Dibattito
Islam e lotta di classe
Cristianesimo e capitalismo

di Rosario Amico Roxas

Un contributo al dialogo cristiano-islamico


Pubblichiamo questo testo come contributo al dibattito per il dialogo cristiano-islamico. Come sempre le opinioni espresse in questo testo impegnao esclusivamente l’autore che ringraziamo per il suo sforzo a fornire piste di riflessione originali.

Sempre in ordine all’ipotesi di un dialogo cristiano islamico non possiamo trascurare  l’evidenza che il cristianesimo si coniuga con l’Occidente e, quindi, con il capitalismo; l’affermazione pontificia circa le “Radici cristiane dell’Europa” ne è la documentata prova.

Cristianesimo quindi sta all’Occidente e insieme stimolano il capitalismo.

Ma possiamo coniugare insieme l’Islam con la lotta di classe ?

Il capitalismo occidentale cristiano

La globalizzazione dei mercati, intesa come momento culminante del capitalismo spinto, per essere accettata necessita di essere imposta; il consumismo a cui porta non può essere accettato passivamente dai  popoli, che non vogliono privilegiare i consumi fittizi, ma le necessità  reali.

Tra l’altro proprio la globalizzazione provoca l’acuirsi dello sfruttamento del lavoro minorile, del lavoro femminile sottopagato, perché produce esigenze di manovalanza a basso costo, tutto a discapito dei livelli di istruzione, perché gli stessi genitori inseriscono i figli nel panorama sordido dello sfruttamento prima possibile; lo impone la legge della sopravvivenza. Dopo avere usato tutte le leve del marketing avanzato, la politica della globalizzazione deve imporsi con altri mezzi, anche con i mezzi della violenza. Questo capitalismo avanzato e spinto alle estreme conseguenze , promosso indiscriminatamente dall’opulento mondo occidentale, conduce a diverse forme di consumo; oggi non si produce più per soddisfare i bisogni del consumatore, o per migliorare la qualità della vita, oggi si produce e basta, quindi, attraverso l’uso indiscriminato delle leve di marketing, si creano falsi bisogni; il consumatore è solamente un’entità da sfruttare attraverso l’imposizione di falsi bisogni.

Alla base delle guerre, in questo esordio cruento del 3° millennio, c’è l’interesse economico, sia di singole multinazionali, che di Stati i cui vertici sono assoggettati a quelle stesse multinazionali che ne hanno sponsorizzato la formazione; questo interesse trova nella globalizzazione dei mercati la sua attualità.

Possiamo affermare che l’economia capitalistica genera la globalizzazione dei mercati, la loro fusione consequenziale, per affermarsi sempre più, genera le politiche aggressive.

Di segno opposto è l’indicazione operativa del cooperativismo, che si realizza nella integrazione fra i popoli, l’integrazione fra i popoli non è altro che la internazionalizzazione del concetto portante del cooperativismo, che a sua volta è l’aggiornamento dell’originario concetto di ’corporativismo cattolico’.

Con il concetto di integrazione fra i popoli viene recuperato il ruolo etico dell’economia, che ritorna ad essere una funzione al servizio dell’uomo, e non,  come accade nel sistema capitalistico, un modo per asservirlo alle esigenze dell’economia, fino alle estreme conseguenze, con lo sfruttamento, con una nuova schiavitù, con l’aggressività camuffata da nobili ideali, ma in realtà finalizzata alla rapina delle materie prime e delle fonti energetiche che servono al capitalismo in maniera sempre più esponenziale, mentre intere popolazioni, che, peraltro, costituiscono la grande maggioranza della popolazione mondiale, covano la ribellione motivata e giustificata dall’indigenza.

Rimane ancora valida l’architettura sociale impostata da Giuseppe Toniolo nel clima di vivace apertura sociale negli anni della RN, riconosciuta universalmente come la risposta cattolica al marxismo rivoluzionario, che proseguirà la sua strada culminando nella rivoluzione di ottobre del 1917, quando  realizzerà una ulteriore forma di capitalismo, quello di Stato, anch’esso distante dalle reali necessità delle classi intermedie e di quelle operaie. Qualunque forma di capitalismo, vuoi che sia in senso marxista di Stato o in senso neo-liberista dei singoli capitalisti, necessita di una  politica forte, in grado di agevolare i programmi di penetrazione nei mercati degli altri paesi. Per questo sostengo che il capitalismo in sé genera la violenza, che si realizza nelle attività belliche.

La posizione intermedia di Toniolo apparve subito come la grande risposta, in campo economico-sociale, sia all’ideologia liberale con il suo capitalismo individuale, sia al sistema socialista, con il suo capitalismo di Stato.

Nel mondo del capitalismo spinto emerge una figura anomala, quella dell’ imprenditore,  praticamente un capitalista senza capitali, che usufruisce di prestiti da parte dei capitalisti o delle banche da questi ultimi create, assume manodopera e produce, accollandosi i rischi. Questa è una figura tipica del capitalismo d’assalto, perché l’imprenditore, in effetti, pur se teoricamente assume i rischi dell’impresa, in pratica non rischia molto, se non un fallimento con conseguente insolvenza, che andrà a pesare su quanti gli  hanno prestato fiducia, dalle banche, ai privati, ai fornitori.

A sostegno del capitalismo puro deve intervenire anche l’autorità pubblica, spesso sollecitata dagli stessi capitalisti e/o imprenditori, con leggi protettive, imposte doganali sui prodotti concorrenti, cambi internazionali controllati, permessi di importazione, facilitazioni nella delocalizzazione produttiva. Inoltre, per ottenere il credito necessario per incrementare le imprese, servono i servizi delle banche, che spesso non sono trasparenti. L’imprenditore d’assalto, infatti, crea una serie di scatole cinesi vuote o semi-vuote, ognuna di queste scatole fornisce garanzie bancarie alle consociate; basta superare il primo livello dei fidi perché il meccanismo venga a trovarsi nella condizione ottimale di ottenere i prestiti necessari allo sviluppo, in un crescendo esponenziale di volume monetario. L’itinerario prosegue fino a quando il ritmo imposto alla dinamica di crescita risulta credibile; ma quando arriva il tonfo, la voragine che si apre è direttamente proporzionale al tempo che è stato concesso per operare impunemente. 

L’Islam: il fondamentalismo e la lotta di classe.

La mia permanenza ultradecennale in un paese arabo, anche se fortemente occidentalizzato come la Tunisia, e un periodico, ma costante, movimento interno in molti paesi islamici, mi ha consentito di conoscere svariati personaggi del mondo politico, economico e anche religioso.
Ma la conoscenza e il contatto diretto non poteva risultare sufficiente per esprimere un parere, sia pure personale, anche se suffragato da motivazioni frutto di una sintesi delle varie esperienze che ho avuto occasione di maturare.
Non c’è dubbio che l’elemento più importante da studiare e valutare è quello del fondamentalismo islamico e il suo accreditarsi, ogni giorno di più, come movimento nazionalista e autonomista, in contrasto con il neo-colonialismo che vorrebbe mantenere, in tutta l’area del Medio Oriente e del Nord-Africa, un predominio politico, sociale che diventa predominio economico, che prevede una sudditanza dei popoli mediorientali e il mantenimento di manodopera a basso costo e sfruttamento delle materie prime.
Sorge il dubbio che l’andamento attuale non sia frutto di spontanea reazione nazional-popolare, ma sia frutto di una ben studiata strategia da parte del pianeta Occidente, per giustificare il soffocamento delle istanze che premono verso una migliore qualità della vita di popoli che vengono mantenuti in condizioni sub-umane.
Non emerge nessuna vocazione alla “democrazia”, anzi, proprio la democrazia viene intesa come emanazione dell’Occidente che ha portato i frutti che quei popoli sono costretti a subire; da qui la “paura” del mondo islamico verso la democrazia occidentale e il rifiuto del modernismo occidentale.
Allora emerge una nuova esigenza di analisi; un’angolazione diversa della visuale che si vuole imporre di un mondo Occidentale minacciato, costretto a difendersi con “azioni preventive”.
Questa analisi, certamente non facile da impostare in poche pagine, (necessariamente poche per non ingolfare il problema rendendolo di difficile approccio) porta a considerazioni fin qui poco approfondite, ferme alle nozioni che i mass media occidentali spargono a piene pagine, trascurando l’ipotesi di diverse condizioni di interpretazione.
Sarà necessario frazionare il problema nei suoi vari aspetti, cosa che apparirà frammentaria e disunita, ma utile per valutare i diversi aspetti e poter giungere ad una sintesi.
Il fatto che il fondamentalismo si afferma in ben identificati strati sociali obbliga a valutarne le ragioni:
· Il fondamentalismo islamico ha relazioni con la lotta di classe ?
· La religione islamica e la sua affermazione, è il fine del fondamentalismo oppure è lo strumento per dominare il classismo e mantenerlo nello status quo ?
· L’approccio delle forze integraliste e fondamentaliste è indirizzato verso l’elevazione socio-culturale del proletariato musulmano, oppure è il mezzo di controllo in chiave anti-proletariato ?
· Le masse proletarie islamiche si muovono verso l’integralismo e il fondamentalismo, oppure avviene in contrario, come una chiamata a raccolta delle masse islamiche in nome della religione, ma con fini totalmente opposti ?
· Non si pone il dubbio che l’adesione delle masse islamiche al fondamentalismo rappresenti il segnale che la trappola è scattata e che le istanze e le aspirazioni nazional-popolari in chiave antimperialista e anticolonialista, saranno represse e vanificate, stroncando sul nascere ogni istanza di civile convivenza, in quanto l’Occidente ha tutto l’interesse di identificare il fondamentalismo con il terrorismo e, di conseguenze, assimilando al terrorismo quelle masse popolari che aderiscono alle rivendicazioni sociali e culturali ?
· L’assenza di un partito politico in grado di portare il dibattito nelle naturale sede della politica e della diplomazia non rappresenta quella trappola che la borghesia integralista, cointeressata alle sorti in quell’area delle mire occidentali, ha teso alle masse popolari, le quali si muovono illudendosi  di  avanzare  rivendicazioni  legittime, mentre favoriscono i disegni che li penalizzeranno ?

Parte prima


Il fatto stesso che il fenomeno integralista e fondamentalista sia esploso in forme violente dopo gli episodi delle guerre del Golfo (prima e seconda) e dell’Afghanistan, ci dimostra come si sia trattato di fatto reattivo e non attivo.
Per avallare le guerre preventive gli USA hanno messo avanti l’11 settembre, trascurando che la prima guerra del Golfo di Bush padre ebbe inizio molti anni prima e non ebbe mai occasione di finire, in quanto la presenza americana e i bombardamenti sull’Iraq non ebbero mai soluzione di continuità. La reazione fondamentalista, sbrigativamente chiamata “terrorismo” nacque come risposta contro l’imperialismo americano, e fu, inizialmente, gestita dall’alta borghesia nazionalista che vedeva minacciati i propri interessi di privilegio; si trattò allora dei vari “signori della guerra”, in realtà capi delle tribù che tutt’ora dominano l’Iraq, l’Afghanistan, l’Iran, il Pakistan e la Siria, Giordania e Arabia Saudita: Fra di loro divisi da differenti interpretazioni dell’Islam e ognuno con una propria legittimazione, trasportarono il loro dissenso dalla politica alla religione, per attirare le masse islamiche fin allora solo vittime di entrambe le parti.
L’integralismo islamico, sorto agli inizi dello scorso secolo, era sciita e riuscì a radicarsi nel tessuto sociale favorito dalle minacce che arrivavano dall’Occidente.
L’adesione popolare alle forme fondamentaliste e integraliste acquistò un significato politico, staccandosi dai valori esclusivamente religiosi; in pratica si trattò di un regresso verso l’antica tradizione religiosa e sociale, che comprendeva anche il rapporto tra le classi, con una forma di accettata sudditanza della classe popolare a quella medio e alto borghese.
Ma dall’Occidente arrivarono anche i principi del capitalismo che portava in sé i germi della crisi che provocarono un sempre maggiore accentramento del potere economico nelle mani degli USA, in termini internazionali, e nelle mani di capitalisti privi di scrupoli sociali nelle singole nazioni.
Il lancio imposto della globalizzazione dei mercati sanzionò la frattura tra classi e tra nazioni.
Tra le classi si disegnò il confine tra produttori e consumatori, tra proprietari dei mezzi di produzione e prestatori d’opera, tra creditori e debitori, dilatando la forbice dei consumi con eccesso del superfluo e mancanza del necessario.
A livello internazionale la frattura divise il mondo in nazioni opulenti, nazioni in via di sviluppo, terzo mondo e quarto mondo, queste ultime ricchissime di materi prime ma prive del potenziale culturale ed economico per lo sfruttamento in proprio delle loro ricchezze, diventando preda dei famelici “esportatori di democrazia.
Nell’ambito della globalizzazione emersero nuove esigenze dell’apparato capitalistico, primo fra tutti la disponibilità di manodopera a basso costo, flessibilità del lavoro, decrescenti garanzie sindacali e, a volte, totalmente carenti. La conseguenza diretta fu la distruzione e, a volte la non formalizzazione dello Stato sociale, privatizzando i servizi essenziali che diventarono così non più costi dello Stato, bensì proventi dei privati; la classe lavoratrice è stata attaccata sul terreno normativo e salariale, quindi su quello assistenziale.
Mentre tutto ciò accadeva a livello internazionale, molte nazioni, fra cui l’Italia, imitarono tali modelli in nome di un rinato liberismo che avrebbe migliorato le condizioni disagiate delle classi più deboli, favorendo un maggiore arricchimento delle classi capitalistiche, in quanto tale arricchimento si sarebbe dilatato anche alle fasce più povere.
Iniziò la pretesa esportazione della democrazia, facendo credere alle masse popolari prese di mira che tale forma di governo, partendo dalla base popolare diventava garantista nei confronti delle classi emarginate.
Ma cosa sta accadendo in realtà ?
La democrazia, già a breve termine, se non tenuta rigorosamente nell’alveo della vera pluralità, produce il capitalismo, perchè ne ha bisogno per generare lavoro e dilatare il benessere all’interno di uno sviluppo equilibrato dell’economia, ma quando il capitalismo arriva ad avere il sopravvento non ha bisogno di democrazia e promuove una deriva autoritaria, la sola che può imporre il mantenimento dei privilegi che il mondo capitalista.

L’esigenza dell’Occidente di manodopera a basso costo si è aggravata nel secolo scorso con la pretesa occidentale di controllare le fonti energetiche per averne il monopolio.
Combinate in questo modo, le due esigenze messe insieme, e sostenute anche con guerre chiamate “preventive”, hanno consentito agli USA sia di gestire la forza lavoro di interi continenti per sfruttare la delocalizzazione produttiva, sia di impadronirsi della rendita parassitaria delle risorse petrolifere.
Le conseguenze per le popolazioni sono state, sono e diventeranno sempre più devastanti, perché alle già precarie condizioni ambientali, il cui sviluppo è stato mortificato dalle colonizzazioni, si aggiungono le condizioni disumane e affamanti della globalizzazione dei mercati.
E’ l’impostazione dell’imperialismo, sia di quello democratico occidentale che di quello socialista orientale; entrambi hanno rinnovato quella colonizzazione che nei secoli scorsi fu militare, con la nuoca colonizzazione economica.
Questo è stato il brodo culturale nel quale il fondamentalismo prima e l’integralismo poi hanno fatto proliferare il nazionalismo arabo, coniugandolo con la religiosità.
La religione diventa supporto delle esigenze sociali mortificate prima dal colonialismo su base militare di conquista, ora dell’imperialismo che vuole imporre il suo “nuovo ordine” su base economica e di sfruttamento di intere popolazioni, sia sotto il profilo del lavoro che delle materie prime.
La realtà odierna si scontra con la sua stessa storia che trova nei secoli l’accoppiamento religione-potere, con una continuità nel tempo che non trova riscontri nei governi occidentali.
Le borghesie islamiche di tutte le etnie, che hanno detenuto il potere nelle sue varie forme, ma sempre centralizzato e assolutistico, hanno utilizzato i precetti coranici per supportare il loro potere politico, economico e sociale.
Trattandosi , per lo più, di sciiti nell’area medio-orientale, ogni etnia si è sempre richiamata ad una pretesa discendenza diretta dal profeta, identificandosi con una confessione che fornisce il suggello al dominio di classe.
Gli esempi non mancano, suggellati da ragioni storiche, da antiche consuetudini e da radicate convinzioni.
· I sovrani del Marocco vantano la diretta discendenza da Maolmetto.
· I sovrani della Giordania preferiscono definirsi “re degli hascemiti” piuttosto che dei giornani; gli hascemiti appartengono alla tribù di appartenenza di Maometto, e vantono il diritto di essere considerati “custodi delle città sante”, che si trovano in Arabia, sotto la dinastia Saud che ne rivendica l’appartenenza, con una insanabile frattura tra le due case regnanti.
· A loro volta i Saud legittimano il loro potere con l’appartenenza alla confessione Waabita, alla quale, per motivi di cartello petrolifero, hanno aderito gli emiri del golfo , gli Al Sabbah del Kuwait, e i gli Yemeniti e i teocratici Omanidi.
· La Siria ufficialmente è una repubblica presidenziale, ma presidenziale al punto da non potersi distinguere da una monarchia assoluta, anch’essa avallata dall’appartenenza alla confessione alawita.
· Anche il laico libano di Jhumblat è governato in nome di una enclave drusa che trae origine da Al Darazi, che secoli fa fondò una delle tante scissioni sciite che approdò ad un movimento politico del quale oggi Walid, come prima di lui il padre, è signore e padrone.

 Parte seconda

Fu la piccola, media e alta borghesia che pilotò le rivendicazioni anticolonialiste, ma non poterono dirottare l’attenzione verso un sistema democratico, ritenuto emanazione di quello stesso Occidente che aveva esercitato il colonialismo sfruttatore.
I movimenti indipendentisti si lasciarono influenzare dalle rivendicazioni socialiste o pseudo-socialiste, dovendo scegliere una delle due parti in quel momento in piena guerra fredda: Est e Ovest del pianeta.
La religione divenne il valore aggiunto che richiamava le masse popolari, che non hanno mai chiesto “democrazia”, “libertà”, ma solo di essere ben amministrati e ben guidati, per dare in cambio la loro fedeltà al sovrano o al presidente.
C’è da notare che il termine "libertà", così come intendiamo noi dopo l’Illuminismo e la Rivoluzione francese, è intraducibile in arabo; per l’arabo la libertà si contrappone alla schiavitù, ma non comprende quei valore per i quali l’Occidente ha combattuto aspre battaglie.
Il tentativo, già dalla fine della seconda guerra mondiale, era quello di fondere insieme le basi della religione con il naturale nazionalismo arabo; ma per ottenere ciò ognuno dei “capi” doveva rappresentare una propria visione della religione, per cui spuntarono le più svariate confessioni delle quali si è fatto cenno nella seconda parte (I signori delle religioni).
La religione acquistò un uso strumentale, in grado di motivare l’esercizio del potere di fronte alle masse popolari e anche di giustificare gli antagonismi sociali.
Nacque, così, quella “armonia” sociale in grado di giustificare ogni repressione, ogni tentativo di cambiamento, perché non è lecito cambiare ciò che discende direttamente da Dio.
Le masse popolari finirono con l’accettare questo condizionamento, rifiutando di valutare il gioco conservatore e reazionario delle borghesie, che trovarono nell’identificazione tra religione e nazionalismo l’elemento di controllo.
Il coinvolgimento borghese è globale; non riguarda soltanto quella borghesia che si trova al potere, ma anche quella che vorrebbe arrivarci o quella che della esiste trae larghi benefici.
Si ripete, a distanza di alcuni secoli e di poche migliaia di kilometri, la realtà vissuta in Europa con i tre stati: aristocrazia, clero e popolo, nelle stesse proporzioni che portarono l’Europa alla Rivoluzione identificata storicamente come francese, ma in realtà europea.
Ovviamente, stante codeste proporzioni, l’idea democratica viene combattuta con ogni mezzo, anche contro quelle nazioni che vorrebbero esportare la democrazia, ma non nell’interesse dei popoli che devono continuare ad essere sfruttati, ma nell’interesse diretto che provoca l’indebolimento dell’intera struttura statale e sociale, per riproporre un neo-colonialismo di marca moderna: l’imperialismo capitalista.
Quando riesce a spirare flebilmente il vento della democrazia, allora è la stessa borghesia che riesce a servirsi delle masse popolari per neutralizzarne gli effetti, facendo appello ai valori della religione che gli esponenti dell’alta borghesi rappresentano.
Emerge l’uso del potere per il potere, per salvaguardare il contenitore finanziario delle rendite petrolifere e dell’indotto che genera, il tutto riservato ai pochi esponenti di quelle caste che, attraverso la predicazione religiosa impongono le loro dittature, perch’ il loro potere “discende da Dio”.


Parte seconda

Fu la piccola, media e alta borghesia che pilotò le rivendicazioni anticolonialiste, ma non poterono dirottare l’attenzione verso un sistema democratico, ritenuto emanazione di quello stesso Occidente che aveva esercitato il colonialismo sfruttatore.
I movimenti indipendentisti si lasciarono influenzare dalle rivendicazioni socialiste o pseudo-socialiste, dovendo scegliere una delle due parti in quel momento in piena guerra fredda: Est e Ovest del pianeta.
La religione divenne il valore aggiunto che richiamava le masse popolari, che non hanno mai chiesto “democrazia”, “libertà”, ma solo di essere ben amministrati e ben guidati, per dare in cambio la loro fedeltà al sovrano o al presidente.
C’è da notare che il termine "libertà", così come intendiamo noi dopo l’Illuminismo e la Rivoluzione francese, è intraducibile in arabo; per l’arabo la libertà si contrappone alla schiavitù, ma non comprende quei valore per i quali l’Occidente ha combattuto aspre battaglie.
Il tentativo, già dalla fine della seconda guerra mondiale, era quello di fondere insieme le basi della religione con il naturale nazionalismo arabo; ma per ottenere ciò ognuno dei “capi” doveva rappresentare una propria visione della religione, per cui spuntarono le più svariate confessioni delle quali si è fatto cenno nella seconda parte (I signori delle religioni).
La religione acquistò un uso strumentale, in grado di motivare l’esercizio del potere di fronte alle masse popolari e anche di giustificare gli antagonismi sociali.
Nacque, così, quella “armonia” sociale in grado di giustificare ogni repressione, ogni tentativo di cambiamento, perché non è lecito cambiare ciò che discende direttamente da Dio.
Le masse popolari finirono con l’accettare questo condizionamento, rifiutando di valutare il gioco conservatore e reazionario delle borghesie, che trovarono nell’identificazione tra religione e nazionalismo l’elemento di controllo.
Il coinvolgimento borghese è globale; non riguarda soltanto quella borghesia che si trova al potere, ma anche quella che vorrebbe arrivarci o quella che della esiste trae larghi benefici.
Si ripete, a distanza di alcuni secoli e di poche migliaia di kilometri, la realtà vissuta in Europa con i tre stati: aristocrazia, clero e popolo, nelle stesse proporzioni che portarono l’Europa alla Rivoluzione identificata storicamente come francese, ma in realtà europea.
Ovviamente, stante codeste proporzioni, l’idea democratica viene combattuta con ogni mezzo, anche contro quelle nazioni che vorrebbero esportare la democrazia, ma non nell’interesse dei popoli che devono continuare ad essere sfruttati, ma nell’interesse diretto che provoca l’indebolimento dell’intera struttura statale e sociale, per riproporre un neo-colonialismo di marca moderna: l’imperialismo capitalista.
Quando riesce a spirare flebilmente il vento della democrazia, allora è la stessa borghesia che riesce a servirsi delle masse popolari per neutralizzarne gli effetti, facendo appello ai valori della religione che gli esponenti dell’alta borghesi rappresentano.
Emerge l’uso del potere per il potere, per salvaguardare il contenitore finanziario delle rendite petrolifere e dell’indotto che genera, il tutto riservato ai pochi esponenti di quelle caste che, attraverso la predicazione religiosa impongono le loro dittature, perch’ il loro potere “discende da Dio”.



Martedì, 28 ottobre 2008