Dietro le esternazioni dei “gentilini”
Cosa succede nel nordest?

La fabbrica diffusa che ha annulla i valori


di Abdullah Paolo Gonzaga

Riprendiamo questo articolo dal sito: http://www.islam-online.it/nord_est.htm. Continuamo ad esprimere la nostra più piena solidarietà alla comunità musulmana italiana per i ripetuti attacchi razzistici a di cui è oggetto e sollecitiamo i rappresentanti di tutte le religioni a prendere decisamente posizione contro il razzismo.


Per l’ennesima volta ci troviamo a dover commentare delle esternazioni e delle azioni di chiara impronta razzista provenienti da quella parte d’Italia nota come il Nord-est. Il Veneto, terra delle partite Iva, dei padroncini, del “popolo dei produttori”, ma anche terra d’immigrazione, dove più che in altre parti d’Italia c’è bisogno della forza lavoro immigrata e dove tanti nostri fratelli vivono e lavorano cercando di inserirsi in un contesto sociale particolarmente difficile. Ma perché proprio in quel territorio la soglia dell’intolleranza è così alta? Perché proprio nel profondo Veneto i nostri fratelli devono faticare così tanto per riuscire ad essere trattati come esseri umani e non come moderni schiavi che di giorno lavorano nelle innumerevoli fabbrichette che devastano il territorio e di notte devono scomparire per non turbare i sonni dei trevigiani, dei vicentini, dei veronesi?
Il cosiddetto nordest ha una storia particolare, terra d’emigrazione, i veneti erano una volta tra i più poveri d’Italia ed emigrarono in modo massiccio nel ’900 assieme ad intere regioni del Sud Italia, distinguendosi per l’estrema laboriosità ed impegno sul lavoro. Fu durante gli anni ’70 e poi in modo molto più netto negli anni ’80 che il Nordest contadino, che non conobbe la grande fabbrica fordista-taylorista (eccetto nella zona di Venezia-Mestre-Marghera, che infatti rimane fuori dal cosiddetto “miracolo del nordest” e dove le forte presenza operaia e le conseguenti lotte, hanno lasciato un tessuto sociale differente) che si sviluppò una rete di piccole e medie imprese particolarmente nel campo tessile-manifatturiero. Ex-operai di ritorno dall’emigrazione, ex-lavoratori a cottimo, sfruttando le competenze acquisite e seguendo un’etica del lavoro che arrivava all’auto-sfruttamento, desiderosi di affrancarsi dalla schiavitù del lavoro salariato, andarono a formare delle imprese private spesso a conduzione familiare, dove ogni membro della famiglia era coinvolto nel processo produttivo. Il miracolo del nordest si basava e si basa su questo, su imprese dove la conflittualità di classe è inesistente, in quanto il padrone lavora con i suoi operai, che variano mediamente da un numero che va dai 2-3 ai 20 al massimo, in mezzo a loro, assieme a loro e spesso più di loro. Il dipendente si sente parte dell’impresa e spesso guadagnando anche proporzionalmente alle entrate dell’azienda perde ogni coscienza di classe ed entra a far parte anch’egli del “popolo dei produttori”. Quest’etica del lavoro che inizialmente presentava caratteristiche anche virtuose è andata sempre più trasformandosi in un culto del denaro, i famosi “schei” di cui ci hanno parlato numerosi studiosi. I figli dei padri fondatori, cresciuti nell’opulenza e nell’ignoranza, ( il Veneto presenta tutt’ora uno dei più alti tassi di abbandono scolastico, poiché i figli hanno preferito seguire la carriera del padre, che fosse di impresario o di operaio specializzato) non si sono rivelati spesso all’altezza dei genitori. Molti di loro alla fabbrica preferiscono la discoteca ed il pub, mentre la pratica religiosa, in una zona dove pur la Chiesa cattolica è stata sempre molto forte tradizionalmente, ha perso progressivamente ogni interesse. La mentalità consumista ha ormai pervaso le menti delle generazioni seguenti ai “padri fondatori” e si è mescolata a rimasugli di quella “cultura del lavoro” che ha sempre caratterizzato l’area. Caduti i valori della solidarietà di cui era ultimo baluardo la Chiesa, in un’area dove le sinistre sono sempre state marginali, “il popolo dei produttori” ha trovato il proprio referente politico nella Lega e nelle formazioni di destra, che usano il cattolicesimo come arma escludente pur senza aderirvi nella dottrina sociale. In questo processo perverso, grazie anche alla mancanza totale di ogni conflittualità di classe, operai autoctoni e padroncini, già uniti a formare “il popolo dei produttori” hanno trovato nel razzismo e nell’esclusione del “diverso” un comune denominatore. Non importa quanto l’immigrato lavori, quanto sia indispensabile per l’economia della zona, egli rimane sempre un corpo estraneo, da far scomparire all’imbrunire, dopo la chiusura dei cancelli delle piccole fabbriche disseminate sul territorio. Un territorio senza identità, fabbrica diffusa in una lunga e continua colata di cemento laddove fino a 20-25 anni fa c’erano campi; un territorio che rispecchia la mancanza d’ identità dei suoi abitanti, i quali per trovarne una sono ricorsi agli artifizi retorici della Lega Nord.
E noi musulmani possiamo fare qualche cosa per cambiare questo Veneto, a suo modo specchio di un’ atteggiamento diffuso in svariate parti d’Italia, perlomeno per l’atteggiamento negativo nei confronti dello straniero e dell’ “Altro”?
Certo l’apporto dei cittadini musulmani non potrà incidere nell’immediato vista la disparità dei “rapporti di forza” ed i tempi necessariamente lenti quando si mira ad un cambiamento di mentalità. Nel senso che a fronte di una società che ha fatto dell’egoismo sociale una delle basi del proprio modo di vivere si contrappone una “società civile” fatta di organizzazioni di volontariato, cattoliche e non, piuttosto debole e che fino ad ora è riuscita soltanto a “tamponare” quest’emergenza valoriale, ma non certo a ribaltare il paradigma dominante (e che nonostante questo va comunque applaudita per l’impegno e per il coraggio) . Credo che nel lungo termine, se i musulmani impareranno a interloquire ed interagire con le forze più sane presenti nella società, evolvendosi e facendo evolvere, stimolando la società tutta ad un cambiamento sul piano dei valori si potrà giungere ad un mutamento reale nelle relazioni tra le persone e nel paradigma della società. Solo riscoprendo la natura universale dell’Islam e quindi facendosi forti dell’universalità dei nostri valori potremo stringere alleanze con le associazioni anti-razziste, con le organizzazioni cattoliche, con la società civile che pur esiste anche in Veneto. Un meccanismo a due tempi, sulla lunga distanza, ci potrà portare nella condizione di incidere sul contesto sociale in cui viviamo: come prima cosa un’azione di conoscenza reciproca, di dialogo franco sui valori. Poiché le nazioni e tribù sono state costituite, come dice Allah nel Sacro Corano, affinché gli uomini cerchino al meglio di “conoscersi fra loro”, diventa chiaro come gli appartenenti ad una stessa società debbano acquisire una conoscenza reciproca molto più approfondita di quella di oggi. In un secondo momento un’alleanza con chi aderisce, pur provenendo da un background culturale e religioso differente, ai valori universali dell’Islam.
Come musulmani dobbiamo insistere nel portare le nostre istanze di giustizia, dobbiamo contaminare la società della nostra sete di solidarietà e tessere relazioni sociali con la parte più sensibile e viva della società (veneta, in questo caso), stabilire un fronte plurale di resistenza all’ingiustizia, alla discriminazione ed alla xenofobia, in nome di tutti i cittadini.
Dobbiamo essere testimoni e portare testimonianza di come solo attraverso la cooperazione tra uomini e donne virtuosi, di ogni colore e religione si possa vivificare un tessuto sociale arido e materialista.



Abdullah Paolo Gonzaga



Mercoledì, 09 gennaio 2008