Sulla conversione di Magdi Allam
Si doveva evitare con cura ogni pubblicità e solennità

di Enrico Peyretti

Ho sentito stamani alle 7 che Magdi Allam si è convertito al cattolicesimo, battezzato solennemente stanotte dal papa. Può darsi che si sapesse ieri dai giornali, che io non leggo. Per me è stata la seconda notizia di pasqua, dopo l’annuncio notturno dell’Exultet. Non ho affatto esultato, a questa seconda. Questa ostentazione dimostra che l’apparato papale, per non dire il maggiore responsabile, manca di buon senso e di normale prudenza. Magdi Allam ha sempre parlato in critica aspra, se non in odio, non soltanto verso i terroristi musulmani, ma in generale verso i musulmani. Egli è libero di scegliere la religione in cui trova più aiuto nella ricerca della verità: su questo non c’è alcun dubbio, e la sua scelta merita tutto il rispetto. Ma per una persona pubblica e schierata come lui si doveva evitare con cura ogni pubblicità e solennità. A meno che non si sia voluta o subita la scelta di provocare. Allora all’indiscrezione si aggiunge l’incoscienza. Io mi attendo che i musulmani in Italia dimostrino più saggezza e maggiore larghezza spirituale dei protagonisti di questo spettacolo.

Sulla conversione trovo magistrale la posizione di Gandhi. Egli era contrario a ogni proselitismo e missionarismo (salvo azioni di carità, di aiuto ai più deboli). Ammetteva in linea di principio la conversione come approdo autonomo di una profonda ricerca spirituale personale, però riteneva che per avvicinarsi il più possibile alla verità bastava che ciascuno approfondisse la propria fede, per giungere infine a quel centro comune di tutte le fedi, senza bisogno di conversioni.
La sua visione di Dio, che può essere ogni cosa in quanto è l’unità di tutte le cose, e la verità termine unico di tutte le visioni, non è una tattica per dare ragione a tutti, perché Gandhi afferma di essere induista e di essere felice della sua religione. Però dice che tutte le religioni sono vere perché hanno un punto di vista sulla verità. Dichiara che non cambia religione perché è felice di quello che gli dà la sua, però «l’ahimsa ci insegna il rispetto di tutte le altre religioni come rispetto la mia, e questo è un modo di ammettere l’imperfezione della mia religione. La religione è nell’uomo e l’uomo è imperfetto». Quindi tutte le religioni sono imperfette e tutte sono vere.
Del cristianesimo e dell’islam diceva: «Considero tutt’e due le religioni ugualmente vere quanto la mia. Ma la mia mi soddisfa pienamente (...). La mia costante preghiera è pertanto che il cristiano e il musulmano diventino un migliore cristiano e un migliore musulmano».

La conversione, dunque, non è tanto il passare da una religione all’altra, o dalla non religione ad una religione, o dall’ateismo al teismo. È conversione di vita, dal vivere per sé al vivere per gli altri, dal prendere al dare, dal desiderare al donare, dal risentimento e dall’odio alla misericordia e al perdono, dall’inimicizia alla riconciliazione. La vita cambia direzione, allora richiede anche un rinnegamento, un tornare indietro, perché non tutte le vie sono buone, non tutte sono vie di vita. Ma le vie non sono tanto le dottrine e i sistemi religiosi, quanto i modi in cui viviamo. Se cambio religione e non modo di vivere, io non sono cambiato. Se non sappiamo cambiare via, e vita, non sappiamo vivere. Dette queste facili parole, siamo ognuno davanti alla propria coscienza, in qualunque religione o nessuna religione.


Enrico Peyretti,
domenica di pasqua, 23 marzo 2008




Martedì, 25 marzo 2008