Lettera
Termini fuorvianti

di Veronica Tussi

Sulla questione dell’aborto


Gentilissima signora Lucia Annunziata, lei scrive su La Stampa del 24 dicembre:"Se si rimane sull’idea che la vita inizia solo dopo alcune settimane, la valutazione che si fa sulla conseguente contraddizione fra libertà e vita si annulla tranquillamente. Liberarsi di un nulla non pone nessun problema né morale né di scelta.Se invece si sostiene che la vita è tale dal momento in cui la scintilla del concepimento si accende, allora stiamo parlando del diritto delle persone a pieno titolo a non essere uccise".
Mi sembra che lei, forse per mancanza di spazio, trascuri alcuni aspetti del complesso problema dell’aborto.Innanzi tutto vorrei farle osservare che vita e persona non sempre si identificano; nessuno infatti identificherebbe un seme che germoglia con un albero, un punto con una linea, il progetto di un palazzo con un palazzo. Ed impedire ad un seme che germoglia di diventare pianta, non è la stessa cosa che eliminare la pianta, così come distruggere il progetto di un palazzo non è come distruggere un palazzo. Tuttavia l’embrione anche appena formato non è un nulla, e il problema morale si pone in ogni caso. Purtroppo la condizione dell’uomo è tale per cui in determinati casi è "costretto" a fare il male. Così avviene nel caso delle legittima difesa: l’uccisione dell’aggressore è giustificata anche se si tratta di un folle e quindi di un innocente. Lei poi usa termini, in alcuni casi (forse non si riferisce a quelli?) fuorivianti: "diritto delle persone a non essere uccise". Non sempre si tratta di "diritto", giacché il diritto reca vantaggio a chi ne usufruisce e nel caso, ad esempio, del concepito portatore di gravissima malattia o malformazione, il termine è improprio. E in questo particolare caso l’aborto non può neppure essere considerato un male. "Uccidere" anche è termine improprio, giacché suggerisce l’idea di violenza e di malanimo verso la persona cui viene tolta la vita. Forse lei si riferisce ai casi in cui la donna rinuncia alla maternità, pur non essendo strettamente necessario. Questo però è un problema morale che riguarda l’individuo e non gli Stati che hanno legalizzato l’aborto. La legalizzazione, infatti, risponde alla norma morale della scelta del male minore (rispetto al male maggiore degli aborti clandestini).


Veronica Tussi



Mercoledì, 26 dicembre 2007