Sesta Giornata del Dialogo CristianoIslamico
11 Ottobre - Comunità La Collina - Serdiana

COSTRUIRE SPERANZA E CONVIVIALITA’

di Pierpaolo Loi

Ringraziamo Pierpaolo Loi per averci messo a disposizione la traccia dell’intervento da lui tenuto in occasione della 6a giornata del Dialogo svoltasi nella Comunità "LA Collina" di Serdiana (CA)


SPERANZA
Dopo aver ascoltato Mohammed, che ha attinto alle fonti della sua religiosità, al Corano, vorrei soffermarmi sul significato di queste due parole: speranza e convivialità, a partire dalla riflessione che troviamo nelle Scritture ebraiche e cristiane.
La “speranza” per i cristiani è una delle tre virtù “teologali”, cioè che hanno attinenza diretta con Dio (dono di Dio): fede, carità e speranza. È tuttavia una virtù abbastanza trascurata: si parla di fede (talvolta anche troppo) e di carità o amore (spesso parola svuotata di senso), ma senza la speranza, manca la messa in crisi dell’esistente. Il principio-speranza (il filosofo marxista Ernest Bloch) genera il cammino che si apre camminando, spinge l’utopia, il non-luogo a prendere forma concreta. In un mondo dove tutto sembra determinato dalle forze storiche dominanti - le potenze di questo mondo, direbbe l’apostolo Paolo - solo la speranza in un mondo nuovo, diverso diventa sorgente di vita nuova.

La Speranza nella Bibbia ha una pluralità di significati, mi piace sottolinearne due:

1. indica fiducia nel futuro, nella promessa che Dio ha fatto di non abbandonare l’umanità in balia del male; attesa fiduciosa di un tempo nuovo, di rinnovamento della vita personale e collettiva, generalmente dopo un periodo difficile, di carestia, fame, guerra (di distruzione); pensiamo alla distruzione del Tempio di Gerusalemme e della nazione ebraica, della deportazione e dell’esilio in Babilonia (VI sec. a.C.); la speranza di un Messia Liberatore…o, per i seguaci di Gesù, la speranza dell’imminente ritorno del Signore Risorto;

2. allo stesso tempo significa pazienza, perseveranza, resistenza durante la persecuzione, resistenza nel conservare le proprie tradizioni, l’attaccamento ai propri valori morali e religiosi più alti (alla Torah, l’insieme dei comportamenti derivati dall’alleanza del Sinai, vissuti come presenza di Dio nella storia del popolo): l’atteggiamento fondamentale di coloro che resistono al male e perseverano nel bene.

Il credente (gli amici musulmani lo sanno molto bene) ripone la sua fiducia totale in Dio, si abbandona al Trascendente: il futuro assoluto è nelle mani di Dio (escatologia). Tuttavia, resta il futuro intramondano, dentro la storia, progettabile, che è affidato all’umanità. Abramo ebbe fede sperando contro ogni speranza e così divenne padre di molti popoli, come gli era stato detto, afferma Paolo nella Lettera ai Romani (Rom 4,18).

Credo che per ogni persona umana, si dichiari essa “religiosa” o meno, al di là dei confini della “religione” storica di appartenenza o in cui si riconosce, o anche per chi non si riconosce affatto in una religione, la speranza sia una dimensione (antropologica) fondamentale: andare oltre il presente, perseverare operando il bene, resistere e costruire un mondo nuovo, il che è possibile.
Il nostro mondo occidentale è in gran parte sazio di beni, di crescita economica, ma si sta impoverendo di spiritualità: solo la spiritualità apre le persone al mistero della Creazione, genera soffi di fraternità nella condivisione e nella gioia della sobrietà. La speranza è soprattutto il pane dei poveri (Jurgen Moltmann, Teologia della speranza). E noi sazi di beni, dobbiamo cercare in loro la speranza (come ci ha ricordato il piccolo fratello Giovanni).

CONVIVIALITÀ
La Bibbia ebraico-cristiana è intrisa di “convivialità”, tipica delle culture mediterranee. Il banchetto, la mensa è il luogo in cui si creano i legami comunitari: la celebrazione nuziale, in primo luogo. Ma non solo: Abramo, padre della fede per Ebrei, Musulmani e Cristiani, nell’episodio delle quercie di Mamre, imbandisce la tavola per i tre forestieri. L’ospitalità comporta sempre il condividere il cibo, lo spezzare il pane; il fare entrare l’altro in casa, farlo accomodare alla propria mensa.
Il banchetto è il luogo dell’alleanza tra Dio e il popolo liberato dalla schiavitù… (Mosé e il banchetto pasquale).
Per Gesù il banchetto è un segno del Regno di Dio, al quale sono invitati tutti, anche coloro che normalmente sono esclusi dalla vita sociale: i miseri, gli storpi, i ciechi, i lebbrosi (alle nozze di Cana, o alle nozze del Figlio del re nella parabola raccontata da Gesù, al cui banchetto non si presentano gli invitati ufficiali che trovano delle scuse, allora il re richiama le categorie più umili: oggi diremo lavavetri, zingari, immigrati clandestini…).
Penso con preoccupazione e indignazione a ciò che sta succedendo nella nostra Italia che si dice ancora “cristiana”: con il pretesto della sicurezza, si dà la caccia al diverso (in questo periodo in modo particole alle minoranze etniche come i Rom, si bruciano campi nomadi, si deportano intere comunità perché non si trovano territori in cui le popolazioni siano disposte a convivere con gli altri). Si esprime nelle parole e nei gesti un odio che ci riporta indietro al tempo dei pogrom dei nazi-fascisti: rigurgiti di xenofobia e di razzismo.
Noi tutti abbiamo un compito importante: dobbiamo operare perché non vinca la paura dell’altro, ma predomini la consapevolezza che è possibile non solo la “tolleranza” reciproca, ma anche il rispetto, l’amicizia e la condivisione di beni e di speranze nella “convivialità delle differenze”, come l’esperienza della Collina dimostra quotidianamente.

Pierpaolo Loi



Mercoledì, 21 novembre 2007