Lettera
E ci risiamo!

di Alberto Vitali

Sul caso Eluana Englaro. Un articolo del Catechismo della Chiesa Cattolica ed una pagina da un vecchio libro di morale


Carissime/i, con il caso di Eluana Englaro ci risiamo a vivere nuovamente le angosce del caso Welby, anche se la situazione mi appare persino piu’ definita.

Quello che non capisco e’ perche’ non si decidano, una volta per tutte, a modificare il Catechismo della Chiesa Cattolica, cosi si toglierebbero l’ambascia di doversi inventare, ad ogni occasione, motivazioni ad hoc per sostenere l’esatto contrario. Certo, si tratterebbe di modificare e percio’ sconfessare la dottrina tradizionale cattolica in campo morale, ma visto che le alte gerarchie ecclesiali stanno dando bella mostra di non tenerle comunque in considerazione, tanto vale... Ormai ai solidi e tradizionali principi della morale cattolica (quelli stessi che - accidenti - noi criticavamo, in nome di una concezione piu’ esistenziale della morale!) e’ stata sostituita l’opportunita’ politica del momento.

In tutti i modi vi incollo qui sotto due testi che avevo gia’ fatto girare ai tempi di Welby: l’articolo relativo del Catechismo e una pagina tratta da un vecchio libro di morale, in uso alcuni decenni fa nei seminari e scritto qualche decennio prima.

" L’interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi può essere legittima": dopo 17 anni ditemi voi!

ciao,
Alberto Vitali
www. sicsal.it
www. paxchristi.it


Catechismo della Chiesa cattolica

art. 2278. L’interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi può essere legittima. In tal caso si ha la rinuncia all’«accanimento terapeutico». Non si vuole così procurare la morte: si accetta di non poterla impedire. Le decisioni devono essere prese dal paziente, se ne ha la competenza e la capacità, o, altrimenti, da coloro che ne hanno legalmente il diritto, rispettando sempre la ragionevole volontà e gli interessi legittimi del paziente.


G.B. Guzzetti, Morale individuale, NED – Milano, pagg. 234-236

L’eutanasia come sospensione di interventi straordinari in chi non ha che una parvenza di vita e non ha alcuna speranza nemmeno di qualche recupero.

Ben diversa è la valutazione dell’eutanasia intesa come sospensione di interventi straordinari in soggetti che hanno soltanto una parvenza di vita, senza alcuna speranza del benché minimo recupero.

E’ diversa la valutazione da dare per il paziente stesso il quale ha sì il diritto e il dovere di conservare e di sviluppare la sua vita fisica, ma è un diritto ed un dovere che devono armonizzarsi con la conservazione e lo sviluppo di tutti i piani della vita umana (intellettuale e morale, naturale e soprannaturale). E questo implica che il diritto ed il dovere si limitino ai mezzi ordinari, a meno che si tratti di casi del tutto particolari nei quali - o in ragione della persona o in ragione della situazione o in ragione delle cure che vengono praticate, ecc. - la conservazione e lo sviluppo della vita abbiano evidenti riflessi sociali. Se questo vale anche quando la vita o la salute si possono conservare o recuperare che dire quando si ha a che fare con pazienti che hanno solo una parvenza di vita senza la speranza del benché minimo recupero?

Per tale motivo il paziente può chiedere che di fronte a situazioni come quelle sopra ipotizzate si sospenda l’impiego di mezzi straordinari. Altrettanto si dica per i medici: se è vero che fa parte della loro professione lottare senza posa, con tutte le loro forze e con tutti i mezzi - anche straordinari - contro la malattia e contro la morte, è anche vero, che tutto ciò non può essere affermato per ogni malato ad ogni moribondo, essendo della natura dei mezzi «straordinari» di non essere praticabili per tutti indistintamente. Il dovere di fare anche gli interventi straordinari varrà dunque soltanto in quei casi nei quali o per la natura della persona o per la natura del male o per altri motivi, l’intervento può ridondare a vantaggio di tutti.

Altrettanto vale per il pubblico potere. Né si dica che, sospendendo l’intervento straordinario nella persona sopra ipotizzata, si uccide, si provoca la morte: chi uccide è la malattia o l’incidente, contro i quali si cessa di lottare perché la lotta non ha più senso. Non si dica nemmeno che la vita è il bene supremo e che bisogna difenderla con tutti i mezzi possibili. Scrive Marcozzi: «Se la vita fosse il bene supremo, si dovrebbe mantenerla a tutti costi; ma se la vita è un bene, un bene grande, ma ordinato a quello supremo, c’è un limite nel mantenerla. E come esiste il diritto alla vita, esiste un diritto a morire in pace. Poiché questa vita è ordinata all’altra, a quella eterna e divina, l’uomo ha il diritto e il dovere, a un certo momento, di arrendersi dinanzi ai messi della morte per meglio prepararsi al passo supremo. E coloro che ci amano dovrebbero prepararci a compierlo con serenità e fede» (L’eutanasia di fronte alla legge naturale e alla legge rivelata, p. 207).



Venerdì, 11 luglio 2008