Dialogo con l’islam e le "porcate" di Calderoli.

di Normanna Albertini

Non abbiamo altra possibilità di vita sulla Terra se non attraverso la convivenza pacifica


“O credenti, se un malvagio vi reca una notizia, verificatela, affinché non portiate, per disinformazione, pregiudizio a qualcuno e abbiate poi a pentirvi di quel che avrete fatto.” Così recita un versetto della Sura XLIX del Corano, Al-hujurât, (Le Stanze Intime). E continua: “Se due gruppi di credenti combattono tra loro, riconciliateli. Se poi [ancora] uno di loro commettesse degli eccessi, combattete quello che eccede, finché non si pieghi all’Ordine di Allah. Quando si sarà piegato, ristabilite, con giustizia, la concordia tra di loro e siate equi, poiché Allah ama coloro che giudicano con equità.” Certo, il Corano si rivolgeva ai soli “credenti”, ma letto oggi in un’ottica “globale”, come, in fondo, altri libri sacri di altre religioni, il messaggio che ne deriva è quello di pace e concordia tra le genti. “O uomini, vi abbiamo creato da un maschio e una femmina e abbiamo fatto di voi popoli e tribù, affinché vi conosceste a vicenda.”, recita il versetto tredici della stessa Sura, la quale prende il nome dal versetto quattro: “Quanto a coloro che ti chiamano dall’esterno delle tue stanze intime... la maggior parte di loro non comprendono nulla.” che si conclude col cinque: “Se avessero atteso con pazienza finché tu non esca loro incontro, sarebbe stato meglio per loro.” . Ora, in tempi di proclami violenti, pericolosamente inneggianti al disprezzo e alla brutalità come quello dell’onorevole (? Onorevole in cosa?) Calderoli, credo che tutti coloro che si sentono uniti nel desiderare la pace e la concordia tra popoli e religioni, siano essi musulmani, o cristiani, o ebrei, o buddisti, o animisti oppure atei, agnostici, semplicemente laici, debbano evitare di tacere e denunciarne l’aberrazione. Non abbiamo altra possibilità di vita sulla Terra se non attraverso la convivenza pacifica, ma dobbiamo capire che essa non è “naturale”, innata, che forse, nell’uomo, è più forte lo spirito di sopraffazione e competizione che porta alle guerre e all’odio. Per questo le religioni, da millenni, hanno parole di conciliazione e riconciliazione, per chi le vuole sentire… “Religione” deriva da re - legare, unire, non dividere! I Calderoli di ogni parte del mondo (e di ogni credo), invece, usano la religione per erigere steccati, allontanare, dividere, difendersi. Da chi? Da chi non si vuol conoscere. “Abbiamo fatto di voi popoli e tribù, affinché vi conosceste a vicenda”: scendiamo in strada, in mezzo alla gente di ogni popolo e religione e li troveremo uguali a noi anche nel nostro essere diversi. Il primo passo per la convivenza è la conoscenza. Dobbiamo avere tutti il coraggio di farlo questo passo, musulmani, cristiani di ogni confessione, ebrei, buddisti, induisti, sikh, atei e quant’altro. Conoscerci e isolare, fermare gli integralismi e gli eccessi, anche quelli che succedono nelle moschee. Invece di invocare Dio dall’esterno delle sue stanze intime, perché non accoglierlo quando esce a noi incontro sotto le spoglie di una ragazzina marocchina, di un cattolico vicino di casa, di un simpatico ragazzo sikh? Leggete le testimonianze che riporto qui sotto e vedete quanto sono lontane dallo stereotipo di chi vorrebbe passeggiare con un maiale al guinzaglio per impedire di pregare a degli esseri umani.

Nessuno scontro di civiltà

Vengo da Casablanca, in Marocco, e sono di origine berbera.
Del popolo berbero mi è rimasta solo qualche parola, ho assorbito di più le tradizioni generali del Marocco.
Sono rimasta al mio paese fini a sei anni, ma già dai quattro vivevo con i miei nonni, perché i miei genitori erano venuti in Italia.
In casa c’erano due zie paterne, che per me sono state due mamme.
Ero l’unica bambina in una famiglia di maschi; ero la privilegiata, avevo tanto amore solo per me e questo mi manca.
Era un amore diverso da quello dei genitori, un amore particolare, che non si limitava al semplice rapporto zia nipote: tuttora chiamo mamme le mie zie.
Abbiamo una casa grande, giù in Marocco, ed era piena di gente e d’amore.
La zie, lo zio con i figli, un cugino di mio padre con i figli, i miei nonni: una casa piena.
Quando i miei genitori sono venuti in Italia, è stata mia nonna a chiedere che mi lasciassero con lei, perché mi voleva troppo bene.
Ho frequentato la prima elementare in Marocco, per fortuna, perché così ho imparato a leggere e scrivere la lingua araba; successivamente i miei genitori hanno deciso di portarmi con loro.
Abitavano in un comune del comprensorio ceramico e lì sono stata inserita in una seconda elementare. Non ho avuto tante difficoltà; ero piccola, avevo la mente aperta verso l’apprendimento di una nuova lingua, ho incontrato insegnanti bravissime e il clima della classe era accogliente.
Ero l’unica straniera nella scuola.
Graziana, Fiorana e Loretta sono state le mie maestre per cinque anni.
Sono arrivata nel comune di Castelnovo ne’ Monti in seconda media. Grazie al cielo anche questo cambiamento è avvenuto senza problemi.
Non ero più l’unica straniera in classe, né nella scuola.
Mi sono però impegnata tantissimo nello studio della lingua italiana; non potevo contare sull’aiuto dei miei genitori, mi ritrovavo da sola a fare i compiti ed ho imparato a fare fronte, da sola alle difficoltà.
Veramente alcuni amici italiani di mio padre, vicini di casa, si sono offerti spesso di darmi una mano, così, ogni volta che non capivo qualcosa, andavo da loro.
La mia prima migliore amica è stata un’italiana. Ora ho come migliore amica una marocchina che frequenta il mio stesso istituto.
Io amo leggere, amo leggere soprattutto la narrativa; è stata la mia passione per la lettura a facilitare la mia acquisizione della lingua italiana.
Non vivo sulla mia pelle nessuno scontro di civiltà: nei rapporti interpersonali riesco sempre ad abbattere quel muro che molte persone mettono tra una cultura e l’altra.
Riesco a comunicare agli altri le mie idee, ad ascoltare le loro, con rispetto, ma vedo che non è così per tutti.
Non credo che la violenza abbia un senso o una utilità, è solo distruttiva; ho speranza per il futuro, e la mia speranza è data dalla fede.
Sono molto religiosa, questo mi aiuta in tante cose, soprattutto nel vedere il domani.
Ho speranza e sono ottimista.
Devo la mia fede, e tutto ciò che sono, all’educazione che ho ricevuto, ai miei genitori.

Una tragedia non potersi esprimere

Della mia scuola, in Marocco, ricordo gli amici, poi gli spettacoli che organizzavamo.
Per il compleanno del nostro re, il 3 marzo, facevamo grandi feste, bellissime, e questi spettacoli erano all’interno di queste feste.
Io ballavo con gli altri bambini, c’erano tutte le famiglie a vederci.
Ricordo il mio primo grande esame, in quinta elementare. Quando abbiamo saputo di essere stati promossi, siamo usciti di scuola e abbiamo cominciato a festeggiare.
Avevo tre maestri; quello di matematica era anche il direttore della scuola, era molto rigido, a volte usava addirittura la bacchetta sulle mani degli allievi. Veramente a me è capitato solo una volta.
Avevo poi due insegnanti donne, una di arabo e una di francese.
In classe eravamo in 45, ovviamente di diversi livelli.
C’è da dire che gli alunni molto ricchi non vengono trattati come gli altri, e lì, essendo una scuola privata, di ricchi ce n’erano diversi.
Ricordo un ragazzo di questi che non aveva voglia di studiare, ma che veniva comunque aiutato ad andare avanti.
Io vivevo con mia mamma e mia nonna; mio padre era in Italia da tantissimi anni, da prima di sposarsi con mia madre.
Lo vedevo soltanto durante il ramadan. Non mi mancava, perché ero abituata ad averlo con me solo per quel periodo, era normale così.
Però, quando sono cresciuta e sono andata alle medie, ho cominciato a sentire nostalgia di lui e avrei voluto che vivesse con noi.
In realtà, in casa c’era un cugino di mia mamma- io lo chiamo zio- che non aveva figli e per me e mio fratello era come un padre.
Ogni volta che il mio papà tornava in Marocco, mi portava tanti regali: vestiti, cioccolata, altre cose buone da mangiare. Non gli ho mai chiesto com’era l’Italia, non mi interessava.
Io stavo benissimo con la mamma e la nonna, non avrei voluto cambiare vita.
Poi, un giorno, sono tornata da scuola e la mamma mi ha annunciato che saremmo partite per l’Italia. Ho detto: “Va bene, andiamo.”
Appena arrivata in Italia, mi sono trovata malissimo.
Non capivo cosa mi dicevano e non riuscivo a comunicare.
A scuola era una tragedia, per me, l’impossibilità di potermi esprimere, ma tenevo tutto dentro e nascondevo il disagio ai miei genitori.
Poi, un giorno, sono esplosa: sono andata dal preside e gli ho raccontato tutti i miei problemi, soprattutto gli ho spiegato degli episodi di razzismo che subivo in classe.
Quando mia madre l’ha saputo, ha pianto e anche mio padre è stato male.
Ora ho con mio padre un bellissimo rapporto, ci capiamo al volo, ci vogliamo un bene immenso, forse perché io e lui siamo uguali. E’ un uomo aperto, che parla con me e si fida di me.
Io so che non devo tradire la sua fiducia.
A distanza di due anni dal mio arrivo, a scuola va meglio, ho buoni risultati e mi sento più integrata.
In classe sono la più grande, ho due anni più degli altri, perciò, a volte, non capisco certi loro atteggiamenti un po’ immaturi e mi sento più adulta.
In una situazione così è difficile fare discorsi seri.
Mi sento però inferiore, perché loro padroneggiano meglio la lingua di me, e mi arrabbio quando vedo che, avendo tutte le possibilità, magari non le usano, impegnandosi poco nello studio.

Sogno di diventare presidente del Consiglio…

Ho 15 anni e sono italo-marocchina. Già: perché il mio papà è del Marocco e mia madre è italiana.
Da quando sono in grado di ricordare, la mia infanzia è sempre stata serena, proprio come dovrebbe essere quella di ogni bambino: un periodo di giochi e spensieratezza.
Per quattro anni ho vissuto da figlia unica, poi, nel ’ 95, è nata la mia prima sorellina, Chahrazad; dopo sono arrivati Ismail (che ora ha 7 anni), Karima (5 anni) e ora sta arrivando il quarto fratellino. Anche lui si aggiungerà alla nostra tribù, come ci piace chiamarci scherzosamente in casa.
Dalla nascita di mia sorella, e poi dei miei fratelli, le mie responsabilità e i miei impegni in famiglia sono cambiati ed aumentati.
A volte è un po’ gravoso dover essere da esempio per i miei fratelli minori, e a volte proprio mi pesa l’ impegno di dover aiutare in casa; eppure tutto ciò è stato un bene per me, mi ha fatto maturare e crescere più in fretta e mi ha formato con una grande forza di volontà.
Io mi sento un ’tassello’ del puzzle familiare, una tessera che non può mancare, perché in una famiglia di sei persone (fra due mesi saremo in 7) tutti dobbiamo dare e diamo il nostro contributo, così la famiglia può andare avanti.
E’ bello sentire che il nucleo familiare si costruisce e avanza anche grazie a te: la fatica si trasforma in soddisfazione.
I miei genitori mi hanno insegnato un grande rispetto per la famiglia e, anche se sono severi, pretendendo molto nello studio e negli hobbies, capisco che lo fanno affinchè io possa raggiungere i miei obiettivi e realizzare le mie aspirazioni.
Sono una gran sognatrice riguardo al mio futuro; mio papà e mia mamma mi aiutano con il loro atteggiamento, insegnandomi che, per realizzare i sogni, ci vuole costanza e impegno, che il sogno da solo non basta.
Adesso frequento l’istituto superiore ’Città del Tricolore ’ ad indirizzo linguistico.
La scuola mi piace molto e mi sono accorta di avere buone capacità con le lingue. Per ora studio inglese e tedesco, ma dal prossimo anno comincerò anche lo spagnolo.
Mi piace l’idea di sfruttare la mia conoscenza di altre lingue per costruire su quello il mio futuro.
Tuttavia la mia passione sono la politica e l’impegno sociale.
Ho degli ideali e mi piace agire concretamente nel mio piccolo per riuscire a cambiare e costruire un nuovo futuro, un ’nuovo mondo’ per la mia generazione e per quelle a venire.
Senza un ideale o l’ ambizione di poter cambiare quel che non ci piace, che senso avrebbe la nostra vita? Se la vita è un cammino, allora io la voglio percorrere e non limitarmi a seguire le impronte di altri o a camminarci senza uno scopo.
Giusto perché mi piace sognare, sogno… e vorrei un giorno arrivare ad essere Presidente del Consiglio. Già: una presidente donna, con un padre di origine straniera…
Ma forse i sogni possono diventare realtà, o perlomeno è importante tentare di raggiungerli. Dopotutto, anche negli Stati Uniti d’America Obama si è candidato come presidente.
Tornando con i piedi per terra: ho accettato di partecipare agli incontri delle ’Donne del mondo ’ con entusiasmo, perché mi piace scoprire nuove realtà, nuove cose, nuove persone e, dopo questa bella esperienza vissuta per curiosità, mi sono accorta di come la speranza di una società multiculturale parta proprio da piccole ma importanti realtà come questa.
Le differenze che abbiamo incontrato hanno solo dato un tocco di colore in più alla nostra esperienza, ma ciò che più conta è che abbiamo trovato moltissime cose da cui partire per costruire qualcosa.
La diversità, invece di essere un ostacolo, come ci si poteva aspettare, è diventata l’inizio di un percorso, un supporto, le prime pietre delle fondamenta su cui proseguire nella costruzione di un ’mondo migliore’ .



Domenica, 16 settembre 2007