Cogne: un carnefice e tante vittime

di Rosario Amico Roxas

L’epilogo dell’itinerario seguito dal processo ad Anna Maria Franzoni, lascia sul tappeto una sequela di vittime ed anche un carnefice; per identificare il ruolo di ciascuno non può venirci incontro il codice penale, ma solo il codice etico naturale, il solo che può aiutarci a capire e immedesimarci in una tragedia dai mille volti.

Non ci sono vittime se non ci sono carnefici, ma non possiamo fermarci all’apparenza, né è immaginabile esprimere pareri severi, senza entrare nel relativismo dell’animo umano, sollevando la nostra coscienza dall’onere di giudicare.

In questo vortice di opinioni possiamo solo limitarci a dare valutazioni, non giudizi, troppo intricata è stata la dinamica sia dei processi che della esposizione mediatica.

Valutazioni che ci portano a identificare il primo e determinante carnefice nella persona dell’avv. Taormina: l’istrione che ha privilegiato la propria esposizione alla ricerca di una mediazione in grado di risolvere l’angoscioso quesito innocentista o colpevolista all’interno di una valutazione umana. Non ha guardato le persone con il dramma che li attanagliava, ha solo pestato violentemente sulla Procedura penale, per dimostrare la sua abilità nel confondere le carte, gli eventi, le motivazioni e le cause. Ha cancellato dal procedimento penale la prima vittima, il piccolo Samuele, diventato troppo ingombrante, per esibire dinamiche cervellotiche, anche fornendo falsificazioni e inquinamenti del proscenio del delitto. Ha trasformato Anna Maria in un automa glaciale davanti ai magistrati, ma pronta al pianto su comando davanti alle telecamere.

Non mi sento di indicare la Franzoni come carnefice, perchè è diventata vittima anch’essa, privata del diritto alla catarsi liberatoria della confessione e del pentimento, per un gesto totalmente innaturale e proprio per questo identificabile in un raptus anomalo, incomprensibile, inaccettabile per le menti e i cuori che vivono nella “normalità”.

L’istrionismo di Taormina ha stroncato ogni velleità di giustizia, perchè non era la giustizia la meta ricercata ma la propria personale affermazione. Il processo divenne così un evento mediatico da giocarsi con le regole della comunicazione, mentre i magistrati stimolavano una confessione liberatoria pronti ad accettare le plateali condizioni di momentanea infermità mentale, per tentare la ricostruzione di una personalità e riportarla nell’alveo di una umanità offesa.

Fu così la condanna più pesante a trent’anni di reclusione, perchè non venne evidenziata nessuna forma di rimorso o di pentimento, mentre le condizioni difensive apparivano sempre più fragili e demagogiche. La Procedura penale, in mano a Taormina, divenne un grimaldello per scardinare ogni traccia di interpretazione umana e fissare l’attenzione sull’apparenza, ritorcendo su Anna Maria la bufera delle prove, ma senza il conforto di una analisi sul terreno delle valutazioni umane.

Cambiato metodo difensivo e allontanato Taormina dal suo personale proscenio, dove aveva recitato soli i suoi monologhi senza entrare nella partitura globale, la condanna divenne più lieve, ma ancora pesante, perchè impossibilitata ad essere ridimensionata nella sua giusta dimensione.

Una regia sbagliata fin dall’inizio; il regista aveva scritto il copione e si era fatto anche prim’attore, senza badare all’intero contesto che venne isolato nella marginalità.

Così sono aumentate le vittime; al piccolo Samuele si aggiungono adesso anche Gioele e Davide, che saranno privati della presenza materna, diventata nelle more molto materna; con assoluta noncuranza Taormina ha buttato sul tavole verde le sue fiches, incurante dell’andamento del gioco, tanto quelle fiches non erano le sue; ha trasformato, irrimediabilmente, un dramma della coscienza in una tragedia della Procedura penale.

Non serve a niente essere colpevolisti o innocentisti, perchè sia gli uni che gli altri si servono del relativismo insito nella mente umana per esprimere un pronunciamento che, invece, è stato spostato sul rigore delle norme, nell’assurda convinzione di potere sconvolgere il diritto nella sua sostanza, attraverso apparenze precostruite.



Giovedě, 22 maggio 2008