioni continentali, perché la causa indigena o si salva a livello continentale o non si salva).

Dove crede che debba andare la Chiesa del futuro?

Perseverando, come ha fatto provvidenzialmente, almeno in modo diligente, nel Vaticano II, per il quale la Chiesa è: “non il Popolo di Dio, ma Popolo di Dio”, con altri, molti Popoli di Dio che vi sono qui; tutta l’umanità è Popolo di Dio. Tutti i popoli sono popoli eletti. Dio non fa preferenze. Quindi, che la Chiesa pensi di partire da questo. In questo Popolo di Dio vi sono carismi, ministeri, servizi, urgenze…, che si stimolino, che benedicano…; ogni uomo e ogni donna ha la sua vocazione specifica e le sue complementari.

In secondo luogo, l’ecumenismo e il macroecumenismo. Anche in America latina non si può parlare adesso di continente cattolico; perché è sì cattolico, ma non solamente cattolico. L’ecumenismo, se è soltanto ecumenismo, è chiuso in modo eccessivo; per esempio, quanto vi è di cristianesimo in Asia? Una minoranza insignificante, eppure vi è gente a miliardi.

La Chiesa deve essere profezia e provocazione, deve proseguire e stimolare sempre più l’attitudine profetica. Intendendo profezia come: annuncio, denuncia, consolazione, impegno pratico. Altrettanto maggiormente la Chiesa deve essere povera e gratuita. A Medellin i vescovi si proposero di essere la Chiesa povera, nei nostri titoli, nel nostro modo di vestire…, compreso l’esplicitare. Malgrado ciò, continuano ad esservi i titoli, le mitre, le vesti e gli eminentissimi o eccellentissimi…

Se la Chiesa intendesse e accogliesse tutta l’umanità come Popolo di Dio, come fratellanza universale, l’impegno della Chiesa con la società sarebbe normale. Essere il fermento nella massa sarebbe la cosa logica, normale, perché la Chiesa non si considererebbe società a parte, bensì un fermento evangelico nella società, all’interno della società. E non si tenderebbe a fare tanti equilibrismi…, se l’azione sociale e la politica è propria del laico…

È proprio di tutti, ognuno nella sua categoria e nelle sue funzioni. E allora, ciò che non facciamo per piacere e per risposta immediata ai segnali del tempo non si imporrà attraverso la base della storia, ma molto più rapidamente e a volte più dolorosamente. Per esempio, lo stesso Comblin ha ricordato varie volte che la Chiesa ha perso l’operaio e adesso sta perdendo la donna. Ed è vero, vi sono molte donne che dicono: “qui non mi riconoscono con sufficiente dignità, non mi danno spazio, quindi me ne vado, facciamoci la nostra bottega”.

Credo che una delle sfide più grandi di questo secolo è il riconoscere il diritto degli immigranti, parlare con lucidità e denunciare le cause dell’immigrazione, fare il possibile perché non se ne vadano dalla loro patria, aiutarli perché nel loro Paese possano vivere con dignità, avendo un lavoro, sentendosi cittadini. Il problema dell’immigrazione è combinato con il quotidiano del primo e del terzo mondo.

La Chiesa dovrebbe essere più politicizzata e nello stesso tempo vivere con serenità la laicità, riconoscendo che si tratta di qualcosa di naturale, che non è una sorta di favore il tollerarla. La società è la società e la Chiesa è la Chiesa; la Chiesa sta nella società, accade nella società. Quindi è ciò che è specifico della Chiesa e in più specifico della società, di una società democratica, pluralista, mondiale…; è lì che la Chiesa deve svegliarsi.

Voi, operai e operaie, come non vi disponete con questa situazione del lavoro, riguardo alla dignità del lavoro, per contestare la flessibilizzazione! Bene, allora alla luce delle circostanze storiche e alla luce della fede, vediamo che cosa fare, come lo facciamo. Vediamo come i politici professionisti, che siano cattolici o cristiani, contribuiscono partendo dalla loro fede e dalla loro condizione di politici.

Non vi è risposta data antecedentemente: votate come cattolici! Ma in concreto sto in Spagna o sto in un Paese dell’Asia dove vi è una minoranza infima di cristiani cattolici-

Dobbiamo eliminare il dogma da molte cose. Prima tutto era categorico, dogmatico, saputo…; oggi dalla scienza partono ogni volta più ipotesi e contro ipotesi. Si tratta di relativizzare ciò che è relativo e assolutizzare ciò che è assoluto. E l’assoluto non è poco. Dio è amore, tutti e tutte siamo figli e figlie di Dio e, per ciò stesso, fratelli; Dio è vita, la vita è assicurata per tutti e per sempre. Molto più di questo: Gesù è lo splendido testimone di questo Dio che è amore.

Vede anche oggi come necessaria una pastorale specializzata, una pastorale operaia?

Bisognerebbe distinguere. In linea di principio occorrerebbe dire che tutta la Chiesa sia Chiesa, che tutta la Chiesa sia missionaria, che tutta la Chiesa sia fermento, come vorrebbe Gesù. Si adesso diciamo che la prima grande massima o identità primaria è di essere gente umana, allora la grande, primaria identità di un cristiano è di essere Chiesa, una Chiesa che evangelizza, una Chiesa che celebra, una Chiesa che profetizza, una Chiesa che è inserita nella massa; perché soltanto così è lievito nella massa. Se non vi è massa, non vi è fermento. Per che cosa desidero avere fermento se non vi è la massa? A che scopo voglio il fermento da un lato e la massa dall’altro?

Oggi continua a essere necessaria una pastorale specifica. Immaginate che dicessimo qui in Brasile, in America latina, che non c’è bisogno di una pastorale “indigenista”, che anche gli indios rientrano anche loro nella Grande Pastorale, che saranno evangelizzati.

Ultimamente ho insistito molto su come dovremmo predicare di più e vivere meglio la condizione umana, che in un certo senso è la nostra primaria e massima identità. Dopo vengono la professione o la classe, è curioso, parlare di classe è passato di moda. Ho quel poemetto che dice: “Nel ventre di Maria il Verbo si fece carne, si fece uomo, e nel laboratorio di Giuseppe il Verbo si fece classe”. Si pensi che si passò a dimenticare la classe in modo troppo precipitoso, è stato così.

L’operaio di oggi è un operaio diverso, non è quello del XIX secolo; vi sono categorie, oggi vi sono meno operai e molte più macchine, e migliori. È necessaria una pastorale operaia molto specializzata: perché l’operaio non va a evangelizzare l’operaio? Anche se dovrebbe essere ogni volta più internazionale.

Credo che la JOC (Gioventù Operaia Cattolica) continui a essere attuale, che la HOAC continua a essere attuale, ciò che accade è che tanto quelli che sono HOAC quanto i moltissimi altri che non lo sono devono mettere la HOAC al suo giusto posto e con le dovute responsabilità, non chiedere ciò che non le si può chiedere e esigere invece ciò che si può pretendere.

Perché, per esempio, mi metto un poco nei loro panni…, se non si percepisce che la HOAC è un gruppo di operai differente, per che cosa vogliamo la HOAC? È un operaio, onesto, lavora, ma non passa di qui... Per prima cosa uno deve essere onesto, lavorare come lavoratore, essere solidale con i compagni e le compagne, ma, nello stesso tempo, che si noti che è cristiano. Non occorrerà parlare molto, bisognerà essere. Perché è possibile che alcune critiche che vengono mosse partano dal fatto che, come si dimostrò qui in America latina, si fa tanta politica che si perde quel di più della fede, dell’evangelizzazione. Orbene, d’altra parte, non si può fare religione tanto da fare di un operaio un monachello infiltrato nella massa.

Credo anche che i movimenti specializzati debbano saper essere Chiesa con gerarchia, riconoscere che il vescovo è vescovo, che il Papa è Papa. E a volte anche con un poco d’astuzia evangelica che Gesù ci insegnò, cercheranno un poco di fare piacere ai vescovi, non costa nulla mostrare loro i progetti, invitarli a una celebrazione o a un rinfresco. Mantenendo tuttavia una libertà adulta. Siamo HOAC, siamo Chiesa, siamo Chiesa nel mondo operaio, siamo Chiesa nel mondo operaio oggi, ed essendo Chiesa nel mondo operaio, per definizione siamo Chiesa di frontiera, nel mondo operaio. È più difficile che dire sono Chiesa in casa, col lavoro normale, con la mia famiglia, non mi complico la vita… bisogna complicarsela, se assumi la tua missione ti complichi la vita automaticamente, dentro la Chiesa e fuori della Chiesa. Soltanto che questo essere dentro o essere fuori devono essere portati con speranza, con relativa serenità, sapendo fino a dove arrivano i limiti…

Se voi, d’altra parte, non scomodate un poco gli altri cristiani cattolici e la gerarchia, riguardo alle necessità del mondo operaio, del mondo lavorativo, chi lo farà?

Tu sei un uomo di speranza. Nonostante i tempi oscuri che viviamo, che motivo abbiamo di continuare a mantenere la speranza?

La Pasqua, la fede in Dio che è Amore, la bontà del cuore umano con tanti gesti di solidarietà, di impegno, di generosità fino al martirio. Abbiamo motivi soltanto per non scoraggiarci. Esistono. In ultima istanza colui che si scoraggia sono io. Dobbiamo evitare di dare questo contributo di pessimismo, mentre c’è già sufficiente sofferenza, delusione. Se noi cristiani non abbiamo speranza, non so a chi andremo a chiederla.

Nietsche diceva che i cristiani dovrebbero mostrare con il viso, con la vita, di avere la speranza che dicono, nella Resurrezione, nella Pasqua; che lo dimostrino.

Sempre con la speranza. Una speranza credibile, evidentemente, che non è un “viva la Vergine”.

E la Pasqua; tengo sempre nel mio studio, dipinta [su una parete], la parola Pasqua, mi sembra sia la parola più cristiana, che ingloba tutto. La Pasqua è che tutti risusciteremo e ci salveremo, secondo lo Spirito Santo.

Bisogna anche aiutare a vivere con speranza. La chiesa ha peccato, abbiamo peccato molto, per aver annunciato paura, la morte, l’inferno, il Castigo di Dio… Lo ripeto spesso nelle mie omelie: Dio non punisce, non sa punire, non può punire, il Dio Amore non può castigare, chi si castiga siamo noi stessi. A volte faccio un esempio: l’altro giorno si è schiantato un ragazzo con la motocicletta perché andava a 150 km all’ora su queste strade. Castigo di Dio? No, stupidità di chi andava a 150 su queste strade.

Riquadro:

Che cosa diresti ai militanti dell’HOAC (1) oggi? Che diresti ai tuoi fratelli vescovi di Spagna?

Ai miei fratelli vescovi: che ci aiutino e che ci aiutino tutti a essere veri cristiani. Che siano [siamo] compagni e fratelli col popolo, nella diocesi che ci è toccata. Che siamo profezia con il nostro modo di essere, di vivere, col nostro modo di parlare. Che optiamo realmente per i poveri, contro la povertà. Che ci spogliamo, nella persona e nella struttura (la Chiesa annuncia il Vangelo di Dio ai poveri, ai poveri di Dio). E che diamo sempre, nonostante le afflizioni, una testimonianza di speranza.

Alla cara HOAC: che si appassioni per Gesù Cristi e per i poveri. Che viva con impegno il giorno per giorno con molta libertà, con una fede adulta e con una speranza contro ogni speranza, come dice San Paolo. Si dice che un soldato spagnolo durante la Guerra civile sia andato dicendo: “Chi confesserebbe di avere paura avendo gli ospedali?”. Dico che se avesse avuto più humour avrebbe detto: “Chi confesserebbe di avere paura avendo i cimiteri?”. E con molto più spirito direbbe ora: “Chi confesserebbe di avere paura avendo la Pasqua?”? Quindi, molta speranza, molta speranza. E che non ci si dimentichi mai che se non ci fosse il primo mondo non ci sarebbe il terzo mondo. Pertanto procediamo verso il mondo unico.

“Fratellanza operaia di Azione Cattolica: deve essere autentica fratellanza, questa sarà la prima testimonianza, insostituibile. Fratellanza Operaia che lavora, che lotta per il diritto al lavoro e per la dignità del lavoro. Una fratellanza militante, di lotta, di azione. Di azione evangelica, trasformatrice della realtà in questo mondo neoliberale che è nostro compito denunciare e combattere. Essendo Chiesa, una chiesa viva, per la corresponsabilità, per la partecipazione adulta.
nella libertò dei figli e delle Figlie di Dio. Sempre accogliendo, celebrando, costruendo il Regno. Con un abbraccio molto fraterno nella Pace sovversiva del Vangelo. Pedro”.

Nota:

(1) La Fratellanza operaia di Azione Cattolica (HOAC) è un movimento di Azione Cattolica specializzato nel Mondo Operaio, integrato nella Federazione dei Movimenti di A. C., il cui obiettivo è l’evangelizzazione del mondo operaio.
La HOAC nasce nel 1946 come Movimento Apostolico dell’Azione Cattolica. Forma, orienta e sostiene militanti operai cristiani con un Progetto di Evangelizzazione, intesa come risultato progressivo di un modo di essere, di pensare, di sentire, di agire e di vivere, in modo personale e comunitario, profondamente cristiano.
Comisión Permanente Alfonso XI 4-3º 2814 Madrid
91 701 40 87 fax: 91 522 74 03. C.E. organizacion@hoac.es


[Pubblicato in Noticias Obreras, luglio 2008. Inviato da Ecupres]

  • Pubblicando su carta stampata, si faccia il favore di citare la fonte e inviare copia a: Caixa Postal 131 - CEP 60.001-970 - Fortaleza - Ceará – Brasil
    Per ricevere il bollettino di notizie di Adital si scriva a adital@adital.com.br.


Testo originale

[ADITAL] Agencia de Información Fray Tito para América Latina
www.adital.com.br
25.08.08 - MUNDO
Don Pedro Casaldáliga: ’El Capitalismo no tiene salvación’

Julio Ruiz *

Adital - De Pedro Casaldáliga, obispo emérito de São Félix (Brasil) -donde sigue viviendo-, se dice que es místico, poeta y uno de los líderes de la Teología de la Liberación. Con 80 años y aquejado de un incipiente parkinson, sus palabras resumen tanto amor al Evangelio y a los pobres que siempre merecen la pena ser tenidas en cuenta. En esta ocasión también se dirige a la HOAC.

Lea la entrevista:

- ¿Cómo fue su llegada a Brasil y al Mato Grosso?
- Llegué en enero de 1968 y Medellín fue en octubre. La Santa Sede (que es santa y es pecadora también) pedía a los claretianos que abriesen una misión en esta región. El superior general -que era un alemán que me quería mucho con el que yo había sido impertinente durante toda la carrera: que quería ir a misiones, que quería ir a misiones, me llamaba «vir desideriorum», hombre de deseos- dijo que Brasil era un país de muchos desafíos y de mucho futuro, tanto como sociedad cuanto como Iglesia, y es verdad.
Automáticamente Brasil tiene una cierta hegemonía, hasta por el tamaño, por las posibilidades y por la historia que ha vivido. Está lo más rico y lo más pobre. Las posibilidades son muchas: tenemos todos los tipos de climas, mucha agua, mucho sol, mucha injusticia, mucha miseria. Es un país emergente. Ahora ya no se habla de Brasil simplemente como tercer mundo. Ya se habla de Brasil al lado de China, al lado de India. Cada país es lo que es, pero Brasil por el tamaño y las posibilidades es un país que significa.
Como decía, en enero del 68 vinimos el compañero Manuel Luzón y yo. Hicimos el curso de cuatro meses del CFI (Centro de Formación Intercultural). Nos instalamos en esta región que es entrada de la Amazonía, llamada Amazonía legal y nos tocó vivir la entrada de la dictadura militar. Era la entrada del latifundio; fue una especie de ensayo de latifundio con los incentivos fiscales que daba el gobierno.
Y en la Iglesia estábamos viviendo las consecuencias del Vaticano II y Medellín, que fue prácticamente nuestro Vaticano II. Hubo mucho Espíritu Santo de por medio y gente lúcida, abierta; el clima era bueno, a pesar de toda la violencia. Se vivió un cierto clima de profecía, de inserción, de superación de barreras. Incluso aquí en Brasil para muchos hablar de comunismo o de marxismo no espantaba tanto, porque también el propio marxismo aquí en América Latina se vivió de un modo mucho más popular, mucho menos soviético.

- y te nombran obispo…
- Me nombran obispo el 23 de octubre de 1971, cuando lanzamos aquella carta pastoral que titulamos "Una Iglesia de la Amazonía en conflicto con el latifundio y la marginación social".Yo había escrito en el año 70 un documento de dos páginas muy sentido, porque empezaba a descubrir más en profundidad el mundo de los peones de las haciendas. El documento se titulaba "Feudalismo y esclavitud en el norte del Mato Grosso".
El nuncio me elogió, pero me dijo que no publicara eso, que perjudicaría la imagen de Brasil. Lo incluimos después en la carta pastoral. Llevaba las dos palabras: feudalismo y esclavitud. Algunos decían que hablar de feudalismo era una ignorancia trasnochada. Aquello que se vivió históricamente, se dio en otras condiciones, pero no dejaba de ser esclavitud. Fijaos que ahora cada dos por tres se descubren casos de trabajo esclavo, trabajo degradante, en la Amazonía y en todos los países.

- Hablemos de la Prelatura, de Sao Félix, de su estructura y organización.
- Prelazia o Prelatura aquí en Brasil son diócesis, verdaderas diócesis con obispo en la Amazonía. Ahora tenemos14. Sólo en Brasil existe ese tipo de figura, porque se habla también de prelatura y prelados en otros países del mundo pero no tienen el contenido y significado que aquí.
El pueblo cristiano se agrupa en comunidades eclesiales de base (CEB), que escogen a sus responsables en el Consejo Pastoral local, regional y general. También está la Asamblea de la Prelatura, formada por todos los equipos pastorales y todos los responsables de los consejos regionales (entre 120-130 personas). Existen nueve equipos pastorales que animan la pastoral de cada región. Hay pocos sacerdotes y ello obliga a formar líderes laicos y a preparar comunidades (según la eclesiología del Vaticano II). La pastoral tiene un fuerte componente social y político y abarca todos los órdenes de la vida de manera integrada.
Vivimos de la ayuda de fuera, de la solidaridad. Incluso hemos pensado varias veces qué podríamos inventar para que rindiese algo y no tener que vivir sólo de limosna, de solidaridad qué podíamos inventar aquí, ¿una hacienda?, ¿te vas a poner codo con codo con los hacendados? Imposible. Incluso, varias veces nos han dicho "¿por qué no compráis esa emisora de radio local que alcanzase toda la dimensión de la Prelatura?". Pero el problema no es comprar la emisora, que habría entidades en Europa que nos pagarían la compra, el problema es mantenerla.
Hace varios años que tenemos tres prioridades: formación, en todos los sentidos de la palabra; autonomía personal y económica y pastoral socio- política… A veces hemos dicho bromeando (y es verdad): si cada católico adulto diese un real por mes, doce reales al año, mantendríamos económicamente la Prelatura. A lo largo de los siglos la Iglesia-pueblo ha tenido experiencias de imperios que subvencionaban, "Francos" que subvencionaban, y el pueblo de la Iglesia católica no fue educado en mantener su Iglesia.

- ¿Cómo ha ido respondiendo la Prelatura de Sao Félix a la realidad social de cada momento?
- Se fundó la CPT (Comisión Pastoral de la Tierra), se fundó el CIMI (Consejo Indigenista Misionero). Nosotros seguimos con una pastoral muy politizada y ha habido críticas. Quizá sí que a veces fuimos muy politizados en el sentido de que a veces fuimos menos "espirituales" (dejemos las cosas en su lugar), quizá no supimos conjugar.
Nos hemos preguntado muchas veces en reuniones del CIMI, CPT, Pastoral Operaria, reuniones de Iglesia o del movimiento popular, hasta qué punto era legítima la suplencia, hasta dónde debería llegar; aquella historia famosa del "pescado": enseñar a pescar o dar pescado… Yo creo que en última instancia primero hay que dar pescado, para que tengan fuerza para andar y llegar hasta el río; habrá que comprarles quizá los instrumentos de pesca porque no tienen ningún tipo de infraestructura, no tienen condiciones ningunas para reclamar, para abrirse espacio…; después habrá que enseñarles, sobre todo a apoderarse del río.
Entonces, no se trata de suplir ahogando las iniciativas. Tanto en el CIMI, como en la CPT que instituimos varios compañeros obispos con esa conciencia y esa voluntad de asesorar, estimular, prestar nuestra voz donde ellos no podían tener voz. Fueron apenas "consejos", "comisiones". Nosotros creíamos en la importancia, sobre todo en esta América, de estimular las bases del movimiento popular y que los cristianos entrasen de lleno en el movimiento porque ya no sería suplencia del clero, sino vivencia cristiana dentro de las necesidades frente a las injusticias y en las reivindicaciones.
También tenemos aquí a las Hermanitas de Jesús, con una experiencia misionera de pura presencia, de pura vivencia, de pura encarnación, de testimonio: gritar el Evangelio con la vida, que decía la fundadora.
Por otra parte, en Aparecida incluso ahora, a pesar de todos los que quisieron acabar con el nombre de la Teología de la Liberación, se ha reconocido que esas pastorales de punta ayudaron y están ayudando mucho a no dormirse en un "irenismo" o falta de vitalidad. Porque si sólo tienes pastorales de tipo carismático, para cantar aleluya…, pueden convivir muy bien el patrón y el empleado. Pero, para vivir y trabajar, tener salud y educación para los hijos y ser libre, entonces… "No se puede servir a otro señor; no puedes servir a Dios y al dinero".
La teología de la liberación ha dicho, y es verdad, que nuestro problema principal no es el ateísmo, es la idolatría del consumismo, del lucro… Por eso digo siempre, y lo dicen otros muchos, que el capitalismo no tiene salvación, no se puede bautizar el capitalismo. Si es capitalismo, es el lucro, la acumulación, el privilegio, la marginación y el dinero por encima de la persona humana, la negación incluso de las propias patrias por causa de las multinacionales y transnacionales.

- ¿Cómo ve la Iglesia de hoy?
- Es mucho más ecuménica. Por ejemplo, los seglares, sobre todo la mujer tiene muchísima más presencia. Con respecto a la mujer, es hoy rara la "presencia" oficializada, pero es una presencia altísima, real, activa. La presencia y actuación de la mujer en la Iglesia de América Latina es hegemónica.
Yo ahora puedo asegurar con gratitud y certeza que a lo largo de estos 40 años he visto emerger a la mujer en la sociedad y en la Iglesia, a los indígenas (llegando a organizarse incluso en federaciones y confederaciones continentales, que la causa indígena o se salva continentalmente o no se salva).

- ¿Por dónde cree que debe caminar la Iglesia del futuro?
- Insistiendo, como providencialmente hizo, por lo menos de un modo puntual, el Vaticano II, en que la Iglesia es: "no el Pueblo de Dios, sino Pueblo de Dios", con otros muchos Pueblos de Dios que hay por ahí; toda la humanidad es Pueblo de Dios. Todos los pueblos son pueblos elegidos. Dios no hace preferencias. Entonces, que la Iglesia piense a partir de eso. En ese Pueblo de Dios hay carismas, hay ministerios, hay servicios, hay urgencias…, que se estimulen, que bendigan…; cada hombre y cada mujer tiene su vocación específica y sus complementarias.
En segundo lugar, el ecumenismo y el macroecumenismo. Incluso en América Latina no se puede hablar ahora de continente católico; porque sí, es católico, pero no sólo católico. El ecumenismo, si es sólo ecumenismo es excesivamente cerrado; por ejemplo, ¿cuánto hay de cristianismo en Asia? Una insignificante minoría, y hay una gran millonada de gente.
La Iglesia debe ser profecía y provocación, debe continuar y estimular cada vez más la actitud profética. Entendiéndose profecía como: anuncio, denuncia, consolación, compromiso práctico. También cada vez más la Iglesia debe ser pobre y gratuita. En Medellín los obispos hicieron el propósito de ser la Iglesia pobre, en nuestros títulos, en nuestro modo de vestir…, explicitaba incluso. Sin embargo, los títulos continúan, las mitras continúan, los vestidos continúan, y los eminentísimos o excelentísimos…
Si la Iglesia entendiese y acogiese a toda la humanidad como Pueblo de Dios, como hermandad universal, el compromiso de la Iglesia con la sociedad sería normal. El ser fermento en la masa, sería lo lógico, lo normal, porque la Iglesia no se consideraría sociedad aparte, sino un fermento evangélico en la sociedad, dentro de la sociedad. Y no se tendrían que hacer tantos equilibrios…, que si la acción social y la política es propia del laico…
Es propia de todos, cada uno en su categoría y en sus funciones. Ahora bien, lo que no hagamos por gusto y por respuesta pronta a las señales del tiempo, se nos impondrá por la base de la historia, pero mucho más rápidamente y a veces más dolorosamente. Por ejemplo, el mismo Comblin ha recordado varias veces que la iglesia perdió al obrero, y ahora se está perdiendo a la mujer. Y es verdad, hay muchas mujeres que dicen: "aquí no me reconocen con dignidad suficiente, no me dan espacio, pues me voy; montamos nuestra tienda".
Creo que uno de los desafíos mayores de este siglo es reconocer el derecho de los inmigrantes, discurrir bien lúcidamente y denunciar las causas de la inmigración, hacer lo posible para que no tengan que salir de su patria, ayudar a que en su propio país puedan vivir con dignidad, teniendo trabajo, sintiéndose ciudadanos. El problema de la inmigración está mezclado con el día a día del primer mundo y del tercer mundo.
La Iglesia debería ser más politizada, y al mismo tiempo vivir con serenidad la laicidad, reconociendo que es algo natural, que no es una especie de favor que se tolera. La sociedad es la sociedad y la Iglesia es la Iglesia; la Iglesia está en la sociedad, acontece dentro de la sociedad. Entonces está lo que es específicamente de la Iglesia y además lo que es específico de la sociedad, de una sociedad democrática, plural, mundial…; es ahí donde la Iglesia debe espabilarse.
Vosotros los obreros y obreras, ¡cómo no os espabiléis ahí con esa situación del trabajo, con respecto a la dignidad en el trabajo, para contestar a la flexibilización…! Bueno, pues a la luz de las circunstancias históricas y a la luz de la fe, vamos a ver qué hacemos, cómo lo hacemos. Los políticos profesionales que sean católicos o cristianos, a ver cómo contribuyen a partir de su fe y a partir de su condición de político.
No hay una respuesta previa dada ya: ¡votad como católicos! Pero estoy concretamente en España, o estoy concretamente en un país de Asia donde hay una minoría ínfima de cristianos católicos. Debemos desdogmatizar muchas cosas. Antes todo era categórico, dogmático, sabido…; hoy hasta la ciencia parte cada vez más de hipótesis y contra hipótesis. Se trata de relativizar lo que es relativo y absolutizar lo que es absoluto. Y lo absoluto no es poco: Dios es amor, todos y todas somos hijos e hijas de Dios y, por la misma, hermanos; Dios es vida, está asegurada la vida para todos y para siempre. Mucho más que eso: Jesús es el testimonio espléndido de ese Dios que es amor.

- ¿Ves aún hoy necesaria una pastoral especializada, una pastoral obrera?
- Habría que matizar. En principio, habría que decir que toda la Iglesia sea Iglesia, que toda la Iglesia sea misionera, que toda la Iglesia sea fermento como quería Jesús. Si ahora decimos que la gran primera máxima o primera identidad es ser gente humana, entonces la gran primera identidad de un cristiano es ser Iglesia, una Iglesia que evangeliza, una Iglesia que celebra, una Iglesia que profetiza, una Iglesia que está metida en la masa; porque sólo se es fermento en la masa. Si no hay masa, no hay fermento. ¿Para qué quiero fermento si no hay masa? ¿Para qué quiero el fermento a un lado y la masa a otro?
Hoy continúa siendo necesaria una pastoral específica. Imagínate que dijésemos aquí en Brasil, en América Latina, que no hace falta una pastoral indigenista, que los indios entran también en la Gran Pastoral, van a ser evangelizados.
Yo últimamente he insistido mucho en que deberíamos predicar más y vivir mejor la condición de raza humana, que en cierto sentido es nuestra primera y máxima, identidad. Después, viene la profesión o la clase. Es curioso, pasa de moda hablar de clase. Yo tengo aquel poemita que dice: "en el vientre de María el Verbo se hizo carne, se hizo hombre, y en el taller de José el Verbo se hizo clase". Uno piensa que demasiado precipitadamente se quiso olvidar la clase, eso fue así.
El obrero de hoy es un obrero diferente, no es el obrero del siglo XIX; hay categorías, hoy hay menos obreros y mucha más y mejor máquina. Es necesaria una pastoral obrera muy especializada: ¿por qué no el obrero va a evangelizar al obrero? Incluso debería ser cada vez más internacional.
Yo creo que la JOC (Juventud Obrero Católica) continúa siendo actualidad, que la HOAC continúa siendo actualidad, lo que pasa es que tanto los que son HOAC como los otros muchísimos que no lo sean han de colocar la HOAC en su debido lugar y con sus debidas responsabilidades, no pedir lo que no se le puede pedir y exigir lo que se le debe exigir.
Porque, por ejemplo, me pongo un poco en sus camisas…, si no se percibe que la HOAC es un grupo de obreros diferentes, ¿para qué queremos la HOAC? Es un obrero, honesto, trabaja, pero no pasa de ahí… Lo primero que uno debe ser es honesto, trabajar como trabajador, ser solidario con los compañeros y compañeras, pero, al mismo tiempo, que noten que es cristiano. No hará falta hablar mucho, hará falta ser. Porque posiblemente algunas críticas que se hacen, parten de que, como se experimentó aquí en América Latina, se politiza tanto que se pierde aquel plus de la fe, de la evangelización. Ahora bien, por otra parte, no se puede eclesializar tanto que hagas de un obrero un monaguillo infiltrado en la masa.
También creo que los movimientos especializados han de saber ser Iglesia con jerarquía, reconocer que el obispo es obispo, que el Papa es Papa. Y a veces incluso también con un poco de astucia evangélica que nos enseñó Jesús, tendrán que agradar un poco a los obispos, no cuesta nada mostrarles los proyectos, convidarles a una celebración o a una merienda. Pero teniendo una libertad adulta. Somos HOAC, somos Iglesia, somos Iglesia en el mundo obrero, somos Iglesia en el mundo obrero hoy, y por ser Iglesia en el mundo obrero, por definición somos Iglesia frontera, en el mundo obrero. Es más difícil que decir soy Iglesia en casa, con el trabajo normal, con mi familia, no me complico la vida… Hay que complicársela, si asumes tu misión te complicas la vida automáticamente, dentro de la Iglesia y fuera de la Iglesia. Sólo que ese dentro o ese fuera han de ser llevados con esperanza, con relativa serenidad sabiendo hasta dónde llegan los límites.
Si, por otra parte, vosotros no incomodáis un poco a los otros cristianos católicos y a la jerarquía, con respecto a las necesidades del mundo obrero, del mundo laboral ¿quién lo va hacer?

- Tú eres una persona de esperanza. A pesar de los sombríos tiempos que vivimos, ¿qué motivos tenemos para seguir manteniendo la esperanza?
- La pascua, la fe en el Dios que es Amor, la bondad del corazón humano con tantos gestos de solidaridad, de compromiso, de generosidad hasta el martirio. Sólo tenemos motivos para no desanimar. Existen. En última instancia el que se desanima soy yo. Hemos de evitar dar esa contribución pesimista, cuando ya hay bastante sufrimiento, bastante desencanto. Si nosotros los cristianos no tenemos esperanza, no sé a quién se la vamos a pedir.
Nietzsche decía que los cristianos deberían mostrar con la cara, con la vida, que tienen la esperanza que dicen en la Resurrección, en La Pascua; que lo demuestren.
A la esperanza siempre. Una esperanza creíble, evidentemente, que no es un "viva la Virgen".
Y la Pascua; yo tengo en el cuarto siempre pintada la palabra Pascua, me parece la palabra más cristiana, que engloba todo. La Pascua es que todos vamos a resucitar y todos nos vamos a salvar, según el Espíritu Santo.
También hay que ayudar a vivir con esperanza. La iglesia ha pecado, hemos pecado mucho, por anunciar temor, la muerte, el infierno, el Castigo de Dios... Yo lo repito mucho en mis homilías: Dios no castiga, no sabe castigar, no puede castigar, el Dios Amor no puede castigar; quien se castiga somos nosotros. Yo les pongo a veces un ejemplo: el otro día se estrelló un muchacho con motocicleta porque iba a 150 km/hora por esas carreteras. ¿Castigo de Dios? No, estupidez de él que iba a 150 por esas carreteras.
Recuadro:
- ¿Qué les dirías a los militantes de la HOAC (1) hoy?, ¿Qué les dirías a tus hermanos obispos de España?
- A mis hermanos obispos: Que nos ayuden y que nos ayuden todos a ser cristianos de verdad. Que seamos compañeros y hermanos con el pueblo, en la diócesis que nos ha tocado. Que seamos profecía con nuestro modo de ser, de vivir, con nuestro modo de hablar. Que optemos realmente por los pobres, contra la pobreza. Que nos despojemos personalmente y estructuralmente (la Iglesia anuncia el Evangelio de Dios a los pobres, a los pobres de Dios). Y que demos siempre, siempre, a pesar de todos los pesares, un testimonio de esperanza.
A la querida HOAC: Que se apasione por Jesucristo y por los pobres. Que viva comprometidamente el día a día con mucha libertad, con una fe adulta y con una esperanza contra toda esperanza, como dice San Pablo. Decían que decía un soldado español en la guerra española última famosa: "¿quién dijo miedo habiendo hospitales?". Yo digo que si hubiese tenido más humor habría dicho: "¿quién dijo miedo habiendo cementerios?". Y con mucho más humor aún diría: "¿quién dijo miedo habiendo Pascua?". Entonces, mucha esperanza, mucha esperanza. Y que no se olvide que sólo hay tercer mundo porque hay primer mundo. Si no hubiera primer mundo, no habría tercer mundo. Por tanto, vamos a por el mundo único.
"Hermandad Obrera de Acción Católica: Ha de ser auténtica hermandad, ese será el primer testimonio, insustituible. Hermandad Obrera que trabaja, que lucha por el derecho al trabajo y por la dignidad del trabajo. Una hermandad militante, luchadora, de acción. De acción evangélica, transformadora de la realidad en este mundo neoliberal que nos toca denunciar y combatir. Siendo Iglesia, una iglesia viva, por la corresponsabilidad, por la participación adulta.
En la libertad de los Hijos e Hijas de Dios. Siempre acogiendo, celebrando, construyendo el Reino. Con un abrazo muy fraterno en la Paz subversiva del Evangelio. Pedro".

Nota:
(1) La Hermandad Obrera de Acción Católica (HOAC) es un movimiento de Acción Católica especializado en el Mundo Obrero, integrado en la Federación de Movimientos de A.C., cuyo objetivo es la evangelización del mundo obrero.
La HOAC nace en 1946 como Movimiento Apostólico de la Acción Católica. Forma, orienta y sostiene militantes obreros cristianos con un Proyecto Evangelizador, entendidas como el logro progresivo de un modo de ser, de pensar, de sentir, de actuar y de vivir, personal y comunitariamente, profundamente cristiano.
Comisión Permanente Alfonso XI 4-3º 2814 Madrid
91 701 40 87 fax: 91 522 74 03. C.E. organizacion@hoac.es

[Publicado en Noticias Obreras, Julio 2008. Enviado por Ecupres]
* Hermandad Obrera de Acción Católica (HOAC)

Al publicar en medio impreso, haga el favor de citar la fuente y enviar copia para: Caixa Postal 131 - CEP 60.001-970 - Fortaleza - Ceará - Brasil

Para recibir el Boletín de Noticias de Adital escriba a adital@adital.com.br



Mercoledì, 03 settembre 2008