Colombia
Missionario italiano accusato di terrorismo

di Stella Spinelli

Padre Giacinto Franzoi, anima di Remolino, viene indicato fra i collusi con le Farc. La sua difesa


Colombia - 03.6.2008

Padre Giacinto Franzoi è da 18 anni l’anima di Remolino del Caguán, luogo sperduto fra la selva amazzonica, bagnato dal rio Caguán, dove caldo e umidità si contendono il territorio con guerriglia rivoluzionaria ed esercito regolare. E dove a farla da padrone sono da decenni distese di piantagioni di coca, venduta fino a pochi anni fa grazie al totale controllo che le Farc aveva sull’area.

La sua tenacia e il suo carisma li sono valsi stima e affetto, fra gente abituata a vivere alla giornata, senza prospettiva del futuro. E la sua lungimiranza ha portato grandi cambiamenti. Grazie al suo instancabile lavoro di organizzatore pignolo e scrupoloso, questa gente ora ha un collegio attrezzatissimo che forma i figli dei contadini del paese, ha un luogo di ritrovo per i ragazzi, con giochi, televisore e soprattutto persone disposte ad ascoltare e aiutare, e ha un progetto alternativo che ha convinto parte dei coqueros ad abbandonare quella coltivazione illecita e senza futuro, per abbracciare cacao e caucciù. La sua iniziativa, conosciuta con lo slogan "No alla coca, si al cacao" ha fatto il giro del mondo e i cioccolatini del Caguán sono ormai una prelibatezza ricercata anche all’estero. Nonostante i tanti ostacoli. Ma soprattutto, per merito di quel padre originale e sopra le righe, Remolino ha finalmente un acquedotto, efficiente e ben costruito, che garantisce acqua potabile fra case fatiscenti e strade sterrate. Ed è proprio quest’ultima opera, terminata sul finale del 2007 in tempi record, ad aver scatenato contro questo missionario italiano della Consolata una delle accuse più pericolose nella Colombia di oggi: la "collusione con la Organizzazione narcoterrorista Farc", parola del fiscale incaricato Ramiro Anturi Larraonda.

Personaggi scomodi. "Mi accusano di aver mal amministrato dei fondi pubblici, senza però menzionare a quale progetto si riferiscano. La fonte dell’accusa è ovviamente l’Esercito regolare presente a Remolino, dove sono appena stati gli agenti speciali del CTI, mandati da Bogotà per catturare decine di cittadini", racconta padre Giacinto, dalla Casa Regionale dei Missionari della Consolata di Bogotà. Si tratta dell’Esercito e della fanteria di marina, da quattro anni insediati in quella che poco prima era la zona rossa per eccellenza, ad alta presenza guerrigliera. Nonostante al missionario il Cti abbia spiegato che ad accusarlo è Accion Social, un organismo nazionale che dipende dalla presidenza della Repubblica, il padre è molto scettico. Pensa infatti a una sorta di lezione che l’esercito ha voluto infliggere a lui e all’intera missione che da oltre cinquant’anni è presente a Remolino. Per quella gente, sola e oppressa da un governo prepotente che li crede tutti collusi con le Farc, la Chiesa è un riferimento insostituibile. E i padri di Remolino, Giacinto e Angelo Casadei, non si tirano certo indietro nel denunciare comportamenti sbagliati e soprusi perpetrati da quegli uomini in divisa.

"Paghi chi mente". Ma Franzoi è riuscito a sapere quale opera è al centro della polemica, l’acquedotto, promosso e finanziato solo grazie a lui. La Provincia di Trento, infatti, ha accettato il progetto del padre e l’ha finanziato in buona parte. Il resto lo ha pagato la medesima Accion Social, che adesso accuserebbe il prete italiano. "Ma se nell’ottobre scorso rappresentanti di Accion in visita a Remolino si dissero meravigliati per la brevità nella realizzazione e per la professionalità e la tecnica utilizzata – incalza Franzoi - E non solo. A febbraio, io e un esponente della Presidenzia abbiamo firmato un documento finale di termine dei lavori e di consegna dell’opera, con piena soddisfazione delle parti. La fiducia che ci siamo guadagnati con questo progetto è molta, tanto che quest’anno verrà inizata la seconda tappa, con un finanziamento diretto da parte dello Stato. Quindi chiarirò questo triste equivoco e paghi chi dice bugie!".

Accuse infondate. "Si tratta di un’accusa irrispettosa, irresponsabile e indiscriminata. Da incontri fatti con detenuti, cittadini del Caguán e avvocati difensori dei prigionieri di Remolino si basa sul fatto che io avrei dato alle Farc 150 milioni di pesos colombiani. Ed è assurdo, perché è una cifra troppo grande per essere maneggiata ed occultata, specialmente dato che personalmente non pagavo i contratti, lasciando ad altri confratelli l’area della contabilità e dell’amministrazione. Questo sta a indicare che non ci poteva essere fuga di capitali senza il consenso di altri e ribadisco che nel febbraio 2008 il contratto è stato chiuso con piena soddisfazione delle parti, senza intercettare anomalie".

La dura legge della guerra. "Ma ahimé siamo in guerra e in guerra ogni mezzo è ammesso pur di vincerla. Nella strategia usata dagli Organismi di Sicurezza Nazionale esiste quella di utilizzare vecchi guerriglieri o supposti tali come informatori – spiega il missionario - Questi percepiscono un stipendio, vengono protetti e accompagnano le operazioni militari per indicare eventuali collaboratori della guerriglia. Le ’pesche miracolose’ o i ’falsi positivi’ si ripetono frequentemente, tanto più quando ogni Organismo dello Stato garante della Sicurezza e della Giustizia pressato dallo stesso Stato deve in qualche modo ottenere risultati. Solo dando dimostrazione di questo un avvocato, un giudice, un fiscale, un militare, un informatore può continuare a usufruire degli stessi benefici garantiti dal Governo.

Storie. "Sul palcoscenico di questa telenovela senza fine si vivono pagine che mai sono state scritte – racconta - E’ il caso di due uomini, abitanti nel territorio di Remolino. La vittima é un cittadino del paese che di professione fa il panettiere. Una domenica mi cerca prima della messa e nella strada della piazza principale mi informa che ha paura per la sua vita. Mi chiede se lo aiuto. Trascorre la mattinata e a mezzogiorno la moglie, per mano ai suoi tre bambini, viene a supplicarmi di aiutarla perché suo marito è stato ferito mortalmente. Lo riceviamo nella missione e per tre notti vive sotto la nostra protezione, fino a quando l’ Esercito se ne fa carico e lo porta via in elicottero.

Nei giorni, nelle settimane e nei mesi seguenti siamo rimasti sempre in contatto per sapere del suo stato di salute e di quello della famiglia. Nel mese di aprile 2008 ci incontriamo in una base militare di Bogotá e mi aggiorna sulla sua situazione di salute e su quella legale per l’attentato sofferto. È in questa circostanza che la ’vittima’ mi informa che tra i giovani presenti in quel momento nel giardino della base militare c’era pure un guerrigliero reintegrato al quale a suo tempo la guerriglia aveva dato l’ ordine di ammazzarlo. Per motivi diversi, per ragioni personali, per le stesse convenienze di circostanza i due ora sono alleati in qualità di informatori. E proprio quei due facevano parte del drappello di informatori che accompagnarono l’operazione del Cti l’11 maggio 2008 a Remolino del Caguán. Per le loro informazioni sono stati catturati 24 cittadini accusati tutti di essere terroristi. Parallelamente hanno formulato una lista di cittadini sospettati dello stesso delitto, tra cui ci sono pure io. E questo è quanto". Adesso il padre si è mosso contattando l’ambasciata italiana in Colombia affinché chieda a un rappresentante dello Stato di confermare o respingere l’accusa a suo carico. Quindi ha chiesto un incontro con Accion Social e ha informato di tutto l’amica Provincia di Trento, nonché i legali. "Considero anche opportuno inoltrare una querela allo Stato Colombiano per diffamazione. Dalla Colombia non partirò prima di chiarire la mia situazione legale, di onore e riparazione. Riguardo ai detenuti di Remolino del Caguan, che oggi sono andato a visitare, uno già sta ritornando a casa e nei prossimi giorni un bel gruppo farà lo stesso. Questa è un’ulteriore dimostrazione che le basi dell’accusa fanno acqua da tutte le parti. E ancora una volta lo Stato e i suoi Organismi di Sicurezza Nazionale non ne escono bene".


Stella Spinelli


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Martedì, 03 giugno 2008