Dibattito
Nota per un dialogo cristiano-islamico 

di   Rosario Amico Roxas

Un contributo al dialogo cristiano-islamico


Pubblichiamo questo testo come contributo al dibattito per il dialogo cristiano-islamico. Come sempre le opinioni espresse in questo testo impegnao esclusivamente l’autore che ringraziamo per il suo sforzo a fornire piste di riflessione originali.


Si risvegliano ansie mai sopite, ma solo distratte; ora ovunque si vuole parlare di dialogo cristiano-islamico, creando una confusione di progetti che disorienta, perché manca l’argomento sul quale concentra un possibile dialogo.

Le religioni monoteiste sono tre, vantano la medesima discendenza di  Abramo, ma subiscono una frattura verticale, che le divide.

E’ la figura di Cristo, con il suo insegnamento, che, erroneamente viene interpretato come una barriera, della quale servirsi  a proprio comodo, ad aprire  lettere di credito a piacimento, senza una discrezionalità coerente.

Oggi il Vaticano di Benedetto XVI ha la grande responsabilità di aver generato una confusione voluta, programmata e sancita, senza ombra di dubbi; ma i dubbi appartengono al popolo dei cristiani che non può accettare e condividere le impostazioni di comodo che contrasta no con lo spirito della Fede.

Dobbiamo chiarirci le idee nel nostro interno prima di affrontare un dialogo, perché ne usciremmo molto male; specialmente un dialogo con i musulmani, perché nei tempi più importanti ne usciremmo pesantemente  maltrattati.

Argomenti come La Pace, la guerra, i Sacramenti e i pilastri dell’Islam,  le fonti della religione, “ma quali radici !!!”, sono tali da zittirci, specie se dovessimo fare riferimento all’attuale predicazione del pontefice.

Intanto mi tocca escludere dall’ipotesi di un dialogo il mondo ebreo; e ciò mi duole, perché li considero fratelli semiti, ma sono diventati uno Stato, lo Stato sionista di Israele, ritornando al loro antico vezzo di allearsi con i più forti.

Furono le frange marginali degli ebrei che vollero la morte di Cristo, quelle alleate ai romani; così adesso sono le grange sioniste che impongono il loro verbo che nulla mantiene delle Scritture.

Se non facciamo una netta distinzione tra sionisti ed ebrei non caveremmo mai un ragno del buco.

Ma rimane la presenza inquietante di Cristo a tenerci separati, mentre tale presenza ci unisce al mondo musulmano.

Noi cristiani crediamo in Cristo nella sua duplice natura umana e divina, ma non riusciamo e non riusciremo mai a fornire una spiegazione razionale. Ci impongono dottrine semantiche, teorie analogiche e anagogiche, letture esegetiche, ma rimane il mistero che non penetra nella nostra intelligenza, ma nella nostra coscienza e si fa Fede.

Per cui crediamo in Cristo con Fede ma non con intelligenza.

I musulmani hanno bisogno di capire, per questo l’Islam non impone dogmi, né impone una gerarchia religiosa che si fa da tramite tra Dio e l’Uomo.

Non capiscono e non potrebbero mai capire l’adesione ad un dogma sancito da un uomo ex cattedra, o da tanti uomini riuniti in Concilio.

Da qui la loro venerazione per Gesù con intelligenza, ma non con fede.

Non possiamo smettere di interrogarci sul nostro “Chi siamo ?”, perché rischiamo che la domanda possa tramutarsi in “Chi crediamo di essere ?”

Continuiamo a sancire formule, come se la Fede possa mai essere racchiusa nelle parole di un qualunque uomo  (Ma voi non fatevi chiamare Rabbi, perché siete tutti fratelli).

Oggi emerge una tensione che parte dal vaticano, che vorrebbe forzare un avvicinamento allo Stato Sionista di Israele; ma questo può farlo il vaticano in quanto Stato città del Vaticano, ma non certo come Stella polare del cristianesimo; questo ruolo non è più universalmente riconosciuto a questo Vaticano, ed ogni cristiano cerca dentro di sé la sua Stella polare: “In interiore homine habitat veritas. Noli foras ire, in te ipsum redi.”

Come prepararci ad un incontro con il mondo musulmano, quello stesso mondo che il sionismo cerca in tutti i modi di respingere fuori dalla storia ?

Mi pare che dobbiamo iniziare con l’accogliere il concetto, da me sempre espresso, ma sempre respinto e che adesso tengo per me e non accetto che qualcuno possa respingerlo.

Apparentemente si tratta di una differenza di poco conto, ma che mette sui binari dell’adesione storica l’esordio del cristianesimi, quando i primi fedeli si recavano cantando  verso le fauci dei leoni, ben sapendo, con fede, che li attendeva la Resurrezione dello Spirito.

In molte manifestazioni di questo Vaticano non odo canti, né vedo perseguitati; vedo, piuttosto, la volontà di incitare i cristiani a divorare i leoni, identificandoli nelle altre religioni o culture, in nome di una presunta superiorità, non aderente all’insegnamento genuino di Cristo.

E’ un tragitto lungo, che potrò seguire per tappe,perché ognuna esige una riflessione diversa, in grado di conciliare la fede con la fede e la ragione con la ragione, senza miscellanee assurde.

La Prima Cena del popolo di Cristo

(per la Nuova ed Eterna Alleanza)

Duemila anni di Storia della Chiesa ci hanno imposto di chiamare la cena che precedette il processo a Gesù , con conseguente condanna, l’Ultima Cena.

Dobbiamo analizzare nei dettagli i particolari che scandirono quella cena, perché si tratta di particolari che si sovrappongono perfettamente alla tradizione ebraica, ma non per esaltarla, bensì per decretarne la fine storica.

Quella cena venne celebrata nel quadro delle celebrazioni ebraiche della Pasqua.

La Pasqua ebraica ricordava lo scampo, nel corso della notte, dalla morte dei primogeniti ebrei, mentre morivano quelli egiziani; quell’evento venne, quindi, identificato con la liberazione degli Ebrei dall’Egitto, che iniziò quella stessa notte.  La  Pasqua  ebraica  segue, ancora oggi,  un  rituale  ben  preciso e pregno di significati, ( consumare erbe amare con un agnello arrostito, il cui sangue doveva essere asperso sugli stipiti e gli architravi delle abitazioni ebraiche, venivano servite 4 coppe di vino, la terza era la più importante perché chiudeva il festeggiamento, mentre la quarta coppa non veniva consumata perché riservata al Profeta Elia, si cui ogni famiglia o gruppo in quella notte ne attendeva la visita) che non staremo qui ad elencare, in quanto utilizzeremo solamente quei particolari che furono modificati in quell’Ultima Cena, e che hanno, strutturalmente, modificato anche il significato mistico di quella cena.

Il rito della cena pasquale di Gesù seguì l’itinerario ebraico alla lettera, dalle erbe amare all’agnello arrosto, alla distruzione dei sia pur minimi residui della cena, fino a giungere al terzo calice di vino, il più importante perché segnava il termine della cena. A questo punto la Pasqua ebraica diventa la Pasqua cristiana; non si commemora più la liberazione dalla schiavitù egiziana, ma la istituzione dell’eucarestia in quel miracolo d’amore che è la Transustanzazione.

Era la sera che precedeva i due procedimenti di accusa, (e non processi), quello religioso e quello civile, Gesù aveva celebrato la cena ebraica della Pasqua, secondo quella tradizione che si faceva risalire a Mosè.

Non l’Ultima Cena di Gesù, ma la Prima cena del popolo di Cristo nel nome della Nuova ed Eterna Alleanza, che potrà, da allora, nutrire lo Spirito, con il corpo e con il sangue di Gesù in quel Mistero di Fede e di Amore che è la Transustanzazione.

Per errata consuetudine, oggi, si è soliti affermare di “fare la Comunione”; un errore grossolano, che mortifica uno dei misteri della Fede.  Quando il sacerdote con la particola in mano pronuncia le parole “Hoc est enim corpus meus”, non pronuncia una formula  preparatoria di una magia, è solo una supplica, perché Cristo rinnovi il miracolo della Resurrezione, la Resurrezione dell’uomo dal peccato; ma se il comunicando non si accosta alla particola con  Fede, non “entra in comunione con Cristo”, ha solo preso un’ostia, che avrebbe potuto essere anche, o forse meglio, una tarina al salmone con un flut di champagne (dico queste cose perché ricordo una stupida domanda che una persona, lontanissima dal capire l’importanza di ciò che stava dicendo, rivolse ad un vescovo: “Ma perché noi divorziati non possiamo fare la comunione?” sottoscrivendo un rogito della propria ignoranza).

Il termine semitico indica i discendenti di Sem, uno dei tre figli di  Noè, che, secondo la  cronologia biblica, sarebbe vissuto 600 anni. Sem fu il capostipite dei popoli che occuparono  i territori dell’Asia anteriore; tale area  geografica  si estendeva  dalla  catena del Tauro orientale a Nord,  alla valle del Tigri a Est, alla costa meridionale della penisola arabica a Sud, e a  Ovest fino al mar Rosso e al Mediterraneo. Semiti furono, da sempre, definiti tutti quei popoli aventi analogie linguistiche ed in particolare gli Ebrei, gli Assiri e  gli Aramei, rispettivamente discendenti da Eber, Assur  e Aram, figli di Sem (Genesi X, 21-22)  i cui  discendenti  popolarono  tutto  il  perimetro testè citato.

Gli Assiri popolarono i territori della Mesopotamia, dell’odierno Iraq e Iran, storicamente identificati come Assiro-Babilonesi. Gli Aramei si inoltrarono lungo le vallate  del Pakistan, fino a giungere nel Cachemire, dove la tradizione islamica vuole che  sia stata portata la tomba di Rachele, moglie di Giacobbe, in una delle tante cittadine con il nome di Rama; gli Ebrei si stanziarono intorno al Mediterraneo: Palestina, odierna Giordania, Libano, e, quindi, costretti in schiavitù, anche il Egitto e parte dell’odierna Libia. Non andarono mai oltre perché i territori che andavano verso Occidente erano popolati dalla fiera nazione berbera, che non tollerava invasioni.

Le traversie e la storia di questi popoli, aventi origine comune, rappresentano la storia  stessa  del Mediterraneo e del vicino Oriente, culla della civiltà più remota, quella mesopotamica, con un comune denominatore che da  millenni ha  caratterizzato  l’area geografica occupata da tali popoli: il diritto ad una Patria, per le varie etnie,  nei luoghi ritenuti storicamente sacri.

Ciò che desidero evidenziare è che Ebrei e Palestinesi sono entrambi di origine orientale e entrambi semiti, cosa  vantata dai Palestinesi,  ma non troppo gradita a quella parte di ebrei, meglio identificabili come sionisti,, arroccati, come sono, nel loro individualismo di popolo e nel pragmatismo della  peggiore specie, del quale sono i più fedeli interpreti, specie adesso che sono transitati dall’origine storica mediorientale, che ha fatto loro chiedere, e legittimamente ottenere, porzione della Palestina, alla nuova e più comoda realtà occidentale, che li vuole addirittura ammessi all’Assemblea dell’Unione Europea e inglobare l’intera Palestina, scacciando i Palestinesi che da millenni occupano quelle terre.

Oggi si taccia di antisemitismo chiunque si permetta di evidenziare le colpe non tanto del popolo ebreo, quanto dello Stato sionista di Israele. Personalmente  mi ritengo  assolutamente invulnerabile a questa accusa, che reputo infamante, per la ovvia considerazione che i Palestinesi sono Semiti e non ho mai trascurato occasione per professare il mio amore verso questo popolo perseguitato, che ho conosciuto da vicino condividendo la tragedia che vivono; ma nessuno taccia di antisemitismo i loro persecutori, che non manifestano alcun segno di umana pietà.

Grazie al sionismo è  sorto lo Stato sionista di Israele, ma si è conclusa la Storia del popolo ebraico ! 

 Il popolo ebraico ha smesso di esistere dal momento che è diventato Stato sionista di Israele; orientale per la sua storia millenaria, si è fatto occidentale, perché è una consuetudine ormai certificata dalla storia che il popolo ebraico predilige associarsi al più forte e diventarne il fedele vassallo.

2.000 anni fa gli Ebrei, quando ebbe-inizio-la-fine-del-popolo-ebreo, si associarono ai romani, e,  già fin da allora, si perfezionò la frattura verticale tra il popolo e i suoi vertici, come i sommi sacerdoti. Nel Talmud ci sono espressioni estremamente severe contro quei sommi sacerdoti, i quali, per compiacere il potere romano, non osservarono quanto prescritto per la festività della Pasqua.  Nel periodo pasquale, infatti, era rigorosamente vietato comminare pene di morte, escluse peraltro dalla legislazione ebraica. Presero a prestito la legge romana per effettuare l’esecuzione sommaria di Gesù. Fu una esecuzione sommaria perché non c’è traccia di un vero processo nei Vangeli e negli altri testi storici, con un pubblico accusatore che elencava le colpe e un difensore che sosteneva la difesa; né la pena fu comminata dai romani, Pilato, il solo che aveva potere di vita e di morte si “lavò le mani del sangue di questo giusto”.  Secondo l’usanza ebraica, nel periodo della Pasqua era consuetudine rendere libero un condannato; quando la folla indicò in Barabba l’uomo da liberare, Pilato chiese: “Che farò dunque di Gesù chiamato il Cristo ?” e la folla rispose: “Sia crocifisso” e ancora Pilato: “Ma cosa ha fatto?” e la folla insistette “Sia crocifisso”. Fu allora che Pilato si lavò le mani dicendo: ”Non sono responsabile di questo sangue, vedetela voi” e la folla ebrea maledisse se stessa e la sua progenie dicendo:

“ Il suo sangue ricada sopra di noi,  sopra i nostri figli e sopra i figli dei nostri figli”. (Matteo 26,35; Marco 14,42; Luca 23,14; Giovanni 18,21).

 L’itinerario terreno di Gesù si era consumato, ma non senza avere modificato strutturalmente tutta la storia del popolo ebreo. La sera che precedette i due procedimenti di accusa, e non processi, quello religioso e quello civile, Gesù aveva celebrato la cena ebraica della Pasqua; in quella occasione sconvolse tutta la storia del popolo ebreo perché modificò la cena della Pasqua ebraica e istituì l’Eucarestia, che rappresenta il fulcro centrale della Pasqua cristiana.

Corre obbligo citare direttamente i passi dei Vangeli, con particolare riferimento al calice con il vino, offerto agli Apostoli dopo avere spezzato il pane e averlo indicato come il proprio corpo.

Matteo  26,35:

Poi prese il calice e, dopo aver reso grazie lo diede loro dicendo: “Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue dell’alleanza, versato per molti in remissione dei peccati”.

Marco 14,41:

Poi prese il calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E Disse “Questo è il mio sangue, il sangue dell’alleanza, versato per molti”.

Luca 22,21:

Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese il calice dicendo: “ Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che viene versato per voi”.

Ognuno dei tre Apostoli Evangelisti attribuisce a Gesù l’affermazione dell’alleanza, attraverso il proprio sangue, che sarà versato per molti. Solo Luca è meno generico e chiarisce che si tratta della Nuova Alleanza santificata nel sangue che sarà versato. Tutto ciò è contenuto in quella che siamo abituati a identificare come l’Ultima Cena; ma non si è trattato dell’ultima cena, bensì della Prima Cena del popolo di Cristo; se di Ultima Cena vogliamo parlare, possiamo farlo identificando come ultima la Cena del popolo Ebreo, perché in quella Cena venne istituita l’Eucarestia, il mistero della Transustanziazione, dal quale il popolo Ebreo veniva escluso, come escluso è rimasto dal patto della Nuova  Alleanza. L’alleanza tra Dio e il popolo prediletto, sancita nelle Sacre Scritture, veniva rinnovata, ma non con il popolo Ebreo, bensì con i seguaci di Gesù e della Sua Chiesa, che sarebbe sorta sulla quella pietra …. Tu es Petrus…; nelle catacombe vaticane è stata ritrovata la tomba di Pietro, con l’inequivocabile scritta “Petros eni”, “Pietro giace qui”, confermando la profezia di Gesù:

“Tu sei Pietro e su questa  pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa”. (Matteo 16,8)

Esaltata la Nuova Alleanza nel sangue di Cristo, la precedente alleanza con il popolo Ebraico terminava la sua storia, perché non riconobbero il Messia, non accettarono le Sue parole d’amore, riversarono solo parole di odio, maledicendo se stessi e la loro progenie:

…sia crocifisso e il suo sangue ricada su di noi, sui nostri figli e sui figli dei nostri figli (testo citato)

 per ossequiare i potenti alleati romani:

poi fu l’orto di Getsemani: “Padre allontana da me questo calice,…ma non la mia ma la Tua volontà sia fatta”, un atto di obbedienza che la tradizione musulmana utilizza per porre la figura di Gesù in una posizione subalterna a quella del Padre, una posizione da Profeta, non da figlio di Dio e Dio Egli stesso nel mistero della Trinità, pur se generato da donna mantenutasi vergine, alla quale Dio si degnò di "insufflare il Suo Spirito(Corano LXVI,11-12).

La motivazione teologica di tale affermazione, da parte dei musulmani, sta nelle stesse parole di Gesù, specialmente nell’affermazione della presenza di due volontà diverse, quella molto umana di Gesù che si rivolge al Padre per evitare ciò che sapeva di dover subire, e il riconoscimento della superiore volontà del Padre, alla quale non poteva sottrarsi, rientrando nel superiore disegno di Dio.

 E’ il cardine del mistero della Trinità, e proprio in quanto “mistero” non comprensibile e non accettato dalla fede musulmana, composta come è di metafore comprensibili e accettabili. Si tratta del maggior ostacolo che divide le due religioni monoteiste, perché fondato sulla incapacità di comprendere il mistero della Trinità senza cadere nel Triteismo. Una sola semplificazione potrebbe essere accettata, e cioè che il cristiano crede nella duplice natura di Cristo, umana e divina, e crede con fede, ma non con intelligenza  (da intelligere, capire) mentre i musulmani venerano Gesù con intelligenza (cioè fin dove è dato capire) ma non con fede, che è riservata solo ad Allah (sia sempre onorato l’Altissimo).

Ma la religione musulmana, nella sua ufficialità di interpretazione teologica non sa come spiegare che per la nascita di Gesù Dio abbia voluto una donna purissima, mantenutasi vergine anche dopo il parto, votata a Dio già nel grembo della madre e accettata da Dio “di accettazione buona”; l’accettazione buona da parte di Dio dichiara espressamente la particolarità di Maria, che non poteva nascere contaminata dal peccato, infatti Maria è “quanet” la pura che si è mantenuta tale in attesa che si verificasse quanto predetto dall’Arcangelo Gabriele. E’ un anticipo del dogma dell’Immacolata Concezione ?  Le scuole di teologia islamiche accettano anche la volontà di Dio di esonerare Maria dal peccato originale, dovendo ricevere l’afflato divino per generare Gesù “il più vicino”.

Ma si tratta di una differenza tale da non consentire un dialogo basato su tutto ciò che unisce le due religioni ?

Poi fu la tortura, la flagellazione, la condanna, l’ascesa al monte Calvario, la Crocifissione, i chiodi nei polsi e nei piedi, la corona di spine, la spugna di fiele e aceto, il perdono per i suoi carnefici: “Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno”, che non annulla la colpa, anzi la penalizza ancor di più, rispondendo a quell’odio con il perdono in nome dell’Amore, quel Dio-Amore che l’Islam chiama Ar RaHman. Una concezione dell’Amore divino che avvicina il popolo dei credenti Musulmani al popolo dei Cristiani.

Quindi il sole si oscurò fino alle tre del pomeriggio e il velo del Tempio, simbolo dell’Alleanza tra Dio e il popolo prediletto, si squarciò in due, dall’alto in basso (Marco 15, 38), evidente simbologia della  insanabile frattura che si era consumata tra il Messia e il popolo che lo rinnegò condannandolo alla più atroce delle morti;  quindi fu l’urlo liberatorio di una sofferenza indicibile “Eloì Eloì, lema sabactani ?” e il colpo di grazia del longino, forse l’unico atto di pietà in quello scenario che voltava la pagina della storia, ma  doveva anche  adempiere la Scrittura, come leggiamo in Giovanni  (19, 31-37): “era il giorno di Pasqua e i Giudei, perché i corpi non rimanessero in croce durante il sabato, chiesero a Pilato che fossero loro spezzate la gambe e fossero portati via….venuti i soldati davanti a Gesù e vedendo che  era morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati colpì il costato con la lancia e ne uscì sangue e acqua.

Questo avvenne perché si adempisse la scrittura: “.. non gli sarà spezzato alcun osso… volgeranno lo sguardo verso colui che hanno trafitto” (Zc 12,10)  (n.d.r.)

La loro stessa maledizione: “…sia crocifisso … il suo sangue ricada su di noi, sui nostri figli e sui figli dei nostri figli”,  colpì il popolo ebraico che si ritrovò disperso in tutti gli angoli della terra, senza peraltro riuscire a integrarsi con nessun popolo; nessuno ha creato i ghetti ebraici, sono sorti spontaneamente per la loro volontà di non mischiarsi con quelli che ritenevano popoli inferiori, perché non indicati come popolo dell’Alleanza. Ma quel diritto all’Alleanza il popolo Ebreo l’aveva perduta, venduta per 30 denari, quei denari che sono sempre stati la loro massima aspirazione e la loro eterna maledizione.

E’ vero che oggi, all’inizio del nuovo millennio, dopo tutto quello che la storia appena passata ci ha insegnato, è rinato il sentimento antisemita ? Secondo il mio punto di vista, ritengo proprio che l’antisemitismo abbia ripreso vigore, con la consueta base di crudeltà che ogni forma di razzismo contiene; esso alberga nell’animo di chi non riconosce i propri fratelli e li perseguita per annientarli, ritenendosi superiori, o migliori; alberga in quel popolo sionista, orientale, semita, discendente della stirpe di Davide, che ha rinnegato la propria storia, che si è fatto occidentale per allearsi al più forte (lo fecero già con i romani), che ha smesso gli abiti della vittima per indossare direttamente quelli del carnefice, che ha rinnegato anche la propria Fede per farsi Stato sionista di Israele. Gli ultimi semiti rimasti fedeli alla tradizione antica sono i Palestinesi, perseguitati, profughi in casa loro, contro i quali è in atto l’olocausto del terzo millennio, e proprio ordito dallo stesso popolo che un olocausto ha subito da parte di un popolo occidentale.

E’ rinato il sentimento antisemita ?  Si ! 

La bandiera dell’antisemitismo garrisce al vento sulla spianata delle Moschee, in quella Gerusalemme che dopo 800 anni di pace, di tolleranza religiosa, di libero commercio, seguiti alla liberazione di Gerusalemme da parte del Saladino, con l’arrivo dei colonizzatori inglesi è tornata a essere il fulcro centrale e l’esca sempre accesa di ogni conflittualità in quel martoriato scacchiere Medio-orientale; l’antisemitismo più acceso è nelle mani di  quell’Ariel Sharon,  (mandante della strage di Sabra e Shatila” dove vennero massacrati in 6 giorni di furiose aggressioni 56.000 civili palestinesi, rifugiatisi alla periferia di Beirut dopo l’aggressione sionista del 1967 la guerra dei 6 giorni- nella Striscia di Gaza)  che, pur  rappresentando solamente lo Stato di Israele e non il popolo Ebraico, ha deciso lo sterminio dei Semiti Palestinesi, diventando il corifeo del nuovo antisemitismo e programmatore di un nuovo olocausto.

(continua con: I sacramenti cristiani e i pilastri della religione islamica.)



Martedì, 28 ottobre 2008