Conoscere l'Islam

Il Jihad è tante cose non la guerra santa

di Marco Guidi

 

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Fino a pochi giorni fa era un termine più noto agli esperti o ai cultori della materia. Di colpo, dall’11 settembre, è una delle parolepiù scritte, pronunciate (male, di solito) nei giorna­li, tg, gr e simili. Parliamo del Jihad (è maschile, non femminile) la parola resa comunemente co­me guerra santa. Il che non solo è un errore, ma comporta anche una perversione ideologica.

Jihad, come viene spiegato chiaramente anche nel libro «Possiamo vivere con l’Islàm?» di Jacques Neirynck e Tariq Ramadan, non ha mai significato guerra santa. Al massimo, osserviamo, può essere interpretato come guerra canonica, ma anche questo non è del tutto esatto. La parola Jihad, che può essere tradotta con il termine italiano sforzo, si riferisce a due tipi di sforzo, di lotta. Il primo, o Jihad maggiore, è lo sforzo che si compie contro se stessi nel tentativo di migliorarsi, di strappare da sé le forze oscure che cercano di dominare il nostro essere, come la violenza, la cupidigia.

Esiste poi un altro jihad, quello minore o Jihad al-qital. Definirlo guerra santa, dicevamo, è impro­prio, meglio sarebbe chiamarlo sforzo di resisten­za. Ed è questo un termine che si applica meglio alla comunità che all’individuo, come ogni indivi­duo deve resistere alle tentazioni così il Corano autorizza una comunità a difendere se stessa, la propria fede, la propria vita, la propria casa. Recita il Corano: «A coloro che sono stati aggrediti è stata data l’autorizzazione a difendersi» e più oltre viene precisato «a coloro che senza colpa sono stati cacciati dalle loro case solo perché dicevano:“Allah è il nostro Signore”».

Insomma per i veri musulmani la guerra è autorizzata quando si tratta di difendersi, dopo aver cercato un’intesa (dice il Corano: «Se essi sono inclini alla pace siatelo anche voi»). Oppure quan­do si è oppressi, soprattutto per quel che riguarda la religione. Una cosa che pochi in Occidente sanno è che il Libro sacro dei musulmani vieta la guerra per fare proseliti: «Non c’è costrizione nella religione». Insomma i precetti islamici per quel che riguarda il jihad sono chiari. Poi capita come in tutte le cose umane che, nel corso della storia, essi siano stati violati, non c’è da stupirsi: anche in casa nostra re e capi che si sono detti cristianissimi hanno violato i principi cristiani e i comandamen­ti del Vangelo.

E veniamo ora a un altro argomento che ha fatto scalpore (sui giornali): la proclamazione del Jihad fatta via fax da Osama Bin Laden. Non esiste nell’Islàm un’autorità unica che possa dare per così dire ordini a tutta la Umma, la comunità dei fedeli. Basterà a questo proposito oltre a rinviare alla lettura del libro citato sopra (si trova anche in internet www.Corano.it), ricordare alcune cose. All’inizio della Prima guerra mondiale quando l’Impero ottomano entrò in guerra il sultano di Costantinopoli, che era anche Califfo e quindi Amir al Muminin, commendatore dei Credenti, dichiarò il Jihad e lo fece sventolando lo stendardo del Profeta (una curiosità: il primo numero del «Popolo d’Italia», il giornale di Mussolini, portava questo titolo in apertura «Tutto l’Islam in armi. La bandiera del Profeta al vento»). La cosa lasciò indifferenti gli arabi che combatterono contro i turchi e i musulmani dell’India che si batterono nelle file inglesi. La stessa cosa capitò quando Saddam invitò alla Guerra. Ora che Osama chia­ma al Jihad molto dipenderà dal comportamento dell’Occidente, se sapremo smorzare le controver­sie che angosciano i musulmani, la lotta tra palestinesi e israeliani, le condizioni disperate di sottosviluppo di altri Paesi islamici, l’impressione dei musulmani di trovarsi di fronte a una crociata, l’appello al Jihad sarà accolto solo da quelli che l’avrebbero seguito comunque: i taleban e i fanati­ci amici di Bin Laden, del mullah Omare dei suoi soci spacciatori di droga.

 26 settembre 2001


"Il Dialogo - Periodico di Monteforte Irpino" - Direttore Responsabile: Giovanni Sarubbi

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