Il senso della storia, la proiezione retrospettiva, la memoria del passato, il culto delle proprie origini come tasselli
indispensabili per comprendere il presente, sono prerogative attive e produttive del mondo arabo, in tutta la sua
estensione. Il solido legame con il retroterra ancestrale, ricco delle esperienze trascorse, consente il mantenimento in
vita di quel cordone ombelicale che ogni arabo non ha mai reciso; l’affermazione più corrente che si può ascoltare da un
arabo è quella di sentirsi legato, quasi prigioniero, alle sue radici.
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L’arabo è un membro di una famiglia o di una tribù di perenni nomadi, che vivono, da sempre, nello stesso deserto, grande
quanto il mondo.
Come nomadi per cultura vivono in un’oasi che sono pronti ad abbandonare quando l’erba si secca, ma portano dentro di loro
il passato che non si cancella. E’ questa la loro soggettività sociale, il loro individualismo di popolo.
La visione della vita acquista valore e profondità solo se osservata retrospettivamente: il presente come ineluttabile
prosieguo del passato, propedeutico al futuro. Il passato acquista, così, la stessa valenza che hanno le fondazioni per un orgoglioso grattacielo, del quale possiamo
intuire il futuro solo se ne conosciamo la consistenza del passato.
L’attualità e il presente dimostrano la nostra esistenza, ma la nostra vita è dimostrata solo guardando indietro; lo
sguardo verso il passato consente di tornare a vedere il nucleo stesso nel quale si è vissuto: la famiglia. Per questa ragione la “civiltà della famiglia” è così sentita nei popoli arabi, in quanto nella famiglia si concretizza la
proiezione del passato; l’evoluzione di tale civiltà ingloba, quindi, il villaggio, la città, la nazione e infine il mondo
arabo nella sahmajrjia, la fratellanza araba.
Il modernismo si affida al progresso della scienza e della tecnica, ma mentre scienza e tecnica progrediscono, l’etica
regredisce.
E’ la ragione per la quale molti contenuti del modernismo occidentale vengono respinti dal mondo arabo. Si consuma un
dramma esistenziale che non può trovare una soluzione se non si comprende la portata reale di quella cultura così radicata
nel passato.
L’Occidente-America, modernista e tecnologico, non è in grado di comprendere, per la sola ragione che non dispone di un
proprio autonomo e antico passato che possa aver tracciato l’itinerario verso il futuro. Vige la regola dell’improvvisazione e delle scelte estemporanee, dettate da esigenze immediate, prive di programmazione,
perché prive di una storia che li supporti. Il nemico di ieri diventa l’alleato di oggi e viceversa; gli eventi degli ultimi 50 anni dimostrano come la mancanza di una
tradizione storicqa conduce ad un presente senza coerenza, stimolato solo dall’immediatezza delle scelte di comodo:
dall’alleanza con lo scià di Persia alla sua destituzione, con l’accettazione dell’ayatollah Komeini, quindi la guerra
contro Komeini per la quale fu incaricato, armato e protetto Saddam Hussein, all’alleanza con i talebani dell’Afganistan
per contrastare le mire espansionistiche della Russia, tramite i buoni e ben remunerati uffici dello sceicco del terrore
Bin Laden e del suo luogotenente il mullah Omar, quindi la cacciata dei talebani divenuti nemici distruggendo l’Afganistan
e poi ancora la cacciata dell’ex-alleato Saddam, distruggendo l’Iraq e la nuova minaccia di un’altra azione bellica conto
l’Iran e la Siria, quindi la caccia senza esito allo stesso Bin Laden che continua a gestire la strategia del terrore,
favorendo e giustificando le reazioni.
L’Occidente-America, privo di una sua storia, non può costruire la storia futura dell’intero pianeta, esso rappresenta la
proiezione di tutto ciò che si oppone alla continuità tra passato e futuro, perché privilegia il pragmatismo del presente
contro l’umanesimo della storia.
Chi sono gli ayatollah, chi sono gli sciiti che, in pratica, hanno vinto la guerra irachena contro gli USA, trasformando
gli occupanti in ostaggi ? La risposta è molto semplice: sono gli attuali alleati degli anglo-americani, contro i quali ben
presto gli stessi anglo-americani si ritroveranno a dovere combattere, perché estromessi da ogni potere decisionale e
dall’uso della forza nello scacchiere del petrolio. Riedizione degli errori commessi con i Talebani dell’Afganistan.
L’Occidente-Europa potrebbe rappresentare un viatico verso un nuovo modello di reciproca comprensione; la storia, le
tradizioni dell’Europa si mescolano con quelle del mondo arabo. Ma l’Europa è, ancora, troppo distante per potere sperare
in una integrazione con il mondo arabo senza la pretesa di volerlo europeizzare, ma nello stesso tempo è troppo vicina allo
stesso mondo perché questi possa dimenticarsi dell’Europa e sviluppare un proprio modello di vita. L’accettazione del
modernismo, con tutto ciò che comporta sia in termini socio-economici che etici, comporterebbe l’accettazione di un modello
che contrasta con le tradizioni antiche; da qui nasce la sconfitta araba davanti al progresso. La sconfitta fa parte integrante della cultura araba; gli eroi arabi sono spesso dei perdenti, da Annibale in poi. Accadde
così anche nel Medio Evo, quando gli arabi conquistarono l’Africa, buona parte dell’Asia Minore e i paesi del Mediterraneo;
successivamente alle conquiste arabe, l’Occidente, grazie alle scoperte che gli arabi non furono capaci di fare e, più
tardi, grazie all’industrializzazione e alle conquiste coloniali, relegò il mondo arabo in un angolo della storia.
La modernità e il modernismo, nell’immaginario collettivo del mondo arabo, divenne l’emanazione “del nemico”; se il
progresso rappresenta l’emanazione del nemico, non resta loro altro che il passato e la tradizione, che si ergono come una
torre d’avorio dove rinchiudersi per ritrovare la propria identità.
Venerdì, 27 luglio 2007
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