Dialogo cristiano-islamico
Cristiani e musulmani: un dialogo in salita. Ma che continua

di Paolo Naso, giornalista e docente di scienza politica alla Sapienza di Roma

E’ evidente che negli ultimi due, tre anni il cosiddetto dialogo cristiano islamico ha subito una brusca frenata: in pochi mesi si sono rarefatte le occasioni di incontro, si sono chiusi alcuni laboratori di confronto teologico e persino il termine è diventato sospetto in quanto giudicato pericolosamente prossimo al relativismo e al sincretismo. E così, quasi paradossalmente, oggi rischia di sfilacciarsi quella rete di buone pratiche di incontro, conoscenza, amicizia tra le due comunità che, soprattutto dopo la tragedia dell’11 settembre, avevano avuto un impulso importante.
Un interprete autorevole dell’urgenza del dialogo fu allora Giovanni Paolo II che, negli ultimi anni del suo pontificato, compì una serie di gesti che destarono clamore e qualche inquietudine: già all’indomani del tragico attentato alle Torri Gemelle, respinse il concetto stesso di "scontro di civiltà" contrapponendogli quello di "civiltà dell’amore"; in occasione dell’ultimo venerdì del mese di Ramadan del 2001 decise di digiunare insieme a milioni di musulmani di tutto il mondo; a gennaio del 2002 promosse un secondo incontro ad Assisi al quale parteciparono rappresentanti delle maggiori comunità di fede di tutto il mondo. Il mondo protestante italiano ed internazionale si mosse nella stessa direzione, promuovendo e moltiplicando le occasioni di incontro, sottoscrivendo con convinzione quell’impegno della Carta ecumenica teso a "intensificare a tutti i livelli l’incontro tra cristiani e musulmani ed il dialogo cristiano-islamico". Nacque in quel contesto, promossa da un piccolo gruppo di protestanti e cattolici, la "giornata ecumenica per il dialogo cristiano islamico" che sta per giungere alla sua VII edizione.
Alle nostre spalle abbiamo insomma anni di una certa operosità nel dialogo, anni che hanno consentito di approfondire la reciproca conoscenza ed hanno reso possibile qualche azione comune contro il pregiudizio e il radicalismo religioso da una parte, ma anche per la convivenza in una società sempre più multiculturale dall’altra.
Detto questo, oggi si avverte che il vento è cambiato. Dai gesti coraggiosi di Giovanni Paolo II, si è passati alle chiose dogmatiche di Benedetto XVI; una valutazione generalmente positiva del dialogo ha fatto spazio alla denuncia dei rischi che comporta; dalla prospettiva dell’incontro intorno a valori e impegni comuni si è passati alla rivendicazione della propria orgogliosa identità.
Quella del dialogo tra cristiani e musulmani è allora una stagione chiusa?
Se ne è parlato in occasione di una Consultazione promossa dalla Commissione per il dialogo con l’Islam della Federazione delle chiese evangeliche in Italia, svoltasi a Roma presso la Facoltà valdese di teologia lo scorso 23 giugno. Una ventina di persone - protestanti, cattolici e musulmani di diverse organizzazioni e tradizioni - si sono incontrati per tentare un bilancio di questa fase. Condivisa da tutti, dai cristiani quanto dai musulmani, la preoccupazione per il clima che si sta determinando nei confronti di alcune minoranze e quindi anche dei musulmani; comune anche lo sconcerto per le violenze di certe campagne politiche "contro le moschee" dal tono inequivocabilmente islamofobico e razzista; unanime anche il giudizio sullo stop imposto a quella legge per la libertà religiosa che, anche in assenza di un’Intesa, garantirebbe alla comunità islamica presente in Italia alcuni diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione.
Il problema è che una frenata alla strategia del dialogo interreligioso rallenta anche ogni processo di integrazione e quindi complica la convivenza di diverse tradizioni culturali e religiose all’interno della stessa comunità civile. Da teologico e spirituale il deficit diventa sociale e politico.
Alcuni interventi nel corso della Consultazione hanno anche sottolineato che, nonostante il clima generale, molte esperienze proseguono e si sono anche avviati nuovi "colloqui": ad esempio il documento dei 138 saggi musulmani rivolto ai responsabili delle chiese cristiane costituisce un importante fattore di novità. Molto fanno anche gli istituti teologici e le università che sembrano rispondere alla crescente domanda di informazione e conoscenza sul mondo islamico e sulle relazioni tra cristiani e musulmani. Proseguono anche importanti esperienze locali che, talvolta, hanno avuto anche importanti riconoscimenti istituzionali: ad esempio alcune consulte interreligiose cittadine sorte con il convinto contributo di cristiani e musulmani.
L’impressione quindi è che il dialogo, sia pure in salita e con qualche fatica, prosegua. Per consolidarlo e renderlo fruttuoso occorre individuare nuovi strumenti, nuove formule e nuovi spazi di incontro; occorre anche - si è detto nella Consultazione - allargare la cerchia di coloro che lo vivono come un’esperienza significativa per la propria vita spirituale e per la convivenza sociale. Insomma un dialogo più partecipato e diretto, con più teologia e più spiritualità. In una società pluralista e multiculturale questo dialogo ha anche una valenza esplicitamente sociale, serve a costruire convivenza, solidarietà civile, senso di appartenenza. Una teologa musulmana intervenuta alla Consultazione ha citato un detto islamico secondo cui "la preghiera non è altro che servire il popolo". E se è un servizio la preghiera, a maggior ragione può esserlo il dialogo.



Venerd́, 27 giugno 2008