Parte seconda: introduzione al Corano

di Tariq Ramadan

Riprendiamo dal sito www.islam-online.it questo importante articolo di Tariq Ramadan


Il secondo livello di lettura non è meno impegnativo. Il testo coranico è prima di tutto l’enunciato di un messaggio il cui contenuto è fondamentalmente di ordine morale. Pagina dopo pagina si costruisce l’etica musulmana, i suoi fondamenti, i suoi valori e le sue gerarchie. Per questo, una lettura lineare, che non rispetti la cronologia, né la distinzione dei generi dell’enunciazione, rischia inevitabilmente di disorientare il lettore. E’ necessario dunque, quando si voglia tentare di definire i contorni del messaggio morale dell’islam, avvicinarsi al testo da un’altra prospettiva: mentre le storie dei Profeti si elaborano, elemento dopo elemento, a partire da narrazioni  ripetute ma sempre diverse, lo studio delle categorie dell’etica necessita prima di un approccio globale al messaggio, solo dopo avviene l’estrazione, in funzione dei vari campi dell’agire umano, dei principi e dei valori che costituiscono la cosiddetta morale. Le modalità di questo secondo livello di lettura sono esattamente all’opposto di quelle del primo, ma le completano e permettono agli  ulama’ il passaggio dalla narrazione di una storia profetica alla codificazione del suo insegnamento spirituale ed etico.

Rimane ancora un terzo livello di lettura che necessita di un’ immersione spirituale e intellettuale profonda nel testo e nel messaggio rivelato. Si tratta qui di estrarre (istinbât) le prescrizioni islamiche che riguardano le esigenze della fede (arkân al-imân), la pratica religiosa e i suoi fondamenti (arkân al-islâm). Più in generale, si tratta di determinare le categorie e la gerarchia delle leggi e delle regole (al-ahkâm) che permetteranno alla coscienza di ciascuno e all’insieme dei musulmani, di avere un quadro di riferimento circa gli obblighi, i divieti, le regole essenziali (al-usűl) o secondarie (al-furű’), nel campo del culto (al-‘ibadât)  o in quello degli affari sociali (al-mu’âmalât), ecc. La lettura del Corano non è sufficiente qui : non solo lo studio delle scienze del Corano (‘ulűm al-Qur’ân) è una condizione indispensabile, ma anche la conoscenza  approfondita della tradizione profetica s’impone (‘ulűm al-hadîth), perché questa è il referente primario dell’attuazione del messaggio coranico da parte del Profeta (BSL) stesso. Ad esempio è impossibile, leggendo solo il Corano, sapere come si deve pregare: ci vuole il concorso delle tradizioni profetiche autentiche per determinare le regole della gestualità della preghiera, pilastro primario dell’islam. E’ chiaro che questo terzo livello di lettura esige competenze e conoscenze particolari che non possono essere acquisite che con un lavoro approfondito sui testi, l’ambiente e, certo, l’intima conoscenza della tradizione classica, secolare delle scienze islamiche. In questo settore è, non solo pericoloso, ma anche profondamente sbagliato, permettersi di glossare sulle prescrizioni islamiche e la pratica a partire da una lettura semplicistica del Corano. Alcuni musulmani, attraverso un approccio letteralista o dogmatico, si librano a delle interpretazioni completamente false e inaccettabili dei versetti, pur non avendo né i mezzi e spesso neanche l’intelligenza, di metterli a confronto col messaggio globale, con la successione cronologica o con le circostanze della rivelazione (asbâb an-nuzűl). Alcuni orientalisti, sociologi o commentatori non musulmani, li confutano talvolta insistono estraendo dal Corano dei passaggi che analizzano, trascurando tutti gli strumenti metodologici usati dagli ‘ulamâ’

Oltre a questi differenti livelli di lettura, si deve  tener conto anche delle differenti interpretazioni proposte dalla grande tradizione classica dell’islam. Certamente tutti i musulmani considerano che il Corano sia l’ultima rivelazione divina, ma dalle origini fu chiaro, e i Compagni stessi del Profeta (pbsl) lo constatarono per primi, che l’interpretazione dei versetti era plurale, ed esisteva dunque, nel rispetto delle regole semantiche, una diversità di letture accettate tra i musulmani. Alcuni. invece, hanno falsamente affermato che  a causa del fatto che i musulmani credono che il Corano è parola di Dio, qualsiasi interpretazione o riforma è loro impossibile. Questa loro fede renderebbe impossibile l’approccio storico-critico al testo rivelato. L’elaborazione delle scienze coraniche, gli strumenti utilizzati dagli ulema, come pure la storia dell’ermeneutica e dei commentari del Corano (tafâsîr), provano che questa conclusione è infondata.

Dalle origini i tre livelli di lettura di cui abbiamo appena parlato, hanno permesso di elaborare un approccio applicato dei testi che impone a colei o a colui che vi si impegna, di essere in sintonia con la propria epoca e di rinnovare la propria comprensione (at-tajdîd). Per questo il carattere dogmatico, a volte mummificato e sclerotizzato, della lettura non deriva dall’Autore, ma dallo spirito e dalla psicologia del suo lettore. In effetti si può leggere l’opera di un uomo, da Marx a Keynes, in modo dogmatico e chiuso e invece affrontare la Rivelazione divina in modo profondo, critico ed aperto. La storia della civiltà islamica ne è una prova sufficiente.

Dobbiamo ancora aggiungere che non è bene differenziare radicalmente i due approcci, quello del cuore e quello dell’intelligenza, in rapporto al Corano. Tutti i sapienti specializzati negli studi coranici, senza eccezione, hanno espresso e ricordato l’importanza della dimensione spirituale nell’approfondimento intellettuale del senso del Corano. Il cuore ha un’intelligenza:  « Non hanno forse un cuore con il quale comprendere….” ci dice il Corano, per insegnarci come la sola luce dell’intelletto non sia sufficiente. La tradizione musulmana, dagli specialisti del diritto ai mistici sufi, coniuga sempre le due dimensioni: l’intelligenza del cuore dispensa la luce per mezzo della quale l’intelligenza dell’intelletto osserva, percepisce e ricava il senso.

Parola sacra, il testo possiede le sue evidenze, i suoi segreti e i suoi silenzi che il rapporto al divino e la Sua vicinanza svelano all’intelligenza umile, pia e contemplativa. La ragione apre il Libro e lo legge, ma è accompagnata dal cuore e dalla spiritualità che lo penetra e lo comprende.

La sfida di tradurre

La traduzione non è il testo originale e nessuna traduzione è perfetta.

Alcuni traduttori preservano il senso e perdono la salmodia e la poesia, altri invece si avvicinano all’intuizione, allo spirito, ma tradiscono il senso. L’equilibrio è difficile. Il Libro è stato rivelato in “ una lingua araba chiara” e per tutti i musulmani del mondo l’arabo è la lingua del Corano. Bisogna però evitare di confondere questo consenso sulla lingua con l’idea che la cultura araba sarebbe la cultura dell’islam. Non è così e i principi dell’islam permettono di integrare le culture del mondo intero fino a quello che si opponga ad una prescrizione o ad un interdetto esplicito. Così le lingue sono una benedizione e dei segni e la diversità delle tradizioni e dei costumi è una ricchezza che l’umanità deve preservare e sulla quale meditare. Le traduzioni del Corano devono, in questo senso, tentare di trasmettere il contenuto e il senso del testo, ma ugualmente tentare di adattarsi alla natura della lingua di traduzione, al suo ritmo, alla sua poesia e specialmente alla sua psicologia.

Si tratta di una doppia sfida: ci sono parole che sono polisemiche, parole differenti che rinviano a concetti simili, al punto che le connotazioni possono essere esattamente invertite, a seconda del contesto. Di tutto questo, bisogna cercare di tener conto e trasporre queste sfumature nel cuore della frase della lingua-recipiente. Una vera sfida!

Specchio dell’Universo

 

Per il cuore e la coscienza musulmana, il Corano è lo specchio dell’Universo. Ciò che fu tradotto con “versetti” dai primi traduttori occidentali, riferendosi al vocabolario biblico, significa in arabo, letteralmente, “segno” (âyah). Anzi il Libro rivelato, il Testo scritto, è composto da segni (âyât), nello stesso modo in cui l’Universo è come  un Testo che si dispiega davanti ai nostri occhi,  colmo di questi stessi segni (âyât). Quando è l’intelligenza del cuore che legge il Corano e il mondo, e non la sola intelligenza analitica, i due Libri si parlano, si fanno eco, e ciascuno di essi parla dell’altro e dell’Unico. I segni ricordano il Senso…. Di nascere, di vivere, di sentire, di pensare e di morire.

Ma l’eco è ancora più profondo e chiama l’intelligenza umana alla comprensione della Rivelazione, della Creazione e della loro armonia. Come l’Universo possiede delle leggi fondamentali e un suo ordine regolare (sunan al-kawniyya), che l’essere umano deve rispettare quando agisce sul proprio ambiente (in qualsiasi posto egli si trovi), allo stesso modo il Corano sancisce delle leggi, un codice morale e una pratica che la musulmana e il musulmano debbono rispettare qualunque sia l’epoca e l’ambiente. Sono le invariabili del cosmo e del Corano. Gli ulema utilizzano il termine “qa‘yt” (definitivo, non soggetto a interpretazione), quando si riferiscono a dei versetti coranici (o a delle tradizioni profetiche autentificate, ahadith), di cui l’enunciato è chiaro, esplicito e non offre alcun spazio per una interpretazione figurativa. Allo stesso modo la Creazione poggia su delle leggi universali che non si possono ignorare per vivere. La coscienza musulmana si volge verso i cinque pilastri dell’islam come verso la legge della gravitazione: sono una realtà, al di là del tempo e dello spazio, ieri come oggi, qua o laggiù.

Ma, come l’universo è costantemente in movimento, ricco di una infinita diversità di specie, di esseri, di civiltà, di culture e di società, allo stesso modo il Corano, attraverso l’ampiezza di possibilità di interpretazione offerta dalla maggior parte dei versetti, nel carattere generale dei principi di azione che promulga riguardo agli affari sociali, nei silenzi che lo attraversano (ponendo così il principio primario del permesso nell’ordine dell’agire umano), allo stesso modo, dicevamo, il Corano permette all’intelligenza umana di percepire le evoluzioni della Storia, la pluralità delle lingue e delle culture e di iscriversi così nelle sinuosità del tempo e nei paesaggi dello spazio.

Tra l’Universo e il Corano, tra queste due realtà, tra questi due Testi, l’intelligenza deve imparare a distinguere le leggi fondamentali ed universali (ath-thawâbit), dalle regole e modelli circostanziali e storici (al-mutaghayyirât). Essa deve dar prova di umiltà davanti all’ordine, la bellezza e l’armonia della Creazione e della Rivelazione e, contemporaneamente, deve gestire con responsabilità e creatività le  proprie realizzazioni o interpretazioni, che producono straordinari successi, ma anche  ingiustizie,  guerre e  disordini. Tra il testo e il contesto, l’intelligenza del cuore e l’intelligenza analitica determinano delle norme, riconoscono un’etica, producono il sapere, nutrono la coscienza e sviluppano l’iniziativa e la creatività, in tutti i campi dell’azione umana. Così, lontano dall’essere una prigione o un legame impedente, la Rivelazione è un invito  fatto all’Uomo a ricollegarsi al suo essere più profondo, per trovarvi, insieme, il riconoscimento  dei propri limiti e lo straordinario potenziale della propria intelligenza e  immaginazione. Sottomettersi all’ordine del Giusto e della Sua eternità e sapersi liberi e autorizzati a riformare le ingiustizie che abitano gli ordini o i disordini dell’umana temporalità.

 Il Corano è un Libro per il cuore come per l’intelligenza. Nella sua vicinanza, la donna o l’uomo che possieda una scintilla di fede sa il suo cammino e le sue insufficienze. Non c’è bisogno di uno Shaykh, di un sapiente o anche di un confidente, in fondo il cuore sa…. Il cuore sa già. Questo era il senso della risposta del Profeta (pbsdl) quando fu interrogato sul sentimento morale. Alla luce del Libro egli rispose: “Interroga il tuo cuore”. E se per caso l’intelligenza dovesse lanciarsi nei meandri complessi dei differenti livelli di lettura, dall’etica applicata alle regole della pratica, allora non bisogna mai dimenticare di rivestirsi di questo pudore intellettuale che solo rivela i segreti del Testo… perché non sono gli occhi ad essere ciechi ma i cuori celati nei petti”.



Sabato, 27 ottobre 2007