Lettera
La Pasqua e gli agnelli

di Renato Pierri

Gentile direttore, leggiamo nel Vangelo: "Io sono il buon pastore. Il buon pastore ci rimette la sua vita per le pecore. Il mercenario invece che non è pastore, cui non appartengono le pecore, vede venire il lupo, e abbandona le pecore e fugge" ( Gv 10, 11 - 12). La metafora tanto bella, l’immagine del pastore amorevole verso le sue pecorelle, a ben riflettere non è del tutto appropriata. E’ vero che la perpetua intimità tra le greggi e i loro guardiani creava veri e propri legami affettivi, però non bisogna dimenticare che a differenza del mercenario, cui appunto le pecore non appartenevano, il pastore aveva anche interesse materiale a proteggerle, e a curare quelle malate, e a cercare quelle che si smarrivano. Ancor meno calzante l’immagine, se si pensa alla sorte di tante pecore e tanti agnellini allevati con amore, e poi sgozzati per mangiarne la carne e per offrirli in sacrificio; se si pensa all’immensa carneficina che al tempo di Gesù avveniva nel Tempio, per celebrare la Pasqua, quando gli agnelli venivano presentati ai sacrificatori posti all’ingresso dell’atrio, e il sangue, versato dai ministri del culto davanti all’altare, mediante un sistema di condutture scorreva a fiumi verso il Cedron.

Renato Pierri



Mercoledì, 19 marzo 2008