Dialogo cristiano-islamico
Verso una vita piena d’amore

di Brunetto Salvarani

Articolo scritto per Popoli sulla prossima Giornata ecumenica


Il 14 dicembre 2001, ultimo venerdì del mese di Ramadan dell’anno 1422 dall’Egira, Giovanni Paolo II chiese (nel bel mezzo della guerra in Afghanistan) di condividere il digiuno di Ramadan a donne e uomini di buona volontà. Occorre ricordare che Il mese di Ramadan, il nono del calendario islamico, è reso doppiamente sacro per il fatto che è "il mese in cui fu rivelato il Corano come guida per gli uomini e prova chiara di retta direzione e salvezza" (Sura II, v. 185). Il digiuno è il quarto dei cinque pilastri dell’islam, ed è un atto basilare di culto, obbligatorio per tutti i musulmani tranne che per alcune categorie di persone.
Un messaggio alto, quello di Karol Wojtyla, recato a tre mesi dal tremendo 11 settembre, che nella strategia papale proseguiva quella pedagogia dei gesti con cui egli aveva scelto di porsi di fronte alle fedi altre, sin dai primi tempi del pontificato. Da allora quell’ultimo venerdì è divenuto, per molti cristiani e musulmani in Italia, la data simbolica in cui ritrovarsi, per rilanciare la strada del dialogo. Nonostante tutto! Nonostante questi giorni cattivi che durano da troppo tempo, segnati più dalla pesantezza delle chiusure identitarie e degli individualismi eretti a sistema che dalla leggerezza che Italo Calvino invitava a portare con sé come virtù chiave per il terzo millennio. La differenza, come sempre, la può fare l’iniziativa dal basso, che rompe gli schemi delle persone intruppate nelle rispettive appartenenze e mette a contatto donne e uomini delle varie religioni o senza religione che s’incontrano per dire che non ne possono più di odio, e di religioni al servizio dei potenti di turno. Ma come rilanciare il dialogo, mentre tale parola rischia il depotenziamento, o addirittura l’insignificanza, a causa del suo abuso e della sua banalizzazione?
Il criterio centrale per un dialogare fruttuoso è favorire la maturazione di un atteggiamento positivo verso le altre fedi. Si tratta di avviare un cammino che può rivelarsi lungo e complesso: inutile farsi illusioni, ma pure fasciarsi la testa prima di averci provato seriamente, sia chiaro! Ecco dunque qualche indicazione di metodo che aiuterebbe l’incontro, rendendolo meno traumatico. Prima di tutto, il dialogo interreligioso dovrà maturare nel quadro del riconoscimento che vi sono coinvolti non le religioni (entità astratte) bensì donne e uomini in carne e ossa, con storie, vissuti, sofferenze, peculiari e irripetibili. Non sembri banale, o scontato: quanti errori sono stati compiuti, e continuano a farsi, per una lettura tutta ideologica e metafisica dell’altro! Gli esempi si sprecherebbero... andrebbero perciò costruite occasioni d’incontro, in ambienti che favoriscano il contatto effettivo. Operare insieme in qualche settore specifico, affrontando problemi sociali o discriminazioni palesi, potrebbe poi rendere più convincente un rapporto interreligioso. Diffondere esperienze, buone pratiche e testimonianze dirette, agevolerà certo il percorso.
Un’ultima considerazione riguarda la necessità di investire sulla preparazione e formazione di giovani che intendano svolgere un ruolo di guide e di mediatori sul tema del dialogo nelle diverse comunità. La generazione che ha vissuto appieno il Concilio sta infatti per concludere la sua vicenda terrena, e il rischio di non passare il testimone a quella odierna è forte. Ecco l’urgenza di ricentrare i curricula degli studi teologici facendovi rientrare il dialogo e la conoscenza delle religioni altre, ma coinvolgendo anche la pastorale di parrocchie e movimenti. L’obiettivo è uscire dal falso presupposto per cui il dialogo sarebbe un’attività riservata a specialisti, e assumere come caso serio l’invito di Giovanni Paolo II nella Redemptoris Missio: “tutti i fedeli e le comunità cristiane sono chiamati a praticare il dialogo interreligioso” (n.57).
Sì, la grande sfida di oggi è di evitare una lettura delle differenze esistenti, talora profonde, come uno scontro tra Bene e Male, e di rifiutare la demonizzazione dell’altro! Dobbiamo guardare le nostre differenze non come a idoli da adorare, ma come arricchimenti reciproci verso una vita piena d’amore, quell’amore che per cristiani e musulmani caratterizza l’essenza di Dio. Se uno dei nomi divini della tradizione islamica è Al-Wadud, L’amorevole, la Bibbia dice che “da questo conosceranno tutti che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri” (1Gv 13,35). Non dimentichiamolo, in occasione dei prossimi appuntamenti del dialogo cristianoislamico.

Brunetto Salvarani



Venerdì, 27 giugno 2008