Ancora a proposito di Hina
Quelli che uccidono per impotenza e disagio, e la percezione di loro

di Hamza R. Piccardo*

Italia - 17.8.2006

"L’avvocato ha anche spiegato che il rapporto con la figlia Hina era molto complicato, in particolar modo a causa delle idee religiose di Saleem. "Il mio assistito crede profondamente, segue con scrupolo tutte le leggi del Corano e sta rispettando il momento di preghiera. Le sue idee religiose sono profondamente radicate".

Forse in questa frase dell’avvocato di Mohammed Saleem , il pakistano accusato (sembra reo confesso) di aver ucciso la figlia poco più che ventenne, c’è la chiave di questa vicenda, anzi le chiavi.
Una è quella della condizione di quest’uomo che viene presentato come religioso e quindi sembra che il legale ipotizzi una difesa centrata sui valori morali che avrebbero motivato il suo gesto.
Talvolta infatti la percezione di sé come "religioso" e cioè puntuale esecutore di un complesso di riti e l’attaccamento ad una prassi morale rigida e decontestualizzata, spingono taluni musulmani ad un arroccamento cieco, ancor più che miope, estraneo alla realtà culturale che li circonda.
E’ certo infatti che la relazione more uxorio al di fuori di un quadro matrimoniale islamicamente corretto è considerata dalla legge e dalla tradizione musulmana come una colpa grave di fronte a Dio (hadd) ma non è meno vero che nessuna scuola di diritto islamico, anche le più rigorose, ha mai concesso agli uomini di far giustizia con le proprie mani. Anzi, il complesso sharaitico e giurisprudenziale islamico innovò il costume al punto da sanzionare pesantemente chi lo avesse fatto o anche solo chi avesse messo sotto accusa il/la coniuge senza potersi appoggiare sulla testimonianza di quattro fede facenti che potessero confermarne inequivocabilmente la copula.

Quindi nessuna regola sharaitica potrebbe venire invocata a giustificazione o anche solo come attenuante, neanche in paesi che applicassero pedissequamente una prassi legale che viene messa in discussione da settori vieppiù importanti dell’islam (vedi l’appello alla moratoria della pena di morte e delle pene corporali lanciato da Tariq Ramadan in vista di un esame approfondito sulle condizioni/possibilità di applicazione nei tempi attuali). Nel caso di Brescia, da notizie attinte all’interno della comunità pakistana che vive nella città, si desume che ci troviamo di fronte ad un uomo che non si era mai preoccupato di imporre alla sua famiglia una vita consona alle consuetudini, vissute come islamiche, del paese d’origine e che, probabilmente, si è trovato di fronte alle conseguenze di questo suo atteggiamento quando la situazione era andata oltre quello che deve aver considerato sopportabile. Questo non lo giustifica (sempre ammesso che sia lui il colpevole ché la presunzione d’innocenza deve valere per tutti) né davanti a Dio e neppure davanti agli uomini, ma spiega il suo agire e fornisce un utile strumento di comprensione. Se sarà giudicato colpevole pagherà il prezzo che la legge gli imporrà e avrà tempo per pentirsi davanti al Giudice Più alto.

In merito all’altra chiave di lettura che indicavamo nell’incipit di questa breve nota, ci sembra che la comprensione che si ha comunemente dell’Islam praticante sia fortemente condizionata dal senso di estraneità, vuoi incompatibilità con quelli che dovrebbero essere i valori della società occidentale nella quale l’inquisito aveva scelto (ma quanto liberamente?) di vivere.
Si continua infatti a ritenere il musulmano osservante (pare che Mohammed Saleem lo fosse), sia ossessionato da una scrupolosa pratica religiosa necessariamente avulsa da considerazioni che investono piuttosto la dimensione della tolleranza, del rispetto delle scelte personali anche non condivisibili, della misericordia e dell’accompagnamento di chi sbaglia con il fine di un ritorno o al limite di una nuova conversione.
Niente di meno vero, le caratteristiche della misericordia infatti sono talmente importanti nell’etica islamica che Iddio stesso ( per il Quale non c’è dubbio di perfezione in ogni Sua attività) dice "...la Mia misericordia precede la Mia giustizia".

Non staremo a ribattere i temi dell’islamofobia dilagante (il nemico, perché è questa l’immagine che deve passare, dev’essere sempre brutto, sporco e cattivo altrimenti perché gli si farebbe guerra?) ci basti appellarci una volta di più all’onestà mentale dei nostri concittadini i quali non dovrebbero comunque dimenticare l’attenuante specifica per il delitto d’onore che il Codice Penale italiano, art. 587 così definiva: " Chiunque cagiona la morte del coniuge, della figlia o della sorella, nell’atto in cui ne scopre la illegittima relazione carnale e nello stato d’ira determinato dall’offesa recata all’onor suo o della famiglia, è punito con la reclusione da tre a sette anni. Alla stessa pena soggiace chi, nelle dette circostanze, cagiona la morte della persona che sia in illegittima relazione carnale col coniuge, con la figlia o con la sorella". Questa norma fu abrogata in Italia dalla legge 442 del 5 agosto 1981, solo venticinque anno orsono. Infine ha ragione il ministro Amato a dire che: "...il caso della ragazza pachistana uccisa dal padre insegna molto ai fini della cittadinanza, perché è evidente che non basta chiedere l’adesione ai valori della Costituzione", ma bisogna che ci sia un’adesione anche a diritti "fondamentali come il fatto che la donna si rispetta secondo regole che io considero universali". Aggiungendo infine che: "è un problema che dovrà essere affrontato bene", e cioè, a nostro avviso, con aiuti all’inserzione delle comunità immigrate, mettendo in campo strumenti e risorse in misura e con una continuità e coerenza che finora non abbiamo mai potuto registrare .



Venerdì, 18 agosto 2006