NUOVE MOSCHEE IN ITALIA?

di FARIAN SABAHI*

L’Islam è compatibile con la democrazia? Questo è il dilem­ma dei nostri tempi, a cui non possiamo dare risposta negati­va, altrimenti facciamo il gioco degli integralisti.
Gli ostacoli sono nei testi sacri che, presi letteralmente, non ga­rantiscono uguali diritti alle don­ne e alle minoranze. La compati­bilità tra Islam e democrazia, e di conseguenza tra Islam e moder­nità, è un tema su cui ragioniamo in tanti. La soluzione è la storiciz-zazione delle Scritture: se anche il Corano obbliga le musulmane a coprire le parti belle vi sono reli­giosi come l’iraniano Youssef Eshkevari che sostiene come oggi siano le leggi a proteggere le donne meglio del velo anche, se molte decidono di metterlo come atto di fede.
Le iraniane hanno un tasso di alfabetizzazio­ne che sfiora l’80%, rappre­sentano il 63% delle matricole universitarie, hanno un ruolo determinante nell’economia e nella società ci­vile. Ma nella Repubblica islami­ca la testimonianza di una don­na vale la metà rispetto a quella di un uomo, in caso di morte violenta la famiglia riceve un ri­sarcimento pari al 50%, le sorel­le ereditano la metà dei maschi, ottenere il divorzio è tutt’altro che automatico e la custodia per i figli è una battaglia impegnati­va. Per questo le iraniane lotta­no per l’equiparazione legale.
Le questioni aperte sono tante e tra le più importanti c’è la pena di morte inflitta anche ai mino­renni, in violazione delle conven­zioni internazionali, agli intellet­tuali che si macchiano di reati d’opinione e agli omosessuali. Ma l’Iran è un paese dalle molte contraddizioni. Se da una parte essere colti nell’atto di amare una persona dello stesso sesso può costare la condanna capitale, dall’altra se ci si dichiara omo­sessuali si ottiene l’esenzione dal servizio militare (a patto di avere la firma dei genitori, un fatto che scoraggia molti). E i transessuali possono sottoporsi legalmente alle operazioni chirurgiche per cambiare sesso in una clinica di Teheran, per poi passare in ana­grafe, registrarsi con altro nome e convolare a nozze.
Dopo l’11 settembre la compa­tibilità tra Islam e democrazia coinvolge anche gli italiani, sem­pre più spaventati e pieni di pre­giudizi derivanti dall’ignoranza.
Ogni tanto sembra di parlare a un muro: bisogna spiegare che mu­sulmani, cristiani ed ebrei vivono da secoli in pace in tanti paesi del Medio Oriente e che a non garan­tire libertà di culto sono pochi paesi del Golfo. Quando racconto, per esempio, di cristiani ed ebrei che vanno liberamente nelle loro chiese e sinagoghe in Iran, mol­tissimi non mi credono e devo ri­correre a tutta la mia pazienza per non gettare la spugna.
Di fronte alla difficile integra­zione dei nuovi arrivati, qual è l’atteggiamento più saggio? È opportuno costruire moschee? Oppure è stato un errore, per la Fondazione del Monte dei Pa­schi di Siena, do­nare 300.000 € a fondo perduto al­la comunità isla­mica di Colle Val d’Elsa per erigere un luogo di culto? Sono forse più saggi gli svizzeri, che vorrebbero indire un refe­rendum per met­tere fuori legge i minareti? L’Italia è una peniso­la che si allunga verso il Medi­terraneo. Non riusciremo a far­ne una fortezza.
L’unica politica possibile è l’in­clusione, nel rispetto della lega­lità. Gli italiani dovrebbero fare un passo verso gli stranieri ma lo sforzo maggiore deve venire dai nuovi arrivati che per capire la cultura cattolica del paese in cui hanno deciso di vivere dovrebbe­ro mettercela tutta. E sarebbe op­portuno, per quanto possa sem­brare azzardato, che i loro figli frequentassero l’ora di religione cattolica nelle scuole, per lo meno in attesa che a qualche ministro venga la buona idea di istituire l’ora di studio comparato sulle religioni come già avviene in al­cune parti d’Europa, come in Sve­zia e nel Regno Unito.
Con l’obiettivo di fare conosce­re ai figli degli immigrati qualco­sa di più della cultura che permea l’Italia, per dare loro gli strumen­ti per una migliore integrazione. Per l’integrazione delle minoran­ze è poi fondamentale la difesa a oltranza della laicità delle istitu­zioni tanto cara, già nel Seicento, all’ebreo olandese (ed eretico) Baruch Spinoza. Perché solo la laicità dello Stato garantisce a tutti la libertà di culto. Ma per­mette anche di dichiararsi agno­stici e persino atei, un lusso nella situazione attuale in cui tutti sia­mo obbligati, nostro malgrado, a prendere posizione.
*Docente di «Islam e democrazia» all’Università di Torino

Il presente articolo è tratto da Riforma - SETTIMANALE DELLE CHIESE EVANGELICHE BATTISTE, METODISTE, VALDESI Anno 143 - numero 39 - 12 ottobre 2007. Ringraziamo la redazione di Riforma (per contatti: www.riforma.it) per averci messo a disposizione questo testo



Mercoledì, 17 ottobre 2007