Quarant’anni fa a Memphis (Usa) un mano premette il grilletto di un fucile…
Il sogno di M. L. King che ci appartiene

di ROBERTO RUSSO

L’apostolo della nonviolenza fu fisicamente abbattuto ma la sua ricerca di giustizia sociale, la forza profetica del suo pensiero teologico e politico continua a interrogare le coscienze


IL 4 aprile di quaranta anni fa a Memphis, nel Tennes­see, alle 18,01 una mano invi­sibile, da circa 60 metri, pre­me il grilletto di un fucile Re-mington dotato di mirino te­lescopico e colpisce in pieno volto il pastore battista Mar­tin Luther King.
King era corso a Memphis il 28 marzo da New York per portare il suo appoggio a uno sciopero di spazzini, invitato per parlare di salari, di sinda­cati, di contratti, per incorag­giare gli scioperanti a vincere l’ostilità dei quadri sindacali tutti bianchi e rivendicare uguali diritti e paghe per la­vori uguali. Gli uomini e le donne non potevano più es­sere impiegati e pagati in ba­se al colore loro pelle. King ri­teneva importante che venis­sero varati dei piani specifici per combattere la povertà e l’emarginazione. La sua for­mazione teologica compren­deva i contributi di Reinhold Niebuhr, teologo e militante del Partito socialista america­no, e di Walter Rauschenbu-sch pastore battista e promo­tore del movimento Social Gospel. Influenzati dalle esperienze socialiste cristiane inglesi, per le quali la fede era anche senso di responsabilità e solidarietà, essi proponeva­no una teologia che si inte­ressasse anche politicamente della vita dei più deboli.
King arrivò a Memphis in ritardo quando la marcia era già iniziata. Si accorse subito che qualcosa non andava. All’improvviso decine di gio­vani uscirono dalle file del corteo e al grido di «Black Power» cominciarono a fra­cassare tutto quello che tro­varono. La polizia caricò. King fu costretto dai suoi amici ad andare via. Un ra­gazzo venne ucciso e i suoi collaboratori lo videro pian­gere disperato. Per la prima volta in una marcia da lui guidata erano scoppiati di­sordini e violenze. Sua mo­glie Coretta racconterà la profonda depressione del marito nei giorni che segui­rono la manifestazione. Jesse Jackson ricordando quei mo­menti disse: «Alcuni di noi non capirono che egli stava attraversando un momento di estrema tensione; si trova­va nell’orto del Getsemani, tentava d’intravedere la via da seguire e di prendere la decisione giusta».
Gli ultimi giorni
King aveva soltanto cinque giorni di vita. In questi ultimi giorni trovò ancora nella fede la forza per andare avanti. Anni prima in un altro mo­mento difficile della sua vita aveva confessato: «La mia esperienza con Dio mi aveva dato nuova forza e fiducia. Sapevo ormai che Dio è ca­pace di darci le risorse inte­riori per affrontare le tempe­ste e i problemi della vita». Jackson ricordò che in quelle ultime ore Martin L. King gli confidò che aveva visto la montagna dell’Antico Testa­mento. La montagna lo a­spettava quel mercoledì 3 aprile di quaranta anni fa. Quel giorno, sotto una piog­gia battente, qualcuno stava preparando un omicidio.
Era in programma un suo discorso, quella sera, ma i suoi collaboratori gli sconsi­gliarono di andare. La piog­gia, dicevano, ridurrà il pub­blico e darà modo alla stam­pa di screditare ulteriormen­te la sua figura. Pensieroso, decise di farsi sostituire da un altro conferenziere. Ma dopo pochi minuti il pastore Ralph Abernathy lo chiamò e gli disse che c’erano quasi duemila persone nel Mason Temple che desideravano ve­derlo e udirlo. King indossò un impermeabile e uscì sotto la pioggia per la sua ultima predicazione, forse la più bella e più commovente della sua vita. Credo che questa ul­timo toccante discorso rap­presenti ancora oggi un esempio su come deve essere costruita una predicazione. Esprime l’unicità di questo pastore capace di coniugare tematiche sociali controverse con la profondità del testo bi­blico e con i richiami alla sua vita di ogni giorno.
Testamento spirituale
Le sue parole sono un te­stamento spirituale di un uo­mo che sembra conoscere il futuro che lo attende, lo stes­so del presidente Kennedy a Dallas e di Malcom X ad Harlem. King sapeva che l’Ame­rica che solo nel 1963 lo ave­va incoronato «Uomo del­l’anno», quel popolo che era andato fino a Washington per sentire il famoso predica­tore cristiano nero, non gli avrebbe perdonato di dire la verità sulla sporca guerra combattuta in Vietnam, e sul modello capitalistico ameri­cano, un sogno non alla por­tata di tutti. King, contro il parere di alcuni leader neri che temevano di perdere amici a Washington, comin­ciò a schierarsi pubblicamen­te contro la guerra del Viet­nam. Collegava la guerra alla povertà: «Spendiamo tutto questo denaro per la morte e la distruzione e non ne desti­niamo abbastanza alla vita e allo sviluppo costruttivo».
Oggi conosciamo molte co­se su quella impresa bellica. Sappiamo che nel corso dei combattimenti furono sgan­ciate sul Vietnam, sul Laos, e sulla Cambogia sette milioni di tonnellate di bombe, più del doppio di quelle lanciate sull’Europa e sull’Asia duran­te tutta la Seconda Guerra mondiale. Inoltre gli aerei spargevano sostanze veleno­se per distruggere gli alberi e ogni tipo di vegetazione: fu irrorata di veleno un’area di estensione pari a quella dello stato del Massachussetts.
Il 12 agosto 1965 King chie­de la moratoria dei bombar­damenti sul Vietnam per faci­litare la soluzione negoziata del conflitto. Dirà: «Per tutto il corso della mia vita ho rifiu­tato la violenza e la guerra co­me soluzione dei problemi dell’umanità. Sono ferma­mente persuaso del potere creativo della nonviolenza, come di una forza capace di condurre a una fraternità du­revole e significativa a alla pa­ce. Per me è talmente eviden­te il rapporto che lega il mio ministero pastorale al dovere di costruire la pace, che tal­volta mi stupisco che mi si domandi come mai parlo contro la guerra. Com’è pos­sibile che i miei interlocutori non sappiano che la “Buona Novella” si rivolge a tutti gli uomini: ai comunisti e ai con­servatori, ai loro figli e ai no­stri, ai neri e ai bianchi, ai ri­voluzionari e ai conservatori? Hanno dimenticato che il mio ministero è istituito in obbedienza a colui che ha amato i suoi nemici al punto di morire per loro? E allora, che cosa posso dire ai Viet­cong, o a Castro o a Mao, in qualità di ministro fedele di costui? Posso minacciarli di morte, o dovrò invece condi­videre con loro la mia vita?».
King, nei sei mesi prece­denti il suo assassinio, inten­sificò i suoi interventi contro la guerra. Affiancò in questa battaglia altri due importanti personaggi, entrambi nati in una famiglia battista, Malcom X e Cassius Clay, il primo fi­glio di un pastore battista uc­ciso dal Ku Klux Klan. Nel di­cembre del 1967, il Fronte di liberazione vietnamita lanciò una contro offensiva a sor­presa (nei giorni del Tet, il Capodanno vietnamita), che lo portò a ridosso di Saigon.
L’offensiva fu respinta ma le perdite americane furono ingenti. L’esercito tentò di nascondere all’opinione pubblica l’episodio, ma nel marzo del 1968 la crudeltà della guerra cominciò a tur­bare la coscienza di molti cit­tadini. Quarantamila giovani erano già morti e duecento­cinquantamila erano stati fe­riti. L’amministrazione ame­ricana non poteva tollerare le critiche, sempre più condivi­se dall’opinione pubblica americana, da parte del pre­dicatore battista.
Uomo bersaglio
King divenne allora un ber­saglio prioritario per l’Fbi che intercettava le sue telefonate, gli inviava lettere false, lo mi­nacciava, lo ricattava e una volta lo invitò con una lettera anonima a suicidarsi. Docu­menti interni dell’Fbi accen­nano alla necessità di trovare un leader nero che rimpiaz­zasse King. Un rapporto al Se­nato avrebbe rivelato che nel 1976 l’Fbi tentò di «distrugge­re in tutti i modi il dottor Mar­tin Luther King», anche attra­verso pettegolezzi infondati. Il 18 luglio 1968 L’Europeo pub­blica delle rivelazioni di un ex agente dell’Fbi, William W. Turner. L’agente si ricor­da di una delle tante fotogra­fie scattate sulla collinetta che sovrasta la Dealey Plaza, dalla quale secondo molti te­stimoni, fu sparato il presi­dente Kennedy. Nella foto­grafia si vede un uomo cir­condato da poliziotti. Quel­l’uomo è James Earl Ray, l’as­sassino di King. Appare subi­to strano che l’assassino del ministro battista fosse riusci­to da solo a organizzare con tanta cura l’omicidio.
Non fermarsi mai
Il leader nero decise solo all’ultimo momento di fer­marsi a Memphis e di dormire proprio in quell’albergo. Solo chi ascoltava di nascosto tutte le telefonate dello staff di King poteva conoscere perfetta­mente i suoi movimenti. Nes­suno sa realmente ciò che at­traversò la mente di King quella sera al Mason Temple.
Disse: «Non ci sarebbe tra­gedia peggiore che fermarsi a questo punto, a Memphis. Dobbiamo andare fino in fondo». Nessuno sa perché quella sera parlò diverse volte della sua morte. Cominciò a parlare dimenticando gli ap­punti del discorso che aveva preparato: «Anche noi, come Davide, - disse - in tante cir­costanze della vita dobbiamo arrenderci ai fatti: i nostri so­gni non si sono realizzati». Cinque anni prima ai piedi del monumento di Abramo Lincoln aveva convinto la fol­la dicendo: «I Have a dream». In quel caldo giorno di agosto ad ascoltarlo erano andate più di duecentocinquantami­la persone. Quella fu la prima e ultima protesta civile tra­smessa in diretta dalle televi­sioni statunitensi. Il «discorso del sogno» è diventato un evento universale per tutte le generazioni contemporanee e successive come lo sbarco in Normandia, l’abbattimento del muro di Berlino o lo stu­dente cinese davanti ai carri armati a Tienanmen. Da allo­ra quel sogno appartiene a ciascuno di noi.
King annunciando il suo sogno raggiunse l’apice della popolarità. Diventò la co­scienza morale dell’America. Cinque anni dopo il suo più famoso discorso, cominciò invece parlando di sogni in­franti. Aveva chiesto al suo Paese di essere all’altezza di quegli ideali e ora si rendeva conto che quel sogno era an­cora lontano. Disse: «Così è la vita. Quello che mi rende feli­ce è che attraverso la pro­spettiva del tempo riesco a sentire una voce che grida: forse non sarà per oggi, forse non sarà per domani, ma è bene che sia nel tuo cuore. È bene che tu ci provi. Magari non riuscirai a vederlo. Il so­gno può anche non realizzar­si, ma è comunque un bene che tu abbia un desiderio da realizzare. È bene che sia sta­to nel tuo cuore».
Qualche ora più tardi ap­parirà come se egli avesse sa­puto esattamente ciò che sta­va per accadere. Terminò quella sera dicendo: «Ci aspettano giorni difficili. Ma davvero, per me non ha im­portanza perché sono stato sulla cima della montagna. Come chiunque, mi piace­rebbe vivere a lungo: la lon­gevità ha i suoi lati buoni. Ma adesso non mi curo di que­sto. Voglio fare la volontà di Dio. E Lui che mi ha conces­so di salire fino alla vetta. Ho guardato al di là, e ho visto la terra promessa. Forse non ci arriverò insieme a Voi. Ma stasera voglio che sappiate che noi, come popolo, arrive­remo alla terra promessa. E stasera sono felice. Non c’e niente che mi preoccupi, non temo nessun uomo. I miei occhi hanno visto la gloria del Signore (…). Se riesco a fare il mio dovere come do­vrebbe fare un cristiano, se riesco a diffondere il messag­gio come il Maestro ha inse­gnato, allora la mia vita non sarà stata invano». Uscì nella pioggia incoraggiato dagli applausi, lasciando a neri e bianchi la propria speranza e la prefigurazione di un futuro di armonia tra le razze, la sua visione di una umanità resti­tuita. Qualche ora più tardi una mano premerà un grillet­to di un fucile.
Quel pomeriggio Robert Kennedy stava parlando a In­dianapolis, quando gli passa­no un biglietto. Diventa palli­dissimo, mormora con voce commossa: «Ho una notizia gravissima da darvi. Martin Luther King è stato assassina­to. Anche mio fratello è stato ucciso in questo modo… Toc­ca a noi che rimaniamo rea­lizzare il sogno per cui hanno sacrificato la vita, la giustizia e l’amore tra gli uomini».
Due mesi dopo toccherà a lui.

Il presente articolo è tratto da Riforma - SETTIMANALE DELLE CHIESE EVANGELICHE BATTISTE, METODISTE, VALDESI Anno 144 - numero 14 - 4 aprile 2008. Ringraziamo la redazione di Riforma (per contatti: www.riforma.it) per averci messo a disposizione questo testo



Domenica, 06 aprile 2008