Conoscere l’islam
L’Orsetto e i fondamentalisti

di Maria G. Di Rienzo

Ringraziamo Maria G. Di Rienzo[per contatti: sheela59@libero.it]per questo intervento.


Il pupazzo di peluche chiamato Maometto dai bambini di una classe elementare (non so se qualcuno lo ha notato, ma Mohamed è il nome più comune nei paesi musulmani) e il conseguente arresto della loro maestra hanno fatto versare fiumi di inchiostro sulla necessità del rispetto delle “loro” tradizioni, hanno dato stura alle solite prediche sull’intolleranza islamica, e qualcuno si è anche chiesto cosa sarebbe successo se in un paese cattolico i bimbi avessero dato nome Gesù all’orsetto. Dipende dal paese cattolico: in molti stati latinoamericani sono le persone a chiamarsi Gesù e nessuno si scandalizza, mentre in Italia nessuno mette questo nome al suo bambino. Vorrei sottolineare che è proprio il considerare omogeneo il mondo islamico ad impedirci di avere relazioni più sensate e proficue con esso. Nessun organo della stampa italiana, rispetto alla vicenda dell’orsacchiotto, ha riportato le marcate prese di distanza dalla decisione del tribunale sudanese da parte di comunità musulmane e leader religiosi musulmani. Ve ne cito io, in parte, una per tutte, quella del Supremo consiglio musulmano irlandese: “Deploriamo il verdetto di colpevolezza emesso da un tribunale del Sudan contro l’insegnante inglese Gillian Gibbons per aver “insultato la religione”. Crediamo che questo vada oltre il senso comune. L’unico risultato di questa faccenda è che il nome dell’Islam viene di nuovo trascinato nel fango dai bigotti. Per i musulmani, in tutto il mondo, l’istruzione è di enorme importanza, perché il Profeta stesso comandò ai musulmani di cercare la conoscenza ovunque potessero. La signora Gibbons si inserisce in questa nobile tradizione di trasmettere conoscenza ad altri, e siamo scioccati dal trattamento da lei subito, e vogliamo ribadire che il tribunale sudanese non parla per l’Islam. Ci rattrista che il mondo musulmano sia silente su questioni quali la punizione della vittima di stupro in Arabia Saudita, ma sia fin troppo svelto ad emanare decreti e sentenze per giustificare o compiacere i suoi leader politici. Chiediamo anche al governo del Sudan di impegnarsi a risolvere la crisi del Darfur, invece di perdere tempo con gli orsetti di peluche.”
Siamo abbastanza rispettosi per considerare che questi imam hanno preso una posizione diversa, oppure vogliamo arrogarci anche il giudizio su cosa sia “veramente” musulmano, e privilegiare per “vero” quel che si accorda alla nostra parte politica? Mi pare che in Italia, a destra e a sinistra, si stia facendo esattamente questo. In Egitto, ove si stimano 20.000 casi di stupro l’anno, il Parlamento ha introdotto il primo gennaio 2008 una legge che permette l’interruzione di gravidanza (già ottenibile qualora la vita o la salute della donna siano in pericolo, o in presenza di gravi anomalie del feto) alle vittime di violenza sessuale. L’influente clero sunnita ha annunciato il proprio sostegno alla legge. Ci saranno senz’altro altri musulmani, sunniti o no, che non l’avranno approvata.
Una bozza di “codice di condotta” mirato a contrastare il terrorismo fondamentalista e redatto congiuntamente da diversi gruppi e leader musulmani, religiosi e laici, sta circolando in Gran Bretagna dallo scorso novembre. Le linee guida promuovono una cultura di “responsabilità civile” e, udite udite, l’avanzamento dei diritti delle donne nelle moschee, nei centri islamici e nelle scuole islamiche. Il codice, in dieci punti, perverrà alla sua stesura definitiva, dopo ulteriori consultazioni, nel marzo prossimo. Il senso di una responsabilità più ampia rispetto alla società in cui si vive, unito ad una gestione maggiormente democratica delle organizzazioni musulmane, dice il documento, oltre a contrastare gli estremismi potrà dare inizio ad una “riconciliazione nella relazione frantumata tra musulmani e non-musulmani”. La bozza riconosce “alcuni dei fallimenti che hanno permesso agli estremisti di guadagnare consenso” nella comunità musulmana, quali: imam scarsamente istruiti, mancanza di trasparenza finanziaria, impedimenti alla partecipazione delle donne.
Spronato anche da tale iniziativa, il governo britannico ha individuato proprio nelle donne il punto focale delle tecniche culturali anti-terrorismo: “Le donne musulmane,” ha confermato il portavoce del Dipartimento per le comunità ed i governi locali, “ci hanno detto in più occasioni di voler giocare un ruolo maggiore, nella vita pubblica e nelle loro comunità, nel contrastare la minoranza di violenti che sta cercando di dividerci. E’ perciò del tutto logico e giusto che noi si sostenga le donne musulmane nel mentre esse sviluppano e affinano le abilità necessarie a questo scopo.” I finanziamenti relativi aiuteranno le giovani musulmane a diventare magistrate, consulenti e direttrici scolastiche. Credete che il Consiglio musulmano britannico, quello sempre acclamato ai Social Forum, sia contento? Certo che no. “Vogliono trasformare in spie le donne musulmane”, è stato il commento di Inayat Bunglawala, vice segretario generale del Consiglio.
Shaista Gohir, direttrice esecutiva della Rete delle donne musulmane in Gran Bretagna, ha risposto: “Nessuno ci ha chiesto di diventare investigatrici, quello che vogliamo è un ruolo più ampio nella sfera pubblica.” I vescovi della Chiesa d’Inghilterra sono anch’essi favorevoli all’iniziativa poiché, dicono, “Fino ad ora la filosofia del multiculturalismo ha richiesto agli individui di vivere in comunità separate, ed ha fatto in modo che non vi fosse bisogno per loro di costruire relazioni sane con altre comunità ed altre persone. Così l’integrazione non era necessità ne’ desiderio per alcuno, e questo ha contribuito al risorgere degli estremismi religiosi.”
C’è un programma televisivo canadese, un’ironica commedia a puntate, dal titolo “La piccola moschea nella prateria” (è un richiamo palese al serial che in italiano si chiamava, se non ricordo male, “Quella piccola casa nella prateria”). Fa un milione e duecentomila spettatori a puntata, e la tv francese Canal Plus l’ha già acquistata per la distribuzione in Svizzera e nell’Africa francofona. Fortunatamente, nessuno ha ancora proposto di boicottare il Canada per insulti alla religione, o di bruciare ambasciate canadesi all’estero. Anche perché ai musulmani canadesi il programma piace. Sarà utile sapere che il senzadio ideatore della serie è una donna, che questa donna è direttrice della CBC Television, oltre che la creatrice della casa di produzione cinematografica FUNdamentalist Films (e cioè “filmati fondamentalisti”: è un gioco di parole su fun, le prime di tre lettere di fondamentalisti in inglese ma anche, nella stessa lingua, “divertimento”). Costei si chiama Zarqa Nawaz, non è senzadio ma musulmana, e dice di queste cose nelle interviste: “I media occidentali raramente rappresentano i musulmani nella loro vita di tutti i giorni e le cose che si vedono sono spesso solamente collegate ad eventi negativi. Il mio programma mostra persone musulmane che si sposano, hanno figli, vanno al lavoro, pagano le bollette. Ho privilegiato la qualità, per questo lavoro. Lavorare in un ambiente misto, donne ed uomini, credenti e non, comporta enormi benefici: per quanto riguarda il serial, lo mantiene per così dire “universale”, lo rende riconoscibile e godibile anche a chi non è musulmano, e la maggior parte dell’audience non lo è. La commedia è un linguaggio che parla a tutti, e può aiutare a smantellare gli stereotipi ed i fraintendimenti tra le persone.”
Lo show non mira solo all’informazione ed all’intrattenimento, ma tocca argomenti difficili come il razzismo, il sessismo e l’estremismo politico e religioso. Zarqa Nawaz nota ad esempio che: “In Medio Oriente le moschee sono il dominio privato degli uomini, mentre altrove la partecipazione femminile e l’orientamento comunitario, come in Canada, sono maggiormente privilegiati.”
Vogliamo dire che i musulmani canadesi o egiziani non sono “autentici”? Ove le donne sono tenute separate o distanti, o le si riduce al silenzio, si è più o meno “veri” come comunità umana? La relazione con la propria fede, e con Dio, è qualcosa di molto personale e intimo, in cui nessun altro è a mio parere autorizzato ad intervenire. La relazione fra individui umani, invece, funziona su basi di equità, giustizia, bilanciamento. Oppure non funziona.

Maria G. Di Rienzo


Fonti: France Presse, New York Times, Sunday Telegraph, Common Grounds, Gulf News, The Times

Sabato, 12 gennaio 2008