Lettere
Il signore delle mosche

di Concetta Centonze

TUTTI i miti contengono un significato per comprendere l’umanità.

Prendiamo il mito delle Grazie: erano le dee della gioia del fascino e della bellezza, si chiamavano Aglaia, splendente, Eufrosine gioia e letizia e Talia portatrice di fiori.

Esse presiedevano ai banchetti, alle danze e ad altri piacevoli eventi sociali, e diffondevano gioia e amicizia tra dei e mortali. Spesso accompagnavano Afrodite ed Eros, le divinità dell’amore. Donavano ad artisti e poeti, come le muse, la capacità di creare bellissime opere d’arte.

Quale significato antropologico possiamo attribuire loro? Mi pare che ” il “senso” che si nasconde sotto il “velo” dell’allegoria sia evidente: esse rappresentano la civilizzazione che spingeva l’uomo a superare il proprio stadio animalesco attraverso la socializzazione la bellezza e la benevolenza.

Questo ci hanno detto gli antichi.

Il mito ha alimentato la civiltà classica latina e greca esprimendosi nelle conquiste del pensiero filosofico e dell’arte.

Questa civilizzazione, però, non era ancora umanizzazione perché era gravemente incompleta: riguardava un numero limitato di persone: un’ élite privilegiata.

La civiltà greca terminò con l’olocausto delle conquiste di Alessandro Magno; quella latina con il cannibalismo del romanzo di Petronio.

D’altra parte il cannibalismo esplodeva proprio in quanto qualcuno era venuto per indicare all’uomo una strada nuova per comprendere l’uomo : il Cristo.

Il Cristo non morì perché così voleva Dio, ma perché così volle Caifa, il gran sacerdote garante della legge mosaica, che vedeva nel Cristo un pericolo per il suo potere e per il nazionalismo ebraico.

Chi si aspettava qualcuno che purificasse il tempio e il sacerdozio era incappato nel Cristo che predicava la fine del tempio e del sacerdozio, la liberazione da tutti i recinti delle identificazioni nazionalistiche, religiose, culturali affinché si realizzasse la pienezza dell’umanità: vedere negli altri semplicemente un’altra faccia, un’ altra espressione di sé da comprendere, amare, correggere, e da cui lasciarsi comprendere amare, correggere.

Quindi, dopo la civilizzazione delle Grazie, venne l’Illuminazione del Cristo. Ma la “civiltà” prese il Cristo e lo trasformò in cristianesimo con libri, sacrifici, tempio, sommo sacerdote impegnandosi affinché non sopraggiungesse mai l’umanizzazione.

Lo fece con le crociate, con l’inquisizione, con il santo uffizio, con l’Indice dei libri proibiti, con il massacro cruento o incruento delle popolazioni e civiltà diverse.

Il cristianesimo è una forza camaleontica che contamina e mistifica, si camuffa e camuffa.

II tradimento del vangelo l’aveva lasciata vuota per questo moltiplicò i riti, le devozioni, le processioni, le indulgenze fondendosi al richiamo di mercati e a fiere.

Le chiese cristiane in genere, e quella cattolica in particolare, più crebbero in civiltà più impoverirono in umanizzazione.

La chiesa cattolica, da Costantino in poi, da incesto in incesto, da prostituzione in prostituzione si è resa complice di tutti i poteri prepotenti: totalitarismi di destra, capitalismo, consumismo, berlusconismo, leghismo, localismi, razzismi: insomma la feccia nauseante in cui tutte le civiltà umane finiscono quando non vi é umanizzazione.

E una chiesa che dà e pretende ossequio ai prepotenti, prudente, donabbondiana, la chiesa del “ne quid nimis” [1] e per questo priva di Grazia.

Una chiesa del genere adora i parassiti che prosperano sulle carcasse umane, è serva del Signore delle mosche.


Concetta Centonze
San Donà di Piave (VE)



Note

[1]La locuzione latina Ne quid nimis, tradotta letteralmente, significa [mai] nulla di eccessivo.
Norma comportamentale che ritroviamo suggerita da Orazio nelle Odi e da Terenzio nell’Andria, e che sembra mutuata dalla iscrizione posta sul frontone del tempio di Apollo a Delfi. (Da Wikipedia)



Giovedì, 12 giugno 2008