Conoscere l’islam
Intervista a Lafif Lakhdar

Il giornale arabo Elaph ha pubblicato un’intervista all’intellettuale tunisino Lafif Lakhdar nel settembre 2007. Lakhdar è stato coinvolto nelle lotte per l’indipendenza dell’Algeria e fu consigliere del primo presidente algerino Ben Bella. In seguito ha fatto parte della scena politica libanese ed era molto conosciuto nei circoli della sinistra, che ha abbandonato perché deluso dal coinvolgimento di quest’ultima nella guerra civile libanese. Oggi vive a Parigi. (Trad. M.G. Di Rienzo)


Ringraziamo Maria G. Di Rienzo[per contatti: sheela59@libero.it]per averci messo a disposizione questa sua traduzione.

Elaph: Qual è il significato della lotta ideologica che vediamo infuriare fra i musulmani europei?
Lafif Lakhdar: Ci sono due tendenze di base che si confrontano. La prima vuole un isolamento culturale dei musulmani nelle società europee ed il mantenimento di cosiddette tradizioni islamiche, in special modo quelle che confliggono con i principali valori umanitari delle società europee: l’eguaglianza fra i sessi, la laicità dello stato, la libertà individuale. La seconda tendenza, alla quale io mi associo, chiede l’opposto: che i musulmani europei e i musulmani che vivono in Europa adottino i valori dei diritti umani per far rivivere e rinnovare i valori tradizionali, molti dei quali non rispondono più ai tempi attuali. Questo passo, che è necessario, non significa che i musulmani devono abbandonare i propri valori spirituali, o il meglio della loro storia; significa solo abbandonare e trasformare quelle pratiche che sono in diretta opposizione alla Dichiarazione internazionale dei Diritti Umani, ed alle Convenzioni che ne sono derivate, come la Cedaw (Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne), e quelle che proteggono diritti dei bambini e delle minoranze. Quello che mi dà speranza, in Francia, è che secondo le ultime ricerche i musulmani meglio integrati in questo paese sono i tunisini come me. Ciò è dovuto in larga parte alla qualità dell’istruzione religiosa tunisina, che non ha nulla della cultura dell’odio per gli “infedeli”, ma piuttosto è una cultura di moderazione, che i tunisini assorbono sia dai discorsi religiosi sia da quelli politici. Sfortunatamente, ciò è raro nei paesi islamici.”
Elaph: Cosa intende quando parli di pratiche o tradizioni che confliggono con i diritti umani?
LL: Parlo del disprezzo per le donne e della giustificazione a picchiarle. Il Corano, 4:34, comanda: “Battetele” (anche se vi sono traduzioni diverse). Io ho chiesto l’abrogazione di questo comando, ovvero che non venga messo in pratica, perché non è conforme ai valori universali di quest’era. Quest’anno, lo storico tunisino Mohammed Talbi ha pure chiesto la sua abrogazione. Allo stesso modo, noi musulmani dovremmo smettere di considerare il mettere al mondo bambini come un obbligo religioso. Dovremmo smettere di privare le donne dei loro diritti di custodia sui figli e dei diritti ereditari. Dovremmo smettere di sfigurare sessualmente le fanciulle e le bambine con le mutilazioni genitali. Dovremmo piantarla dall’insistere a dire che le donne non possono avere diritti civili perché non uguali agli uomini, e piantarla con la poligamia, che è una catastrofe per i musulmani, sia nei loro paesi sia nella diaspora. In Francia ci sono 30.000 famiglie poligame, con una media di quattordici bambini e mezzo per famiglia. La percentuale di questi figli che falliscono negli studi è molto alta, così com’è alta la percentuale di marginalizzazione e di ricorso alla delinquenza. Dall’altra parte, la media dei bambini che non falliscono è vicina a quella generale francese nelle famiglie che non ne hanno più di cinque.
Gli islamisti mi contrastano dicendo: “Tu vuoi distruggere le nostre radici”. Sono conscio della necessità per le persone di essere connesse alle loro radici storiche, quel che io propongo ai musulmani è di mantenere un legame con esse celebrando le proprie festività e mettendo in pratica i propri valori spirituali e, allo stesso tempo, propongo che essi sviluppino un legame organico con la civiltà moderna: le istituzioni democratiche, i valori umanitari, le scienze. Non c’è futuro per i musulmani se essi restano al di fuori di questa cornice, e meno ancora se sono contrari ad essa. In verità, esiste una sola civiltà mondiale, umana.
L’altra tendenza, di cui parlavo prima, è attivamente promossa dagli islamisti e dagli imam tradizionalisti, ed è al momento dominante nell’Islam europeo, anche se chi la propugna non accetta questa definizione, e preferisce parlare di “Islam in Europa”, per enfatizzare il proprio separatismo dalle società in cui vive.
Elaph: Come mai è così diffusa?
LL: A causa di quattro fattori di base. 1) Il discorso religioso: sermoni del venerdì, predicazioni, scuole private islamiche, e i media, che sono in effetti monopolizzati dai sostenitori di questa tendenza. Persino i media europei, in particolar modo quelli audio/video, presentano costoro ad ogni occasione. Tareq Ramadan è dappertutto, ma non invitano gente come Fathi Bin Salama, o Malek Chebel, o Taher Ben Jelloun, Ghaleb bin Sheikh, l’ex mufti di Marsiglia Soheib Bin Sheikh, Yousef Siddiq, George Trabishi, Hashem Saleh, Mohammed Arkoun, o io stesso, e dozzine di altri intellettuali musulmani laici. I media arabi, come Al-Jazeera, Iqra, and Al-Manar tv, che sono molto seguiti dai musulmani europei, agiscono nella stessa maniera. I sostenitori delle tendenze laiche sono tenuti fuori da questi media. “La direzione opposta”, che è il programma più popolare su Al-Jazeera, mi boicotta sin da quando ho smantellato, nell’ultimo show a cui ho partecipato, le teorie dei negatori dell’Olocausto. (Andò in onda nel giugno 2001, ndt.) E il principe saudita Khaled Bin Sultan mi ha bandito dal quotidiano Al-Hayat, dove scrivevo, dopo che durante un programma televisivo ho sostenuto la necessità della pressione internazionale per porre fine alle lapidazioni di donne musulmane in Iran. (Questo accadde nel novembre 2002, ndt.)
2) Il secondo fattore sono i petrodollari che fluiscono a chi si oppone all’integrazione, così che costoro possono avere la propria stampa, tradurre i libri di Al-Qaradhawi nelle lingue europee e mandare predicatori nelle aree suburbane a fare propaganda contro gli “occidentali” diritti umani.
3) Il terzo fattore è che le organizzazioni dei musulmani in Europa, e specialmente in Francia, favoriscono tutto quel che si oppone al concetto di “Islam europeo” e all’integrazione.
4) Il quarto fattore è la giurisprudenza detta “al-wala w’al-bara”, la quale dichiara che ci si può “alleare” solo con i credenti e rigetta totalmente gli infedeli (siano esse politeisti, ebrei, cristiani, eccetera). Questi concetti hanno giocato un ruolo importante nel formare la cultura religiosa degli europei musulmani, specialmente quelli delle prime generazioni, che li hanno appresi sin dalle elementari. Oggi, questa cosa va in onda su Al-Jazeera e Al-Manar, e viene diffusa dai siti web islamisti e jihadisti. Il mujahid Sheikh Ayman Al-Zawahiri ha scritto nel suo libro “Cavalieri sotto l’insegna del Profeta” che il diffondersi dello slogan “al-wala w’al-bara” fra le masse islamiche è il principale obiettivo di Al-Qaida e non la liberazione della Palestina, sebbene “ci sia molto cara”.
Al-Zawahiri scrive: “Portare le masse della nazione islamica a comprendere “al-wala w’al-bara” prenderebbe molto tempo, e i nostri nemici non ci daranno quel tempo. Perciò, dobbiamo usare la jihad in Palestina, come mezzo per portare la nazione a capire (...)” In altre parole, dobbiamo far capire loro che gli ebrei e i cristiani sono nostri nemici, e da tali dobbiamo trattarli, cominciando una guerra santa contro di loro fino a che accettino l’Islam o spariscano. Questo divide l’umanità fra credenti ed infedeli, con l’odio e la guerra come le uniche relazioni possibili tra i due. Divide il mondo nella “dimora dell’Islam” e la “dimora della guerra”. Quest’ultima, sin dalle Crociate, è stata l’Europa. “Al-wala w’al-bara” richiede anche agli “infedeli” la totale rinuncia alla loro religione, ai loro costumi, alle loro istituzioni, scienze, valori. Considera i musulmani che “imitino” gli infedeli degli apostati da uccidere. La giurisprudenza di cui parliamo proibisce anche il vivere nella “dimora della guerra” per più di tre giorni, a meno che ciò non sia necessario al commercio, al ricevere cure mediche, o allo studiare “utili branche della scienza che si trovano solo nella terra degli infedeli”. Ma anche questo permesso non esime i musulmani dalla richiesta di odiare gli infedeli. Ecco cosa apprendono gli studenti sauditi: “Se vivi nelle terre degli infedeli, per ricevere cure mediche, per i tuoi studi, o per commercio, devi immagazzinare l’odio per loro nel mentre ci vivi in mezzo.” Alcuni islamisti giungono in Europa portandosi dietro delle “fatwa” che gli concedono di vivere nella “dimora della guerra” per le loro necessità, a condizione che la feriscano.
La difficoltà di integrazione dei musulmani nelle società non musulmane è dovuta anche a questa cultura dell’odio, che apprendono nelle scuole e dai media dei loro paesi. E’ necessario smettere di addestrare i chierici europei islamici in questo modo autistico e razzista, tribale in senso primitivo.
Elaph: Perché rigetti il multiculturalismo ed il comunitarianismo?
LL: Quel tipo di pluralismo culturale che significa pacifica coesistenza tra le culture, unite dal comune denominatore della razionalità e dell’umanesimo lo ritengo un beneficio per l’umanità. Quello che io respingo è la violazione del comun denominatore umano da parte ad esempio di gruppi religiosi chiusi. Rigetto la giurisprudenza del terrorismo, che chiede ai musulmani di “amare solo se stessi” e di “odiare gli infedeli”. Rigetto l’hijab, che è espressione dell’ “al-wala w’al bara”.
Il giurista di Al-Qaida, Al-Qahtani, ha scritto nel suo libro che porta lo stesso titolo che i musulmani devono “lottare per stabilire la parola di Dio sulla terra e il dominio della shari’a in ogni situazione.” L’hijab è un’applicazione di questo, il simbolo del dominio della shari’a sulla vita quotidiana di ogni musulmano. E’ anche un simbolo di inferiorità della donna musulmana, vista come “deficiente nella sua mente e nella religione”; ed è un simbolo della vergogna intrinseca del suo corpo, che perciò deve essere coperto. C’è un’umiliazione peggiore da infliggere a qualcuno?
Elaph: L’hijab è un obbligo religioso islamico?
LL: E’ quello che vogliono far credere i propagandisti della Fratellanza Musulmana francese, ed altri, che diventano autistici quando si barricano le orecchie contro le prove contrarie. Tanto per fare un esempio, lo sceicco Al-Azhar Muhammad Sayyid Tantawi ha emanato una “fatwa” che dice che le donne musulmane europee non necessitano di indossarlo, rifacendosi a quel principio della giurisprudenza islamica che dice “la necessità rende lecito ciò che è proibito”, ma c’è di più. Il grande giudice egiziano Muhammad Sa’id Al-’Ashmawi ritiene come molti altri che l’hijab fosse obbligatorio solo per le mogli del Profeta e similmente, persino il fratello del fondatore della Fratellanza Musulmana, Hassan Al-Banna, ha detto: “L’Islam non impone l’hijab alle donne; sono stati i giuristi ad imporre l’hijab all’Islam.” Ma in uno stato laico, come la Francia, che ha separato la religione dallo stato, è privo di senso impegolarsi in una discussione del genere. La discussione deve vertere sulla legalità e sulla politica. Per la prima: le legge laiche francesi non permettono la propaganda religiosa nelle scuole e l’hijab riveste anche questo significato, di propaganda per un certo orientamento politico-religioso che si chiama islamismo. Per la seconda: il 67% dei cittadini francesi respinge l’hijab, stando agli ultimi sondaggi. Sarebbe suicida, in un paese democratico, non rispondere alla volontà di cittadini che non desiderano propaganda religiosa nelle scuole. I rappresentanti della minoranza musulmana devono essere pazzi se pensano di poter portare la moschea dentro le scuole statali francesi, quando i nonni e i padri di questi francesi hanno buttato fuori la chiesa dalla scuola nel 1905 con il “pacte laique” (patto laico).
Elaph: E cosa rispondi a chi dice che proibire l’hijab nelle scuole è una violazione della libertà religiosa?
LL: Che la libertà religiosa e la libertà personale sono legalmente e moralmente legate alla responsabilità, e la responsabilità qui è di rispettare il diritto positivo francese e i diritti umani, rispetto che è decretato nel preambolo alla Costituzione francese del 1946. La Francia non può violare le sue stesse leggi ed i diritti umani in nome della libertà religiosa: ciò significherebbe permettere, ad esempio, che un musulmano picchi sua moglie, mutili i genitali della figlia ed applichi le punizioni corporali previste dalla shari’a. Il rispetto per la libertà religiosa è legato al rispetto per il diritto positivo ed i valori umanistici universali. La Fratellanza Musulmana francese ha detto che impedire l’hijab nelle scuole era una legge contro la libertà delle donne, ma è una frase che non sta in piedi. In primo luogo, il numero delle ragazze che indossava l’hijab era di 1.200, secondo le statistiche del Ministero dell’Interno. Dopo gli incontri fra i presidi e queste ragazze, solo 240 di esse hanno deciso di impuntarsi su consiglio delle loro famiglie, simpatizzanti della Fratellanza. Ma poiché il numero delle ragazze musulmane in Francia è di oltre 350.000, è chiaro che coloro che indossano l’hijab sono una minoranza e che gli islamisti che le usano vogliono imporlo alla legge francese, alla Costituzione francese ed alla maggioranza delle donne musulmane francesi. E’ vero che un gran numero di musulmane hanno interiorizzato la giurisprudenza islamica di cui parlavo prima, che è stata scritta dagli uomini per gli uomini. Questo è ciò che un sociologo francese ha chiamato “violenza simbolica”, intendendo l’accettazione, da parte della vittima, del punto di vista del suo giustiziere. Quando Abraham Lincoln abolì la schiavitù vi furono schiavi che non accettarono questa cosa: rifiutarono la propria libertà. Avrebbe dovuto, Lincoln, per rispetto alla loro libertà individuale, riportare le cose come stavano prima dell’abolizione, solo perché degli schiavi avevano interiorizzato la propria schiavitù? Quando Habib Bourguiba abolì in Tunisia la poligamia ed il divorzio unilaterale, nel 1956, un gran numero di donne votò contro di lui alle elezioni locali. Avrebbe dovuto, Bourguiba, rimangiarsi le sue leggi e permettere che tutte le donne restassero vittime di pratiche obsolete? L’Arabia Saudita abolì la schiavitù nel 1964, e la maggior parte degli schiavi rifiutò la libertà: si doveva rispettare il loro individuale desiderio e lasciarli schiavi? Una decisione è legalmente e moralmente legittima quando mira ad aumentare la dignità delle persone e a renderle meno soggette. L’abolizione della schiavitù, della poligamia e del divorzio unilaterale, la proibizione dell’hijab nelle scuole, il bando delle mutilazioni genitali femminili, aumentano la dignità delle persone, le rendono meno soggette a quell’oppressione che gli schiavi e i musulmani (maschi e femmine) hanno interiorizzato.
Opporsi all’hijab restaura la stima per il corpo di una donna e la sua dignità. Il corpo di un uomo è solo parzialmente vergognoso, per gli islamisti, dall’ombelico alle ginocchia. Un corpo di donna è vergognoso nel suo intero, a parte la faccia e le mani. Le donne musulmane non sono eguali agli uomini musulmani neppure nel valore dei loro corpi. C’è chi pensa, anche uno psicoanalista francese, che gli islamisti chiedano che le donne indossino l’hijab perché la vista dei loro capelli li fa pensare al vello che hanno da altre parti e infiamma la loro passione: questo è ridurre una donna ai suoi genitali. Ma ad ogni modo, l’hijab sarebbe una soluzione assurda, perché il suo significato sotteso è che ogni donna con la testa scoperta è una sgualdrina che ogni musulmano è intitolato a violare. E per l’appunto, i giuristi islamici proibivano alle fanciulle musulmane che erano schiave di indossare l’hijab, come lo proibivano alle non musulmane: i musulmani avevano quindi il diritto di violarle, se le volevano. Questo era il significato dell’hijab in Babilonia, diciotto secoli prima di Cristo. La donna che si copriva la testa era una donna che apparteneva ad un babilonese libero, e nessuno doveva toccarla, ma la donna che aveva la testa scoperta apparteneva alle classi più basse e per chiunque era lecito stuprarla. Tutti i significati storici, sociologici, antropologici e psicologici dell’hijab puntano alla denigrazione della dignità delle donne.
Ma chi domanda ai musulmani d’Europa di non assimilarsi culturalmente alle società in cui vivono non vuole solo l’hijab: chiedono agli studenti di far pressione perché nelle mense scolastiche sia loro dato cibo particolare (carne “halal”), di uscire di classe se si parla di evoluzionismo perché ciò contrasta la visione del Corano della creazione, e di rifiutarsi di studiar filosofia, giacché i giuristi musulmani l’han messa fuorilegge nel 12 secolo d.C. Cercano di intimidire altri musulmani e musulmane affinché si vestano come loro vogliano, chiedono che negli ospedali i dottori maschi non si occupino di donne... Il tutto è ispirato alla “al-wala w’al-bara”, che proibisce ai musulmani di integrarsi in società non musulmane, e di imitare ebrei e cristiani “persino in cose che rechino loro beneficio”, come dice Ibn Taymiyya nel suo libro “Seguire il giusto sentiero opponendosi al partito dell’inferno”, “perché Allah darà loro qualcosa di equivalente o persino di migliore in questo mondo, oppure darà loro compensazione nell’altro mondo.”
Ci sono due ragioni, dietro alla natura problematica dell’Islam europeo: il fatto che l’Islam non ha conosciuto riforme, e il fatto che i sunniti non hanno ancora compreso che in Europa sono una minoranza. L’Islam sunnita si è abituato, in quindici secoli, ad essere sempre il gruppo di governo, la maggioranza, e non afferra il fatto di essere minoranza in Europa, e neppure in Iraq. Una delle fonti del terrorismo in Iraq è il rifiuto di riconoscere la realtà da parte dei sunniti, il fatto che non hanno il diritto di governare la maggioranza sciita o la minoranza curda. In Europa rifiutano l’integrazione perché a livello subconscio vedono i francesi o gli altri popoli europei come “dhimmi”, che non hanno alcun diritto di governare sui loro padroni musulmani. Questa mentalità ha impedito, sino ad ora, l’emergere di una giurisprudenza sunnita che provvedesse un trattamento teoretico della condizione della minoranza musulmana europea,e fornisse ai musulmani europei consigli che li aiutassero ad avere a che fare con leggi e valori europei in modo migliore.
Nel Talmud c’è una massima che avvisa gli ebrei che le leggi dello stato in cui vivono sono valide, obbligatorie, si applicano a tutti. Questa massima del Talmud potrebbe essere il principio fondatore di una giurisprudenza della minoranza islamica europea che farebbe sentire i musulmani europei veri cittadini europei e non residenti temporanei nella “dimora della guerra”.
Invero, c’è un precedente dell’assimilazione culturale della minoranza ebraica nella Repubblica francese che costituisce un precedente utile. Nel 1807, Napoleone chiamò a convegno l’establishment religioso ebreo di Francia, il “Sanhedrin”, allo scopo di avere gli ebrei come cittadini francesi a pieno titolo, e non come una comunità religiosa chiusa. Gli ebrei risposero affermativamente alla richiesta di Napoleone, e nel 1808 fu stabilita l’istituzione chiamata “Consistoire”, la quale dichiarò che gli aspetti politici della Torah non erano da ritenersi validi, giacché gli ebrei non facevano più nazione a sé. In questo modo, tutte le forme di legislazione religiosa scomparvero: i matrimoni e i divorzi potevano essere conclusi solo tramite i registri civili, e i matrimoni misti furono riconosciuti in accordo con la legge francese. Il risultato fu benefico per i francesi come per gli ebrei. Questa è una realtà storica, e ad essa hanno dato riconoscimento prominenti ebrei francesi, fra cui Joel Mergui, capo del “Consistoire” israelita per Parigi e sobborghi, che recentemente ha dichiarato: “Questo patto fondante istituì la comunità ebraica come parte della Repubblica, ed è rimasto valido per 200 anni. Gli ebrei di Francia hanno dimostrato, in tutte le circostanze, la loro triplice lealtà così come venne espressa nella risposta del Sanhedrin: lealtà alle leggi della Repubblica; lealtà alla nazione; e lealtà alla propria fede ed alla propria storia.”
Le minoranze musulmane dovrebbero prendere esempio da questo, abbandonare ciò che è obsoleto e non più in accordo con il tempo e il luogo in cui vivono, adottare un proprio patto di “triplice lealtà”. A me pare che alcuni abbiano già preso ispirazione da questo, come Ghaleb Bin Sheikh, membro importante dell’elite religiosa musulmana francese, che ha dichiarato: “Non c’è bisogno di dire che vi sono passaggi, nel Corano, di natura belligerante e aggressiva; quel che c’è bisogno di dire è che le ramificazioni sociologiche di queste parti del Corano sono ovviamente obsolete.” Come dice il proverbio, la pioggia battente comincia con una singola goccia.
Elaph: Perché alcuni intellettuali europei, ed alcuni giornali inglesi ed americani, sostengono tanto l’orientamento opposto, quello che non vuole l’integrazione musulmana nelle società europee?
LL: E’ un fenomeno strano. A parer mio ci sono tre ragioni per esso. La prima è una sorta di rituale: se la destra prende una decisione quando è al potere, o adotta una posizione quando è all’opposizione, allora la sinistra automaticamente la contrasta (e viceversa), non nella convinzione che quella posizione sia sbagliata, ma solo perché deve differenziarsi.
La seconda ragione è il senso di colpa. Una bella fetta di intellettuali europei è afflitta da ciò che in psicologia si chiama “masochismo morale”, e cioè da un ingiustificato senso di colpa. Il colonialismo si diede secoli fa, e non vi è giustificazione obiettiva perché questi intellettuali propugnino l’hijab, o le mutilazioni genitali, o l’esorcismo dei jinn dai supposti “invasati” a botte e citazioni coraniche, cosa che qui in Francia ha anche ucciso delle persone. Il sostegno a questi fenomeni è una reazione malata. La terza ragione è il relativismo culturale. Tale orientamento è più pericoloso degli altri due, perché si basa su una convinzione che si va diffondendo non solo in Europa, ma in tutto l’Occidente e nel mondo islamico. I predicatori del relativismo culturale sono gli islamisti, i quali lo usano per giustificare il loro attaccamento ad usi medievali e barbarici, come la perpetua minorità e denigrazione delle donne. Costoro pensano che la differenza fra uomini e donne e fra musulmani e non musulmani sia una differenza essenzialista, una decisione divina scritta nel Corano prim’ancora della creazione degli uomini, delle donne, dei musulmani e dei non musulmani. I prodotti della cultura e della storia vengono presentati dagli islamisti come “naturali”, leggi universali fuori di discussione, che possono ben passare sulle vite delle donne e dei non musulmani.
Elaph: Quali sono le implicazioni di questa filosofia del relativismo?
LL: E’ una filosofia nichilista, in special modo quando proclama di essere l’assoluta verità. Nega i valori morali e umanistici che servono da base alle società umane, e dichiara l’equivalenza di tutti i valori. I relativisti culturali hanno fatto del relativismo storico un’ideologia del relativismo assoluto. Questo è un errore e un pericolo. Una mente sana riconosce che vi sono valori universali, come i diritti umani. Se questi non vengono riconosciuti e rispettati allora andiamo alla sopravvivenza del più forte, e l’intero mondo diventa una giungla, e non sai più distinguere il bene dal male.



Martedì, 20 novembre 2007