Sud del mondo
Il compito dell’Europa

di Rosario Amico Roxas

L’Europa che è, finalmente, riuscita a darsi un assetto unitario a livello monetario, non è, però, riuscita ancora a darsi un assetto socio-politico-economico autonomo, mantenendo una dipendenza dall’America che mortifica la spinta autonomistica che pure è sollecitata dalle nazioni più europeiste, come la Francia, la Germania e la nuova Spagna.
L’Italia non può più dichiararsi "europeista", perché la politica estera "personalizzata" di Berlusconi ha ridotto, durante il suo nefasto governo, la nostra nazione a portavoce degli USA di Bush e pensare che per fare una politica estera così servile, succube, ubbidiente e priva di senso dello Stato, venne liquidato un uomo come l’ambasciatore Ruggeri che non avrebbe mai tollerato di ridurre l’Italia a scendiletto di Bush.
L’Europa ha questo grande compito per cultura, per la propria storia, per il proprio futuro, per la propria posizione geografica: aiutare l’integrazione non fra i paesi ricchi, sarebbe troppo comodo e facile, ma fra paesi ricchi e paesi bisognosi, per livellare sempre più il divario tra il superfluo e l’indispensabile.
Solo la strada dell’equa distribuzione delle risorse planetarie potrà condurre, nel tempo, alla stabilità mondiale, in nome dell’uguaglianza e della comune appartenenza all’unico genere umano.
Il Mediterraneo è un mare che unisce due continenti, non che li divide, come avviene con l’Oceano Atlantico che separa due culture assolutamente diverse; intorno al Mediterraneo ruota la grande Eurafrica Mediterranea, con un Nord opulento, sprecone e consumistico e un Sud in via di sviluppo che ha bisogno solamente di essere aiutato senza sfruttamenti di sorta. A Sud dei paesi rivieraschi ci sono i paesi sottosviluppati, malgrado le immense risorse naturali di cui dispongono; paesi potenzialmente molto ricchi, ma privi dei mezzi necessari per sfruttare le loro ricchezze.
In queste circostanze c’è, ovviamente, chi approfitta per dilatare il proprio arricchimento.
Il Medio Oriente è un teatro di guerra continua; lì il pragmatismo americano rivela tutta la sua nefandezza: vengono sottratte le ricchezze prodotte dal petrolio, barattate con altre ricchezze immense, che, però, vengono devolute ai pochi componenti delle locali oligarchie; le popolazioni restano fra le più povere del pianeta, malgrado la loro terra galleggi letteralmente sul petrolio.
Emerge, così, il mondo dei diritti negati, che, in genere, è composto dallo stesso popolo dei vinti; si dilata la forbice tra ricchezza e povertà, tra privilegi pretesi e diritti negati. Come sempre accade, sono i più deboli a pagare il prezzo più elevato: vecchi, donne, bambini.
Assistiamo impotenti o indifferenti ad uno spaccato della società futura per la quale il mondo Occidentale, che non ha saputo ancora ben identificarsi, prevede occasioni di sviluppo destinate a moltiplicarsi all’infinito. L’utopia di un mondo così rassicurante, si scontra frontalmente con una realtà ogni giorno più tragica.
Lo sfruttamento delle fasce deboli della popolazione planetaria ha assunto dimensioni globali: possiamo con certezza parlare di una globalizzazione dello sfruttamento, stante l’estensione della geografia di tale sfruttamento.
Sono trascorsi quasi 20 anni dalla Convenzione dell’ONU, che sanciva i diritti dei bambini, imponendo il rispetto di tali diritti a tutti i governi; quella convenzione, dimenticata, trascurata, disattesa è diventata carta straccia, non solamente perché i governi non hanno fatto nulla, ma perché sono subentrate le multinazionali nello sfruttamento del lavoro minorile e delle donne, ponendo gli stessi governi nella condizione di non potere espletare il mandato dell’ONU sui diritti dei bambini neanche nel suo primo punto, quello del diritto all’istruzione.
Questo mondo occidentale, al quale apparteniamo, ci ha abituati a non guardarci intorno, a non vedere, ma solo a essere informati; abbiamo perso l’uso della comunicazione e ci accontentiamo di sapere quello che altri hanno deciso di farci sapere, senza alcuna capacità critica. Stiamo annegando in una forma di democrazia che, in realtà, è la negazione stessa della vera democrazia, perché una parte minoritaria del pianeta pretende di imporre le sue scelte e la sua legge, violentando gli altri popoli con l’uso della forza: l’esatto contrario di ciò che si chiama democrazia.
Ci hanno convinto che il diritto a esprimere le proprie opinioni sia una grande conquista, di cui, peraltro, dovremmo essere grati a chi ce l’ha fatto ottenere.
La parola è azione, è il primo passo verso l’applicazione della legge del più forte; cosa me ne faccio del diritto alla parola se il mio contendente tiene per sé il pulsante che comanda il microfono, oppure ha la voce più forte o una capacità dialettica più raffinata o, più semplicemente, mi impone il silenzio con la minaccia di ben più aspre reazioni ?
Dalla parola come azione è facile passare ad altro tipo di azioni tendenti a prevaricare gli altri, i più deboli, quelli con la voce fioca o, peggio ancora, quelli che non si vogliono ascoltare.
Il vero principio che unifica e salda il concetto di democrazia e lo rende valido universalmente non è solo il riconoscimento del diritto di poter parlare ed esprimere le proprie opinioni, ma questo diritto deve essere supportato dal dovere di saper ascoltare anche i più flebili lamenti, le voci di chi chiede l’indispensabile per sopravvivere.
Recita un proverbio arabo:

"..fa molto più rumore un albero che cade che un’intera foresta che cresce";

il diritto alla parola è il rumore dell’albero che cade, la vera democrazia è l’intera foresta che cresce.

Lo stravolgimento dei valori insiti nell’uomo ha modificato tutta l’architettura dello sviluppo umano, confinandola dentro un mondo materiale, a senso unico, che ha inglobato nei suoi ingranaggi anche le coscienze.
In questa nuova architettura c’è una frattura verticale che separa

• il mondo Occidentale, che dello sviluppo tecnologico ha fatto il fulcro della sua storia contemporanea, dal resto del mondo;

• dalla parte occidentale c’è una società massificata, dedita al capitalismo più sfrenato, in grado di condizionare l’autonomia dell’individuo;

• dall’altra parte il resto del mondo, che non riesce a percepire di essere diventato ostaggio della prima in una corsa insensata verso il progresso, identificato esclusivamente con lo sviluppo tecnologico.

La società occidentale capitalistica ha ridotto ogni valore a merce di scambio, a bene di consumo, con le leggi dell’economia e del profitto che vengono privilegiate nei confronti delle leggi della natura, della pacifica convivenza e della solidarietà fra tutti i popoli.
Le idee e, quindi, le ideologie, hanno perso il loro peso sulla coscienza, sostituite con l’anti-idea della modernità; una modernità che ha colpito al cuore le coscienze, iniettando una fede cieca in una tipologia di ragione che, pretendendo di rendere gli uomini padroni di sé e della natura, li ha precipitati in un baratro irrazionale. La conoscenza scientifica si è ridotta ad una mera ricerca quantitativa, molto attenta alla correttezza formale, ma non ai contenuti, diventando, così, uno strumento della società capitalistica, che ha incarcerato nei suoi ingranaggi le coscienze e con esse lo sviluppo della centralità dell’uomo.
La frattura verticale della nuova architettura dello sviluppo si aggrava ulteriormente, in quanto inizia il percorso con l’esercitare il dominio dell’uomo sulla natura, ma sfocia, ineluttabilmente, nella volontà di dominio dell’uomo sull’uomo, della struttura sociale sulla struttura individuale. Anche la cultura ha smarrito la sua autonomia e si è trasformata in una "industria culturale", che sfrutta ogni bene solo a fini commerciali e soffoca ogni libertà di scelta e di analisi individuale; prevale la dittatura del pragmatismo capitalistico, che dà valore solo a ciò che ha successo commerciale.
L’alternativa all’ "industria culturale", che stratifica ogni manifestazione culturale in una categoria omogenea e acritica, resta il Nuovo Umanesimo, testimone dell’esistenza, nel cuore degli uomini, di qualcosa che non si può piegare alla "volontà di potenza" del mondo capitalistico, di qualcosa che è sopravvissuto alla stratificazione massificante degli interessi materiali.

Rosario Amico Roxas



Domenica, 25 novembre 2007