Un contributo al dialogo cristiano-islamico
Fondamenti per il Dialogo Interreligioso

di Brahim Baya

Ringraziamo Brahim Baya per averci inviato questo suo intervento alla VI giornata del dialogo cristiano-islamico tenutasi a Cuno il 10 dicembre del 2007.


Oggi come sapete, cari amici, viviamo in una società multiculturale, estremamente pluralistica sul piano religioso, quindi sentiamo il bisogno di impegnarci maggiormente sulla strada del dialogo tra le religioni per approfondire la conoscenza reciproca e per superare quei pregiudizi e preconcetti che ognuno di noi si è fatto, e si fa ancora, sull’altro, pregiudizi che condizionano negativamente la nostra convivenza pacifica e proficua. Inoltre i progressi tecnologici degli ultimi anni hanno cambiato radicalmente il nostro sguardo sul mondo e le immagini quotidiane che ci mostrano società e abitudini diverse suscitano la curiosità in molti di noi. In modo più drammatico, purtroppo, gli atti di violenza commessi nel nome della religione sollevano dubbi nelle nostre coscienze umane: come giustificare l’orrore in nome della fede? come comprenderlo? come evitarlo? ebbene il dialogo interreligioso e interculturale dovrebbe servire proprio a trovare delle risposte a queste domande. Nella mancanza del dialogo non c’è presente sereno né speranza un futuro migliore.

La necessità del dialogo, dunque cari amici, è indubbia. Alcuni tuttavia non né comprendono né l’utilità né i reali obbiettivi. Si chiedono di cosa si tratta esattamente? si vuole convertire l’altro? è solo un modo per mettersi in pace con la propria coscienza, o è qualcosa di più? Cerchiamo, situandoci all’interno della tradizione musulmana, di offrire alcuni elementi di risposta a questi quesiti che assillano molti di noi.

Come forse sapete l’Islam non si considera, nei confronti delle altre religioni monoteiste, una religione nuova, si consi­dera invece come l’ultimo messaggio di quell’unica religione, eterna ed univer­sale che Dio ha voluto per l’umanità; il Corano non è altro, quindi per i musulmani, che la rivelazione ultima e perfetta di quell’unica fede. Ciò implica naturalmente il riconosci­mento da parte dei musulmani delle rivelazioni precedenti il Corano attestate nei libri rivelati de­gli ebrei e dei cristiani, sno­datesi come catena di una comune tradizione, secondo l’Islam tutti questi libri avevano la medesima funzione ricordare all’essere umano la presenza del Creatore e il senso e la finalità della vita terrena. E’ la concezione musulmana dell’uomo che trapela da questo insegnamento: dopo aver perdonato ad Adamo la sua colpa, Dio informa gli uomini dicendo: “Riceverete da Me una Guida, coloro che seguiranno la Mia Guida non avranno timore, né tristezza” la guida è rappresentata dalla serie delle rivelazioni di cui ciascuna, attraverso la storia umana, conferma, completa e rettifica la precedente.

Così l’uomo, innocente e libero, deve fare la sua scelta (accettare o rifiutare la Rivelazione); ci sarà necessariamente una diversità tra gli uomini e in questo senso i tre versetti che seguono, apparentemente simili, danno insegnamenti che si sommano e si completano, il primo di questi recita: “Ma se Iddio avesse voluto, li avrebbe [gli esseri umani] tutti riuniti sulla retta via: non esser quindi anche tu tra gli ignoranti”; Questo versetto ci insegna che la diversità è la volontà del Trascendente, il secondo versetto ci precisa che in nome di questa volontà di diversità la costrizione in materia di religione è proibita “E se il tuo Signore avesse voluto, avrebbe fatto credere tutti quanti son sulla terra. Ma potresti tu costringere gli uomini ad esser credenti a loro dispetto?”, quindi la costrizione in materia di religione è inammissibile islamicamente parlando; infine il Corano ci insegna che l’obbiettivo della differenza è metterci alla prova per sapere come reagiremo di fronte a ciò che ci è stato rivelato: l’ingiunzione ultima è di utilizzare le differenze per gareggiare nelle opere buone, recita il versetto: “Se Iddio avesse voluto, avrebbe fatto di voi una Comunità Unica, ma ciò non ha fatto per provarvi in quel che vi ha dato. Gareggiate dunque nelle buone opere”.

La diversità tra le religioni, le nazioni, i popoli è una prova per l’uomo affinché egli impari a gestire la differenza che è in sé una necessità, un altro versetto coranico dice: “… E se Iddio non respingesse gli uomini gli uni per mezzo d’altri, la terra si corromperebbe, ma Dio è pieno di grazia per il mondo”; se non esistessero differenze tra gli uomini, se il potere fosse di uno solo (di una nazione, di una razza o di una religione), la terra sarebbe traviata perché l’essere umano ha bisogno della presenza dell’altro per contenere le proprie velleità di espansione e di dominio. Un altro versetto è più preciso ancora per quanto riguarda il soggetto che ci interessa: “… E certo se Dio non  respingesse alcuni uomini per mezzo d’altri, sarebbero ora distrutti monasteri, sinagoghe, e oratori e templi nei quali si menziona il nome di Dio ripetutamente”. la menzione di diversi luoghi di culto ci vuole dire che esiste la diversità di religione, e che questa diversità serve proprio a proteggerle tutte, inoltre il fatto che la lista dei luoghi inizi con monasteri, sinagoghe e oratori prima di parlare di templi, ovvero di moschee, indica il riconoscimento coranico a tutti i luoghi di culto, alla loro inviolabilità e naturalmente al rispetto di coloro che vi pregano. Così come la diversità è la fonte della nostra prova, l’equilibrio delle forze è l’esigenza del nostro destino. E’ responsabilità dell’uomo trarre profitto da questa differenza, che potrebbe naturalmente condurlo al conflitto, per stabilire un rapporto di competizione nel bene. L’equilibrio delle forze non dovrebbe essere nel rifiuto o nell’ignoranza reciproca ma fondamentalmente nella conoscenza, Dio dice: “O uomini, in verità Noi vi abbiamo creato da un maschio e una femmina e abbiamo fatto di voi popoli vari e tribù affinché vi conosceste a vicenda”. La conoscenza dell’altro quindi l’obbiettivo della diversità ed è il passaggio obbligato per superare il timore della differenza e arrivare al reciproco rispetto. Così l’essere umano vive una prova necessaria nella sua natura ma che può- e deve- padroneggiare con lo sforzo della conoscenza, e del riconoscimento, di coloro che non appartengono alla sua tribù, al suo Paese, alla sua razza o alla sua religione.

Il Corano, cari amici, non invita i musulmani solo a dialogare ma insiste anche sulla forma che deve assumere il dialogo e sul modo in cui bisogna impegnarvisi. Non si tratta solo di uno scambio di saperi, ma è anche e soprattutto un modo di essere e di parlare, si dice nel Corano: “e discuti con loro nel modo migliore” o ancora “ E non disputate con la gente del Libro se non con le migliori maniere” e in un altro versetto ancora si dice: “Dio non vi proibisce di agire con bontà ed equità verso coloro che non vi combattono per religione e non vi hanno scacciato dalle vostre dimore, poiché Dio ama gli equanimi”. Questo versetto ci informa che se il dialogo è necessario e se il modo di parlare è importante, siamo qui invitati a stabilire legami di bontà e di giustizia con tutti gli esseri rispettosi della nostra libertà di coscienza e della nostra dignità umana. Il dialogo è una questione di convinzione, di ascolto, di saper essere e di cuore.

Naturalmente, cari amici, ciascun credente si impegna nel dialogo interreligioso alimentato da una fede o da una convinzione a partire dalla quella capisce se stesso, concepisce il mondo e stabilisce le relazioni con il proprio ambiente. La rivelazione islamica insegna il riconoscimento della pluralità e il rispetto per ciascuno, nel Corano è detto. “… e dite: “noi crediamo in quello che è stato rivelato a noi e in quello che stato rivelato a voi e il nostro e il vostro Dio non sono che un Dio solo”. E allo stesso modo le parole del compianto Papa Giovanni Paolo II, che disse durante un’udienza generale il 5 maggio del 1999: "Con gioia noi cristiani riconosciamo i valori religiosi che abbiamo in comune con l’islam. Vorrei oggi riprendere quello che alcuni anni fa dissi ai giovani musulmani a Casablanca: ‘Noi crediamo nello stesso Dio, l’unico Dio, il Dio vivente, il Dio che crea i mondi e porta le sue creature alla loro perfezione”.  Il dialogo interreligioso, cari amiche ed amici, si deve avviare e costruire a partire da questi valori e insegnamenti comuni, che aprono la strada al dialogo tra l’Islam e il Cristianesimo. E’ necessario quindi fondare il dialogo sulla conoscenza reciproca cercando di evidenziare le convinzioni, i valori, e le speranze comuni e circoscrivendo in modo chiaro le specificità, le differenze e anche le opposizioni. Dialogare significa innanzitutto rispetto dei diritti di tutti, senso del proprio essere limitati e capacità di ascolto dell’altro mettendo al centro il molto che ci unisce anziché il poco che ci divide.

Ci sono inoltre altre quattro regole che secondo noi sono altrettanto importanti per il successo del dialogo: la prima di queste è il riconoscimento e il rispetto della legittimità della convinzione dell’altro, non si può avviare un dialogo se non si riconosce la legittimità della convinzione altrui. Una cosa è non condividerla, un’altra è non riconoscergli, in fondo al proprio cuore, il diritto di esistere e rispettare la sua scelta.

In secondo luogo, bisogna ascoltare ciò che l’altro dice delle proprie fonti e non ciò che capiamo di essi (o vogliamo capire). E’ bene, quindi, evitare di trasformarsi in esegeti dei testi dell’altro. Non è né il nostro ruolo né la nostra specializzazione: tocca a lui dirci cosa capisce e/o cosa altri suoi correligionari capiscono di questo o quell’altro testo.

Terza regola è che ciascun partecipante dovrebbe attribuirsi il diritto di osare, nel nome della fiducia e del rispetto, di porre tutte le domande che lo assillano, certe volte anche le più imbarazzanti, poiché il nostro intento dovrebbe essere quello di cercare di capire. Le risposte potranno essere più o meno soddisfacenti, più o meno di nostro gusto, ma almeno le domande saranno comunque state poste chiaramente, in quanto la fiducia nasce solo dalla franchezza e dalla chiarezza: senza le quali finiremo nella messa in scena.

L’ultima regola consiste nella pratica dell’autocritica, consiste nel saper fare la differenza tra ciò che dicono i Testi e ciò che fanno i nostri correligionari e definire chiaramente la nostra posizione personale, poiché il dialogo implica chiarezza e coraggio: le nostre fonti scritturali sono state utilizzate o hanno legittimato (e ancora legittimano) discorsi, comportamenti e azioni nei confronti dei quali è necessario pronunciarsi con chiarezza. Non è sempre facile, eppure è imperativo e questo lavoro di autocritica interessa tutte le tradizioni religiose. Alcuni lo considerano una sorta di tradimento nei confronti della propria comunità: dovrebbe essere piuttosto, di fronte a Dio e nella coscienza di ciascuno, una questione di rispetto di sé e di dignità.

E’ indispensabile inoltre che gli uomini e le donne impegnati in questo genere di incontri diano conto della natura e delle conquiste di questi incontri a ciascuna delle rispettive comunità, per cercare di ampliare l’influenza di questo tipo di incontri, Essi devono fungere da interfaccia tra i loro interlocutori e i loro correligionari, dovrebbero impegnarsi a lavorare all’interno della propria comunità per informare, spiegare e addirittura insegnare. Per di più il peso del dialogo non dovrebbe ricadere solo su alcuni specialisti, in realtà la responsabilità del dialogo cade su tutti noi, il dialogo deve essere una parte ineliminabile della nostra cultura e della nostra convivenza; esso deve coinvolgere i comuni credenti non soltanto gli specialisti che sono per natura aperti e non hanno tutto questo bisogno di dialogare. Inoltre l’esperienza ci ha insegna che i dialoghi veri possono nascere e durare nel tempo solo quando questi nascono dal basso e sono alimentati dall’incontro fra i credenti delle varie religioni, la dimostrazione di questo sono gli incontri che periodicamente vengono organizzati qui a Cuneo.

Il dialogo da solo cari amici non basta, è urgente impegnarci insieme per difendere la dignità degli uomini nella società, battersi affinché la nostra società non generi frutti indegni, lavorare insieme per sostenere gli emarginati, per pretendere che i diritti di ciascuno siano rispettati, che le discriminazioni siano bandite, che la dignità sia difesa e che il metro economico cessi di essere l’unica misura del bene. impegnarsi come cittadini per far sentire le proprie preoccupazioni umane, il proprio desiderio di giustizia e di dignità, le proprie necessità morali, le proprie speranze come madri e padri … e impegnarsi a fare quanto possibile insieme per cambiare ciò che può essere cambiato. Sono tutte azioni che ci permettono sicuramente di conoscerci meglio ma soprattutto di far conoscere il messaggio fondamentale che illumina il cuore delle nostre tradizioni: non trascurare mai il tuo fratello in umanità e impara ad amarlo, quanto meno a servirlo.

Ancora il Papa Giovanni Paolo II disse all’Assemblea interreligiosa del 99:  “Il dovere che abbiamo noi consiste dunque nel promuovere una cultura del dialogo. Individualmente o collettivamente, noi dobbiamo dimostrare che il credo religioso ispira Pace, incoraggia la solidarietà, promuove la giustizia e difende la libertà

In conclusione di questo mio intervento vorrei leggervi alcuni passi della lettera intitolata “parole comuni” indirizzata da oltre 130 sapienti del mondo musulmano ai leader delle chiese cristiane come invito al dialogo, essa recita:

Insieme Musulmani e Cristiani formano ben oltre metà della popolazione mondiale. Senza pace e giustizia tra queste due comunità religiose non può esserci una pace significativa nel mondo. Il futuro del mondo dipende dalla pace tra Musulmani e Cristiani.

La base per questa pace e comprensione esiste già. Fa parte dei principi veramente fondamentali di entrambe le fedi: l’amore per l’unico Dio e l’amore per il prossimo. Questi principi si trovano ribaditi più e più volte nei testi sacri dell’Islam e del Cristianesimo. L’Unità di Dio, la necessità di amarLo e la necessità di amare il prossimo sono così il terreno comune tra Islam e Cristianesimo. Quelli che seguono sono solo alcuni esempi:

Dio dice nel Sacro Corano: Così invoca il Nome del tuo Signore e sii devoto a Lui con una devozione totale (Al-Muzzammil, Sura dell’avvolto nel manto 73:8). Sulla necessità dell’amore per il prossimo, il Profeta Muhammad (su di lui la Pace e la Benedizione Divina) disse: “Nessuno di voi ha fede finché non ama per il proprio prossimo ciò che ama per se stesso.”

Nel Nuovo Testamento, Gesù Cristo (su di lui la Pace)  disse: ‘Ascolta Israele, il Signore è il nostro Dio, il Signore è Uno, e tu amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua mente, e con tutte le tue forze.’Questo è il primo comandamento. / E il secondo è questo: ‘Tu amerai il tuo prossimo come te stesso.’ Non c’è altro comandamento più grande di questi.” (Marco 12:29-31)

Così nell’obbedienza al sacro Corano, come Musulmani invitiamo i Cristiani ad incontrarsi con noi sulla base di ciò che ci è comune, che è anche quanto vi è di più essenziale nella nostra fede e pratica: i Due Comandamenti di amore.

Facciamo quindi in modo che le nostre differenze non provochino odio e conflitto tra noi. Gareggiamo gli uni con gli altri solamente in rettitudine e in opere buone. Rispettiamoci, siamo giusti e gentili, e viviamo in pace sincera, nell’armonia e nella  benevolenza reciproca.

Brahim Baya

Fonte (riadattato): L’islam in occidente di Tariq Ramadan

Dialogo Cristiano-islamico: La Speranza del dialogo

Cuneo, 10 dicembre 2007



Giovedì, 06 novembre 2008