Conoscere l’islam
Paradiso, Giardino e desideri

di Patrizia Khadija Dal Monte

Una riflessione sulle diverse maniere d’intendere l’altra vita


Riprendiamo questo articolo dal sito www.islam-online.it


“La parola paradiso è probabilmente di derivazione persiana e significa originariamente un parco reale o di piacere. Nell’Antico Testamento si trova solo in un secondo momento, col termine Pardês, che è stato senza dubbio preso in prestito dal persiano... L’associazione del termine con la dimora dei nostri primi genitori non si verifica nel Vecchio Testamento ebraico… La sua origine risale nel fatto che la parola paradeisos è stata approvata, anche se non esclusivamente, dalla traduzione dei Settanta... Nel Nuovo Testamento la parola paradiso appare in un nuovo e più ampio significato. Con  lo sviluppo dell’ escatologia ebraica, che contraddistingue l’epoca del post-esilio, il paradiso o la parola "giardino di Dio", fino ad allora principalmente associata con l’originale dimora della prima coppia di progenitori, è stata assunta per indicare la futura dimora di riposo e di felicità, ricompensa da parte di Dio ai giusti, dopo la morte. Il termine si trova solo tre volte nel Nuovo Testamento, anche se l’idea che essa rappresenta è spesso espressa in altri termini, ad esempio nel "seno di Abramo" (Lc 16,22)…” (mb-soft.com/believe/tihm/eden.htm)

Nell’interpretazione del giudaismo comunque rimane celato il come del mondo dell’aldilà: “Chiaramente l’esegesi giudaica comporta, anch’essa, un insieme di nozioni escatologiche, come il giudizio dell’anima (il Kadich ebraico) che dura un anno. Tuttavia la felicità post-mortem descritta dalla bibbia è riferita solo ai tempi messianici. Il mondo del futuro rimane di fatto inconoscibile. Citiamo un’autorità in materia, il rabbino Josy Eisemberg: “tutto quello che possiamo conoscere del futuro dell’umanità, sia esso felice o apocalittico, è nelle mani di Dio, ma riguarda questo mondo terreno. Quanto alle beatitudini, nessuno è in grado di descriverle, tuttavia il testo più attendibile, se mi è concesso dirlo, appartiene al Talmud. Esso è praticamente l’unico testo in nostro possesso che si riferisce alla credenza giudaica nella vita oltre la morte; vi è scritto: “Non vi è nulla da mangiare né da bere nel mondo futuro, non esiste procreazione, né commercio, né gelosia, né odio, né concorrenza; i giusti sono seduti col diadema sul capo e godono dello splendore della presenza divina”. (…) Vi è la promessa di qualcosa, ma questo qualcosa rimane celato. (Da La sessualità nell’islam, A. Bouhdiba, p.93 Mondadori 2005)

Possiamo notare come il pensiero di Gesù, pace su di lui, come riferito nel Vangelo di Matteo, sia in parte in linea con la tradizione talmudica, nel sottolineare la differenza con la vita presente, come ad esempio nel racconto di Mt XXII, 24-30 c’è espressa chiaramente la domanda, da parte dei discepoli, riguardo al caso di una vedova sposata successivamente a sette fratelli, “Alla resurrezione di quale dei sette essa sarà la moglie? Poiché tutti l’hanno avuta. E Gesù rispose loro:Voi vi ingannate non conoscendo né la Scrittura, né la potenza di Dio. Alla Resurrezione infatti, non si prende né moglie né marito, ma si è come angeli nel cielo”. (Mt.24-30) però alcune parabole descrivono “lo stare a mensa coi profeti”… e Gesù stesso, pace su di lui, dopo la resurrezione, secondo i Vangeli mangia… “Ma il centurione riprese: "Signore, io non son degno che tu entri sotto il mio tetto, dì soltanto una parola e il mio servo sarà guarito. 9 Perché anch`io, che sono un subalterno, ho soldati sotto di me e dico a uno: Va`, ed egli va; e a un altro; Vieni, ed egli viene, e al mio servo: Fa` questo, ed egli lo fa". 10 All`udire ciò, Gesù ne fu ammirato e disse a quelli che lo seguivano: "In verità vi dico, in Israele non ho trovato nessuno con una fede così grande. 11 Ora vi dico che molti verranno dall`oriente e dall`occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli…” (MTVIII,8-11) 

E ricordiamo come il tema del giudizio finale sia comune alle tre tradizioni religiose, descritto nell’Apocalisse di Giovanni con termini molto simili a quelli del Corano: 

“Vidi poi un grande trono bianco e Colui che sedeva su di esso. Dalla sua presenza erano scomparsi la terra e il cielo senza lasciar traccia di sé. Poi vidi i morti, grandi e piccoli, ritti davanti al trono. Furono aperti dei libri. Fu aperto anche un altro libro, quello della vita. I morti vennero giudicati in base a ciò che era scritto in quei libri, ciascuno secondo le sue opere. Il mare restituì i morti che esso custodiva e la morte e gli inferi resero i morti da loro custoditi e ciascuno venne giudicato secondo le sue opere. Poi la morte e gli inferi furono gettati nello stagno di fuoco. Questa è la seconda morte, lo stagno di fuoco. E chi non era scritto nel libro della vita fu gettato nello stagno di fuoco…Vidi poi un nuovo cielo e una nuova terra, perché il cielo e la terra di prima erano scomparsi e il mare non c’era più.” (XX-XXI) 

Anche nel Corano, il paradiso viene espresso con Jannah, (giannatun, algiannatu) che significa Giardino, termine che esprime anche una continuità di significati  con le rivelazioni precedenti, specie col NT, aggiungendo nello stesso tempo una ricchezza di particolari e specificazioni.

Spesso, coloro che guardano dall’esterno alle descrizioni coraniche del Paradiso hanno l’impressione che esse siano improntate a “troppa corporeità”, specie in confronto alle interpretazioni correnti della teologia cristiana, che vi vede un luogo di pura contemplazione di Dio, rafforzando alcuni elementi spiritualizzanti dei Vangeli, in linea con la sua ulteriore tradizione di svalutazione dell’importanza dell’elemento corporeo nell’essere umano e della inscindibile unità corpo-anima nello stesso.  

Il Corano, come abbiamo sottolineato altre volte, invece mantiene un grande senso di unità dell’essere umano, tanto che anche le raffigurazioni dell’aldilà non vedono l’uomo liberato dal corpo, ma invece riconciliato con se stesso, con gli altri e con la terra: Giardino, Jannah, dice prima di tutto, nella nostra esperienza terrena una terra fertile, ricca di acque e alberi e frutti, in cui l’essere umano trova ristoro.  
 

“[Ecco] la descrizione del Giardino che è stata promessa ai timorati [di Allah]: ci saranno ruscelli di un’acqua che mai sarà malsana e ruscelli di latte dal gusto inalterabile e ruscelli di un vino delizioso a bersi, e ruscelli di miele purificato. E ci saranno, per loro, ogni sorta di frutta e il perdono del loro Signore. Essi sono forse simili a coloro che rimangono in perpetuo nel Fuoco e che verranno abbeverati di un’acqua bollente che devasterà le loro viscere?” (XLVII,15) 

Nell’uso di questo termine nella rivelazione coranica, sia per dire la dimora iniziale della prima coppia umana, sia il luogo finale dei giusti, c’è l’evidenziazione dell’inscindibile legame tra uomo e mondo. L’uomo è un essere-nel-mondo, come dice Heidegger, dalle origini la sua creazione è collegata alla creazione della terra e dei cieli, degli animali e delle piante, la  grandezza propria dell’umanità, quella che non stata data agli angeli, è il saper penetrare l’essenza delle realtà mondane chiamandole per nome.

Le conseguenze del peccato dei progenitori non appaiono nel Corano come un distacco da Dio, una perdita del rapporto con Lui, verso il quale Adamo prontamente è riammesso attraverso il pentimento, (teoria invece sostenuta dalla religione cristiana, per cui c’è bisogno di un sacrificio divino per restaurare la possibilità di salvezza),

ma un uscita dal Giardino, da un luogo dove c’è armonia e abbondanza, e quindi è il rapporto mondano e sociale che si fa conflittuale, non tanto quello con il Creatore: 

Ed insegnò ad Adamo i nomi di tutte le cose, quindi le presentò agli Angeli e disse:"Ditemi i loro nomi, se siete veritieri ".

Essi dissero:"Gloria a Te. Non conosciamo se non quello che Tu ci hai insegnato: in verità Tu sei il Saggio, il Sapiente.

Disse:"O Adamo, informali sui  nomi di tutte [le cose]"Dopo che li ebbe informati sui nomi, Egli disse: "Non vi avevo forse detto che conosco il segreto dei cieli e della terra e che conosco ciò che manifestate e ciò che nascondete?"…

E dicemmo:"O Adamo, abita il Paradiso, tu e la tua sposa. Saziatevene ovunque a vostro piacere, ma non avvicinatevi a quest’albero ché in tal caso sareste tra gli empi".

Poi Iblîs li fece inciampare e scacciare dal luogo in cui si trovavano...” (II,29-36) 

Lo scelse poi il suo Signore, accolse il suo pentimento e lo guidò

e disse: “Scendete insieme! Sarete nemici gli uni degli altri. Quando poi vi giungerà una guida da parte mia... chi allora la seguirà non si svierà e non sarà infelice”. (XX,122-123) 

La promessa fatta ai credenti è il ritorno ad un Giardino, ad una situazione di  abbondanza di beni,  di immediatezza, di riappacificazione con  se stessi e con gli altri:  

“Quanto a coloro che credono e compiono il bene - ché non obbligheremo nessuno oltre le sue possibilità - essi saranno i compagni del Giardino e vi rimarranno in perpetuo. Cancelleremo il rancore dai loro petti , mentre ai loro piedi scorreranno i ruscelli e diranno: « La lode [appartiene] ad Allah, Che ci ha guidati a ciò! Non saremmo stati guidati, se Allah non ci avesse guidato.” (VII,42-43) 

“Il paradiso è riconciliazione dell’uomo con la natura, in altre parole con la materia. Da qui l’origine della profusione materiale che caratterizza il Janna.” (Bouhdiba, op. cit.) 

Disse il profeta Muhammad, pace e benedizione su di lui: “All’uomo più miserabile del mondo, tra quelli destinati al Paradiso, una volta immerso nel Paradiso, sarà chiesto: “Figlio di Adamo, hai mai visto la miseria? Hai mai provato le difficoltà?” Così dirà: “No, mio Dio, mio Signore! Non ho mai visto miseria e non ho mai provato le difficoltà.”  

La strada per accedervi passa per la fede, il pentimento, il fare il bene e avere pazienza nelle prove: 

“Coloro che invece si pentono, credono e compiono il bene, entreranno nel Giardino e non subiranno alcun torto;  nei Giardini di Eden, che il Compassionevole ha promesso ai Suoi servi che [hanno creduto] nell’invisibile, ai Suoi servi, ché la Sua promessa è imminente…(XIX,60-61) 

E colui che avrà paventato di comparire davanti al suo Signore e avrà preservato l’animo suo dalle passioni, avrà invero il Giardino per rifugio.” (LXXIX,40) 

O voi che credete! Cercate aiuto nella pazienza e nella preghiera, perché Dio è con i pazienti. …Vi metteremo alla prova con la paura e la fame, con la perdita dei beni, della vita e dei frutti della terra; tu però dà il lieto annuncio della felicità eterna ai pazienti i quali, quando sono colpiti da una sventura, dicono: «In verità, a Dio apparteniamo e a Dio ritorniamo».  (Corano 2,153.155-156) 

Interessante notare come una cosa che gli increduli rimproveravano al Profeta Muhammad, era quella di non possedere neanche un giardino… 
 

“Perché non gli viene lanciato un tesoro [dal cielo]? Non ha neppure un suo giardino di cui mangiare [i frutti]?”. Dicono gli ingiusti: “Voi seguite un uomo stregato!”(XXV,8) 

E come invece possedere “un giardino”, nell’economia di questo mondo, favorisca un atteggiamento superbo e chiuso alla fede: 

Conveniva che entrando nel tuo giardino dicessi: Così, Allah ha voluto! Non c’è potenza se non in Allah!"*. Sebbene, tu mi veda inferiore a te nei beni e nei figli,

può darsi che presto il mio Signore mi dia qualcosa di meglio del tuo giardino e che invii dal cielo una calamità contro di esso, riducendolo a nudo suolo,

o che l’acqua che l’irriga, scenda a tale profondità che tu non possa più raggiungerla”. (XVIII,39-41)

C’era invero, per la gente di Sabâ’, un segno nella loro terra: due giardini, uno a destra e uno a sinistra. “Mangiate quel che il vostro Signore vi ha concesso e siateGli riconoscenti: [avete] una buona terra e un Signore che perdona!”

Si allontanarono [da Noi] e allora inviammo contro di loro lo straripamento delle dighe e trasformammo i loro due giardini in due giardini di frutti amari, tamarischi e qualche loto.” (XXXIV,15-16)

Un posto importante nelle raffigurazioni coraniche dell’aldilà è occupato dalla realizzazioni del desiderio sessuale. Nella rivelazione coranica c’è l’ evidenziazione di come ci sia qualcosa di essenziale nell’eros, che dunque non viene soppresso, ma liberato e sanato…

In che modo il Giardino che attende i timorati e le timorate, con tutte le sue delizie assomiglia a ciò di cui abbiamo esperienza? 

Nella riflessione islamica troviamo diverse posizioni, che vanno da un’interpretazione tradizionale completamente letterale, a una puramente simbolica, soprattutto in ambiente sufi, per cui gli elementi descritti sarebbero solo dei simboli…

Ci sembra che il Corano stesso stabilisca il senso delle raffigurazioni usate nei versetti che indicano una continuità, in cui ci possiamo riconoscere, ma anche una dissomiglianza e una novità perenne…  

“E annuncia a coloro che credono e compiono il bene, che avranno i Giardini in cui scorrono i ruscelli. Ogni volta che sarà loro dato un frutto diranno: “Già ci era stato concesso!”. Ma è qualcosa di simile (mutashabih) che verrà loro dato; avranno spose purissime e colà rimarranno in eterno.” (II,25) 

Perché le cose di là appartengono al ghayb, hanno le latitudini dell’immensità, dell’abbondanza… 

Nessuno conosce la gioia immensa che li attende, ricompensa per quello che avranno fatto.” (XXXII,17) 

Il Profeta Muhammad, pace e benedizione su di lui, disse: “In Paradiso esistono cose che gli occhi non hanno mai visto, orecchie mai udito e nessuna mente umana ha mai pensato”. 

E anche: “Uno spazio in Paradiso piccolo come un piede è meglio del mondo e di ciò che vi è in esso.” 

Un altro termine che emerge dai versetti coranici, oltre al Jannah, ed è quello di desiderio: là è il luogo dove ogni desiderio viene realizzato. Se le descrizioni del Giardino rimandano all’esperienza del mondo, quello di desiderio ci rimanda alle nostre dinamiche interiori: il desiderio è istanza tipicamente umana, che sorpassa il bisogno vero e proprio: 

Il profeta Mohammed  disse che il più infimo abitante del Paradiso avrà dieci volte i piaceri di questo mondo, e avrà qualsiasi cosa desideri per dieci volte.  

L’esperienza terrena è luogo in cui il desiderio non raggiunge mai la sua realizzazione completa, « la  sua estinzione » direbbero le religioni orientali : 

“ LasciaMi solo con colui che ho creato, cui ho concesso abbondanza di beni,  e figli al suo fianco, al quale ho facilitato ogni cosa, e che ancora desidera che gli dia di più.* (LXXIV, 11-15) 

Essi si abbandonano alle congetture e a quello che affascina gli animi loro, nonostante sia giunta loro una guida del loro Signore. L’uomo otterrà forse tutto quel che desidera? (LIII,23-24) 

In qualche modo il desiderio è una spia dell’infinitezza del destino dell’uomo, che le esperienze umane non riescono a colmare: “... Abbiamo descritto il desiderio come “misura” dell’Infinito che non può essere limitato da nessun termine e da nessuna soddisfazione… “ (Lévinas) 

Secondo  Schopenhauer “solo liberandosi radicalmente di ogni desiderio, solo estirpando da sé la volontà l’uomo potrebbe superare l’infelicità che fa parte della sua natura. Schopenhauer tratteggia nella sua opera la via per giungere al superamento della volontà o, nel suo linguaggio, alla nolontà, indicando il percorso per liberarsi non dei desideri ma del desiderare in quanto tale.” (www.loescher.it/filosofia_web/pessimismo_scho_felicita.html)

Così egli dice:

“Ogni volere scaturisce da bisogno, ossia da mancanza, ossia da sofferenza. A questa dà fine l’appagamento; tuttavia per un desiderio, che venga appagato, ne rimangono almeno dieci insoddisfatti; inoltre, la brama dura a lungo, le esigenze vanno all’infinito, l’appagamento è breve e misurato con mano avara. Anzi, la stessa soddisfazione finale è solo apparente: il desiderio appagato dà tosto luogo a un desiderio nuovo: quello è un errore riconosciuto, questo un errore non conosciuto ancora. Nessun oggetto del volere, una volta conseguito, può dare appagamento durevole, che più non muti: bensì rassomiglia soltanto all’elemosina, la quale gettata al mendico prolunga oggi la sua vita per continuare domani il suo tormento. Quindi finché la nostra coscienza è riempita dalla nostra volontà; finché siamo abbandonati alla spinta dei desideri, col suo perenne sperare e temere; finché siamo soggetti del volere, non ci è concessa durevole felicità né riposo. Che noi andiamo in caccia o in fuga; che temiamo sventura o ci affatichiamo per la gioia, è in sostanza tutt’uno; la preoccupazione della volontà ognora esigente, sotto qualsivoglia aspetto, empie e agita perennemente la coscienza; e senza pace nessun benessere è mai possibile."(Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, Roma-Bari, Laterza, 1979, vol. II, p. 270)

Per il musulmano non si tratta invece di estirpare qualsiasi desiderio ma di tenersi, in questa vita “nei limiti fissati da Allah”. Anche il Giardino non è il luogo di assenza del desiderio, anzi è il luogo in cui i desideri verranno esauditi all’infinito…

“Secondo Raghib la definizione stessa del Paradiso è la facoltà dell’individuo di poter realizzare il suo desiderio…. Chiaramente l’oggetto del desiderio può cambiare… Quando mutano i desideri mutano anche i doni, i piaceri, la potenza e le attitudini” (Da Bouhdiba, op. cit.)

“Non abbiate paura e non affliggetevi; gioite per il Giardino che vi è stato promesso. Noi siamo vostri alleati in questa vita e nell’altra, e in quella avrete ciò che l’ anime vostre desidereranno e quel che chiederanno. Questa è l’ospitalità del Perdonatore, del Misericordioso”.(XLI,30-32) 

... bene in questa vita, ma la dimora dell’altra vita è certo migliore! Quanto deliziosa sarà la dimora dei timorati; entreranno nei Giardini dell’Eden dove scorrono i ruscelli e avranno quello che desidereranno. Così Allah compensa coloro che [Lo] temono, [coloro] che gli angeli coglieranno nella purezza, dicendo loro: “Pace su di voi! Entrate nel Paradiso, compenso per quel che avete fatto” ... (XVI,30-32) 

“Di’: “E’ forse meglio questa [Fiamma] o il Giardino perpetuo che è stato promesso ai timorati come premio e ultima destinazione? . Avranno colà tutto ciò che desidereranno e perpetua dimora”. Promessa che il tuo Signore manterrà. (XXV, 15-16) 

“In quel Giorno, i compagni del Paradiso avranno gioiosa occupazione, essi e le loro spose, distesi all’ombra su alti letti. Colà avranno frutta e tutto ciò che desidereranno. E “Pace” sarà il saluto [rivolto loro] da un Signore misericordioso...”

(XXXVI,55-58) 

La vicinanza e visione di Dio costituisce per il musulmano la beatitudine più alta, senza rinnegare gli altri livelli della gioia: 
 

In quel Giorno ci saranno dei volti splendenti,

che guarderanno il loro Signore… (LXXV,22) 

Le descrizioni delle gioie del Paradiso lasciano più in ombra alcuni aspetti del mondo del desiderio femminile, ma a uomini e donne è fatta la stessa promessa e medesima è la strada che là conduce: 

" In verità i musulmani e le musulmane, i credenti e le credenti, i devoti e le devote, i leali e le leali, i perseveranti e le perseveranti, i timorati e le timorate, quelli che fanno l’elemosina e quelle che fanno l’elemosina, i digiunatori e le digiunatrici, i casti e le caste, quelli che spesso ricordano Allah e quelle che spesso ricordano Allah, sono coloro per i quali Allah ha disposto perdono ed enorme ricompensa "

(XXXIII,35). 

" Daremo una vita eccellente a chiunque, maschio o femmina, sia credente e compia il bene. Compenseremo quelli che sono stati costanti in ragione delle loro azioni migliori. " (XVI,97)



Giovedì, 24 aprile 2008