Lettera
Missioni di pace

di Veronica Tussi

Caro direttore,
nel felice nuovo clima poltico, ben visto persino dal nostro Pontefice, sembra che il governo si appresti a modificare le regole di ingaggio dei nostri soldati in Afghanistan. Di norma si giustifica la nostra presenza militare in territori stranieri, sostenendo che lo scopo è quello di mantenervi la pace e la democrazia. Ammesso che sia sempre vero, il nobile fine pone tuttavia problemi di ordine etico. E’ giusto, è vero, difendere la vita di persone anche lontane da noi, e proteggerne la libertà, ma lo Stato ha il diritto (morale), per fare ciò, di mettere a repentaglio la vita dei nostri soldati? Inoltre: nel caso in cui la presenza armata in altri paesi, esponga i cittadini al rischio d’attentati, lo Stato deve preoccuparsi del prossimo lontano, oppure di quello vicino? Credo che generosità e altruismo da parte dei nostri governanti, scemerebbero se si trattasse di andare personalmente a rischiare la pelle, o di mandarvi il proprio figlio. Ovviamente gli stessi problemi non si pongono qualora si tratti di difendere il proprio paese, giacchè lo Stato in tal caso è costretto a mettere a repentaglio la vita dei soldati, non essendoci altra via percorribile.


Veronica Tussi



Luned́, 02 giugno 2008