Lettera
Militari e precariato

di Antonio Dore

Con una risposta del nostro direttore


Gent.mo Direttore
Le faccio pervenire questa mia lettera con l’auspicio che Lei voglia concedermi un po’ di spazio nel suo pregiatissimo giornale.

I recenti concorsi banditi sia dal Ministero della Difesa che dal Ministero degli interni, riservati ai soli volontari in ferma prefissata di un anno, escludendo i volontari congedati in ferma breve (VFB), riaprono la triste piaga di quanti, come mio figlio, sono stati congedati dopo aver prestato servizio per anni nella Marina Militare.

Ancora una volta questi ragazzi devono subire un’ulteriore disparità di trattamento.

Per questo, non posso, ma soprattutto non voglio, nascondere tutta la mia indignazione, con la consapevolezza di interpretare il pensiero sia dei genitori che dei ragazzi che come mio figlio hanno subito l’ennesima ingiustizia.

Mi domando, come può lo Stato sbattere via questi ragazzi come cenci e ignorare la situazione di chi ha operato anche in territori stranieri, esponendosi a mille rischi per accrescere l’immagine di uno Stato, che li ha già dimenticati?

Come può lo Stato collocare in congedo migliaia di persone senza le garanzie previste dalle norme sulla tutela dei diritti dei lavoratori?

Queste sono le domande che mi pongo ogni giorno, alle quali non posso dare nessuna risposta.

Vedo negli occhi di mio figlio, e degli altri ragazzi tanta amarezza e tanta delusione.

In che cosa ed in chi devono credere, se viene a cadere l’unica certezza, che è quella di credere in uno Stato che garantisca uguali diritti per tutti?

Quando hanno deciso di vestire l’Uniforme pensavano di entrare in una delle poche organizzazioni dello Stato dove non può esistere il precariato.

Ed invece….

Mentre da una parte, giustamente, si parla di stabilizzazione dei lavoratori precari dall’altra ci si scorda dei militare che da qualche anno sono andati ad ingrossare il numero dei disoccupati.

Molto rumore è stato fatto quando si è stabilizzato il personale precario storico di altri ministeri o delle Pubbliche Amministrazioni, ma quando si parla del personale delle Forze Armate scende un penoso silenzio.

Queste persone oggi si trovano in un avvilente stato di disoccupazione.

Per bloccare la "fabbrica dei precari" creatasi in conseguenza della professionalizzazione delle Forze Armate bisogna trovare accorgimenti efficaci.

Sicuramente sono stati sottovalutati gli "effetti collaterali" di un disinvolto sfruttamento dei giovani militari, poi abbandonati a se stessi proprio da uno Stato chiamato a dirimere la deregulation selvaggia del mercato del lavoro.

A me come genitore ed ai tanti altri genitori che si trovano nella mia stessa situazione altro non rimaneva da fare se non cercare di toccare le corde della sensibilità di chi ci governa.
Infatti, a suo tempo ho posto il problema all’attenzione di tutti i componenti delle Commissioni Difesa di Camera e Senato, nonché al Ministro ed ai Sottosegretari ed anche a diversi parlamentari sardi.

Qualcuno ha risposto, altri hanno dichiarato il proprio impegno, forse l’ hanno anche fatto, ma di concreto niente.

Ed allora, è bene che chi si propone ad amministrare il Paese non pensi solo ai propri figli, ma anche ai figli di tutti noi, ai quali non può essere negato il diritto di crearsi un proprio futuro senza dover per questo mendicare un posto di lavoro.
Antonio Dore

Alghero, li 16.01.2008


Risponde il direttore

Gentile Antonio,
abbiamo deciso di pubblicare la sua lettera, pur essendo noi un giornale dichiaratamente nonviolento, per una serie di motivi.
Aborriamo gli eserciti, le armi, le guerre. Per noi è una cocente sconfitta quando un giovane decide di arruolarsi nell’esercito perchè conosciamo i metodi di formazione militari, soprattutto dei corpi speciali. La personalità dei giovani viene stravolta, li si educa all’obbedienza cieca, la loro personalità viene annullata.
La sua lettera è emblematica perchè mette in luce che il "mestiere del soldato" è considerato dalla stragrande maggioranza dei cittadini, nonostante decenni di obiezione di coscienza, un mestiere come tutti gli altri, con la stessa dignità e quindi con gli stessi diritti degli altri. Fare il militare è equiparato a fare l’impiegato di banca o il metalmeccanico in fonderia, o l’operaio alla catena di montaggio della Fiat. Un modo come un altro per "guadagnarsi da vivere" o per potersi comprare una casa, come hanno detto in più occasioni le mogli delle tante vittime della guerra nella quale anche l’Italia è oggi coinvolta.
O meglio la sua lettera mette in luce chiaramente che migliaia di giovani sono stati portati a fare il militare con l’illusione di una vita "non precaria" con "diritti e doveri", con uno Stato di cui avere fiducia e a cui si può obbedire per la sua serietà.
Lei e suo figlio avete sperimentato che non è così. Il "mestiere" del militare è precario come tutti gli altri, anzi forse di più, con l’aggravante che "lo Stato" utilizza i militari per quella cosa sporca che è la guerra, nella quale i militari uccidono e sono uccisi o cadono malati e muoiono senza magari aver mai combattuto per malattie prodotte dalle "nuove armi". C’è anzi nel mestiere del soldato una precarietà assoluta, un vivere alla giornata, soprattutto in periodi di guerra quale quello nel quale stiamo vivendo, che ha la sua radice più profonda negli eserciti di ventura del passato, ma che esistono ancora oggi, formati di avventurieri che utilizzano la guerra per fare razzie nelle città conquistate, per poi dileguarsi a conquista avvenuta.
Anche oggi è così anche se la forma è a volte diversa. Un esempio sono le "missioni all’estero" a cui sono spinti i militari di carriera dall’ingaggio 3-4 volte superiore al loro stipendio normale. Un esempio sono le tante razzie denunciate in Iraq, ad opera di soldati USA, di opera d’arte antichissime.
Ma abbiamo deciso di pubblicare la sua lettera anche per poter dire a tutti i giovani che si trovano nella stessa situazione di suo figlio di organizzarsi per richiedere a quello Stato che ha nella propria Costituzione sia il ripudio della guerra sia il lavoro come elemento costitutivo un lavoro "civile", che non comporti uso di armi e quindi di distruzione di risorse, di ambiente e soprattutto di vite umane.
Fare il soldato non è un "lavoro normale".
Trasformare gli eserciti in servizio civile è la cosa da fare oggi. Lei e suo filgio e i giovani che sono nella sua stessa situazione possono mobilitarsi per questo obiettivo. Se così farete avrete dato una possibilità alla vita vostra e di tutta l’umanità. Su questa via troverete sicuramente l’appoggio nostro e di tutti i noviolenti.
Cordiali saluti


Giovanni Sarubbi



Giovedì, 17 gennaio 2008