Conoscere l’islam
Alcune peculiarità della lingua arabo-coranica

di Rosario Amico Roxas

" Un aspetto che ha un’importanza non trascurabile nei rapporti tra Occidente e mondo arabo è costituito dal significato che alcuni termini hanno nelle due civiltà, perché la confusione lessicale può diventare confusione di pensiero.


Uno di questi termini è Umma, che troviamo nel Corano, dove indica la comunità dei monoteisti che discendono da Abramo e, per analogia, si estende alla comunità dei popoli musulmani sparsi nel mondo, i quali appartengono ad un’unica Umma. Il termine ha, dunque, un significato puramente spirituale e morale e non si può tradurre con il nostro concetto di nazione.
Analizzandolo oggi, l’Islam è la cultura maggiormente capace di ottenere il consenso da parte delle masse popolari, perché l’Islam rappresenta la proiezione di grandi aspettative di solidarietà sociale. L’aspetto sacro della vita è stato lungamente sfruttato per tenere a bada le masse, oggi i termini del confronto si sono capovolti, così il sacro è diventato la forza maggiormente destabilizzatrice dei privilegi.

Le forze della sinistra socialista e comunista in Occidente non sono mai state capaci di offrire schemi e idee alternative. La guerra fredda tra la democrazia occidentale e il comunismo sovietico si trasformò ben presto in uno scontro economico tra il capitalismo e il sistema collettivistico socialista. L’implosione del regime comunista non rappresentò una vittoria della democrazia, bensì del capitalismo; questa vittoria ha provocato il deragliamento dello sviluppo culturale di molte nazioni musulmane, che nel socialismo avevano posto i loro progetti futuri, aprendo la strada al fondamentalismo religioso che, piano piano, stava per essere superato alla luce della promessa uguaglianza sociale. Quello che sta accadendo oggi con il fondamentalismo non solo non rinnova lo spirito dell’Islam, ma rappresenta la fine di sogni mai realizzati, destinati a scomparire nel deserto delle illusioni. Il fondamentalismo, che sarebbe più corretto chiamare fanatismo, riduce l’intelligenza e la operatività al livello di riflessi emotivi.

Altro termine intraducibile è Hurria, impropriamente da noi tradotto con la parola libertà.
La lingua araba non possiede un termine in grado di esprimere l’equivalente del concetto di libertà occidentale, perché per gli Arabi fino al 1798, quando Napoleone Bonaparte entrò in Egitto portando con sé i concetti della rivoluzione francese di "libertà, uguaglianza, fraternità", la libertà era uno stato giuridico contrapposto alla schiavitù.
Ma anche successivamente il termine Hurria, pur acquistando un senso politico, non coincise mai con quello di libertà nell’accezione che noi conosciamo; infatti nel mondo arabo non ci sono stati mai cittadini che abbiano reclamato dai loro governanti la libertà in senso democratico, ma piuttosto l’equità e la giustizia, che è il significato che la parola Hurria ha assunto nella accezione politica.

Un’altra proiezione di un concetto antico verso realtà moderne si opera nei confronti del termine Chura, che si vuole assimilare al moderno pluralismo politico e democratico. Per gli islamici, invece, la Chura consiste nell’obbligo che ha il principe di prendere consigli dai saggi. Si tratta, quindi, di un dovere di concertazione per giungere al consenso, la cui negazione conduce al potere dispotico e arbitrario e, quindi, alla negazione della giustizia.
La Chura, quindi, intesa come "concertazione", è un principio coranico di ordine morale, che investe tutti i settori della vita dell’uomo, affinché vengano evitate le prevaricazioni e le ingiustizie. Essa non coincide con la democrazia, ma non si oppone ad essa, anzi le spiana la strada; la prima costituzione contemporanea del mondo arabo-islamico, infatti, è quella tunisina, promulgata nel 1861, malgrado la presenza colonizzatrice dei francesi. I francesi l’accettarono, ritenendo che si trattasse di una mera formalità, e come tale venne tollerata; sarà questa costituzione, invece, a stimolare l’esigenza di indipendenza, che contagerà tutta l’ex Africa Settentrionale francese. Anche in questo caso non prevalse l’esigenza di libertà secondo la nostra concezione, quanto piuttosto l’intolleranza verso un usurpatore di diritti, che non applicava i principi previsti dalla Chura.
Il Bey di Tunisi era ridotto al rango di mediatore tra i francesi colonizzatori e le fasce medio-basse della popolazione; i pochi bourgeois non erano, infatti, troppo interessati a disfarsi della presenza francese, che garantiva loro dei privilegi, unitamente al mantenimento dell’ordine e alla realizzazione di opere ritenute, per i tempi, faraoniche, come la bonifica del grande golfo di Tunisi e il recupero di gran parte di aree edificabili sottratte al mare. Tutta la città di Tunisi, che va dalla Porte de France (un tempo chiamata Porte de la mer), da dove inizia il Zuk di Tunisi, fino al nuovo confine con il mare, fu costruita sui terreni recuperati dal mare; anche la Cattedrale Cattolica è costruita su questi terreni di risulta, ed è sostenuta da 3.600 pali di eucalipti conficcati nel terreno. Anche i 13 km di strada che tagliano il restante golfo, creando un lago salato, che da Tunisi porta a La Goulette, furono opera dei francesi. Ma, accanto a queste opere, furono fatte anche delle devastazioni, come il disboscamento della catena dei monti della Megerda; si trattava di alberi di palissandro e con quel legname furono costruiti i mobili francesi Luigi Filippo da artigiani tunisini e da una scuola di artigiani di El Annaba in Algeria, a pochi km. dal confine a Nord-Ovest con la Tunisia, dove ancora si producono copie di quei mobili, che antiquari di pochi scrupoli importano in Francia rivendendoli come autentici d’epoca, ultimi retaggi rimasti in Tunisia e Algeria della occupazione coloniale. Anche l’agricoltura venne sacrificata con grandi estensioni di terreni adibiti a colture estensive, favorite dall’abbondanza di manodopera a bassissimo costo.

Intraducibile negli idiomi occidentali è il termine Riba, erroneamente tradotto con "usura", ma che non ha niente a che vedere con il concetto occidentale di usura. La riba è un complesso di operazioni che seguono una logica speculativa basata su valori fittizi e che mira all’impoverimento della maggioranza dell’umanità a vantaggio delle oligarchie economiche sempre più ristrette e concentrate. La riba rappresenta quel tipo di politica economica che modifica, in peggio, i rapporti tra gli uomini e tra gli Stati. Divide le nazioni in nazioni debitrici e nazioni creditrici e promuove attività di politica economica tendente all’azzeramento delle risorse monetarie di intere popolazioni, sottraendo le materie prime e imponendo l’acquisto di beni non necessari: beni voluttuari e armi.
Nel pubblico, come nel privato, la riba è il pilastro portante di una società disumanizzante e disumanizzata, che non riconosce più gli uomini nella loro struttura umana, bensì li identifica in produttori e consumatori, debitori e creditori, dove già massicciamente di più non conta essere, ma avere.
Le conseguenze di questa forma di sfruttamento, che è ben più grave della semplice usura, sono di portata planetaria. Paesi come il Brasile, il Senegal, le Filippine hanno dovuto ricorrere alla deforestazione massiccia, che ha provocato danni immensi all’ecosistema, per fare fronte all’indebitamento causato dalla imposizione di beni superflui. A livello di nazioni la riba diventerà sempre più perniciosa con la globalizzazione dei mercati, dove le nazioni più ricche e più forti imporranno i loro prodotti in cambio di....nulla. Le nazioni produttrici di petrolio del Medio Oriente, malgrado le immense ricchezze prodotte dalla estrazione del petrolio, non riescono a soddisfare i bisogni primari delle popolazioni.
La riba ha sconvolto anche i rapporti nelle popolazioni e nelle famiglie.
E’ riba il sistema commerciale di allettare i consumatori con inviti come "compra subito, paghi a rate e la prima rata sarà l’anno venturo". Si tratta di riba come sfruttamento, come illusione, perché, sia pure con tutto il comodo possibile, prima o poi bisognerà pagare il debito contratto per avere l’automobile nuova, le vacanze annuali, il mutuo per la seconda casa. Per pagare, allora, sarà necessario il doppio lavoro (quando c’è), il lavoro nero; sarà necessario sacrificare la famiglia, parcheggiando i figli negli asili o nelle scuole a tempo pieno.
La riba impone di sacrificare l’armonia della famiglia al mito del consumismo; venendo meno l’armonia della famiglia, inizia lo scardinamento di una intera civiltà.
Tutto questo è anticipato nel Corano:

"Coloro, invece, che si nutrono di riba resusciteranno come chi sia stato toccato da Satana. E questo perché dicono "Il commercio è come la riba". Ma Dio ha permesso il commercio e proibito la riba. (Corano II, 275)"

L’interpretazione più particolareggiata è affidata alla Sunna e alle parole dei saggi, che non guardano all’utile più immediato, bensì all’arricchimento spirituale dell’uomo.

Grande confusione genera il termine Jihad, e non sempre si tratta di confusione in buona fede, causata da ignoranza o da limitata conoscenza; il più delle volte viene interpretata erroneamente per giustificare atteggiamenti aggressivi di ritorsione.
Il termine arabo significa letteralmente "sforzo", e il primo utilizzo che ne viene fatto nel Corano è:

Jihad fi-sabili-llah (lo sforzo dell’uomo nell’itinerario verso di Dio).

E’, innanzitutto, un termine a carattere religioso-mistico, perché c’è viva nell’Islam la convinzione che la strada che porta a Dio non è facile ed agevole, è una strada che prevede un grande sforzo, perciò grande sarà il premio per coloro che la percorrono.
Il mondo occidentale preferisce interpretare la jihad esclusivamente sotto il profilo bellico, che esiste anche nell’interpretazione musulmana, come "sforzo militare", cui sono chiamati i credenti per difendere la loro Umma. Quando la loro Umma è aggredita, minacciata, oppressa o perseguitata, i credenti hanno il dovere di combattere, esercitando il diritto-dovere di salvaguardarla:

"coloro che si difendono quando sono vittime dell’ingiustizia" (Corano XLII, 39)
"Combattete per la causa di Dio contro coloro che vi combattono, ma senza eccessi, perchè Dio non ama chi eccede (Corano II, 190).

Risulta evidente come la guerra abbia solo carattere difensivo e che debba essere condotta senza lasciarsi mai andare all’efferatezza e alla crudeltà.
I credenti che partecipano alla guerra difensiva sono chiamati mujahidin e godono della massima considerazione nella comunità. Quelli che perdono la vita nella guerra sono perdonati da Dio dei loro peccati e sono considerati "vicini a Dio":

"Non considerate morti quelli che sono stati uccisi sul sentiero di Dio. Sono vivi, invece, e ben provvisti dal loro Signore, lieti di quello che Dio, per Sua grazia, concede loro" (Corano III, 169-170)

Secondo un hadit ci sono tre momenti che giustificano una guerra: il sangue (che significa l’integrità fisica), l’onore (la propria rispettabilità e quella della famiglia), i beni (ciò che onestamente si possiede).
L’azione, la parola e l’intenzione sono i tre strumenti per difendere i diritti citati: la parola potremmo identificarla con l’attuale diplomazia, l’intenzione è la pubblica riprovazione; quando queste due falliscono, allora si passa all’azione, cioè alla guerra.



Domenica, 18 novembre 2007