Benedetto XVI ha voluto esorcizzare la remota ipotesi di una eternità terrena; l’impegno della scienza è una lotta contro
la morte, contro le malattie, per consentire una qualità migliore della vita e non certo per toccare l’eternità terrena.
Da sempre l’uomo aspira all’eternità; da questa esigenza nacquero i semi-dei che avrebbero avuto il dono dell’immortalità.
Ma è sempre rimasta valida la consapevolezza che l’eternità appartiene allo spirito, quando, terminato il percorso terreno
tornava a ricongiungersi nella dimensione ultra terrena di un eterno presente. Anche le religioni animistiche hanno
privilegiato una eternità estranea alla materia e legata ai simboli stessi della vita; ce lo dice il culto dei morti presso
quelle popolazioni rimaste primitive, ancora portatrici di antichissime usanze.
Nella nostra epoca super tecnologica, nella quale l’uomo si illude di avere scoperto i misteri della vita e i segreti
dell’essere, emerge la presunzione di superare i limiti imposti dalla natura per sovvertire l’ordine naturale e ridurlo
alle esigenze individuali.
Iniziando l’itinerario con l’esasperato inseguimento dell’eterna giovinezza, è diventato pressoché naturale insistere sul prolungamento della vita, per rispondere alla domanda impellente: “Quanto ?”, che ha
sostituito la più naturale domanda “Come ?”.
La scelta è riservata ai privilegiati che coniugano insieme il “quanto” e il “come”, incapaci di valutare l’altra parte
della popolazione, che risulta essere quella maggioritaria, che non vede soddisfatta la qualità della vita e che ne riduce,
per conseguenza, anche la durata.
Emerge il trionfo dell’apparenza insieme all’assoluta necessità di esibirsi in ciò che non si potrà mai essere. Così gli
anni che passano inesorabilmente, vengono neutralizzati con interventi chirurgici ricostruttivi dell’apparenza decaduta,
per azzerare gli effetti del tempo e immaginare una realtà che non è, ma semplicemente appare.
Ma la realtà rimane immutabile, malgrado l’apparenza; il destino dell’uomo è nell’eternità oltre la vita terrena, nella
partecipazione al mistero che la genera e la conclude.
La vita dentro le apparenze rende ridicoli, trasforma l’individuo che si presta al giochetto di azzerare la cronologia, in
un essere disadattato, incapace di vivere il suo tempo, perché impegnato ad inseguire il passato, rallentare il futuro e
fermare il presente.
Un ultra-settantenne che vuole vivere fuori dal suo tempo naturale, stimola penosi sentimenti di commiserazione; si ritrova
convinto di possedere il “come” della vita, per cui insegue il “quanto”; ma la realtà, impietosa, lo ridimensiona con
strattoni che lo richiamano al quel suo tempo reale che tenta invano di non considerare.
Così si lascia immortalare mentre si dedica ad imprese impossibili, ma di grande apparenza, come esibirsi in improbabili e
fallimentari performances che sfiancherebbero anche un ventenne.
Si mescola ai giovani che invita al suo desco e li stimola all’entusiasmo, mentre cede all’incombere del tempo svenendo
pavidamente.
Sfida i più giovani in prestazioni sportive e si rompe un menisco.
Vanta una iperattività che lo distanzia dai suoi simili, ma gli necessita trasformare quel cuore che Dio forgiò dal fango
perché destinato a tornare ad essere fango, in una apparecchiatura elettronica, sostenuta e mantenuta in vita da impulsi
che non provengono dalla vita, ma dall’officina di uno sfasciacarrozze, in grado di tamponare, temporaneamente, gli effetti
devastanti del tempo irrimediabilmente trascorso.
Con parole certamente più dotte e con argomenti più selezionati, Benedetto XVI ha voluto rilanciare il messaggio di
adesione alla vita, a quella che è sempre stata e che continuerà ad essere, con l’invito a dilatare a tutti la qualità
della vita, perché essa è di pertinenza umana, senza lasciarsi ossessionare dalla conquista di una ipotetica eternità, che
appartiene solo a Dio, e che trasformerebbe il pianeta in un grandissimo ospizio.
Rosario Amico Roxas
Lunedì, 10 marzo 2008
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