Lettera alle donne e agli uomini di buona volonta’ in occasione della sesta giornata ecumenica del dialogo cristiano - islamico

di Brunetto Salvarani

Cari amici ed amiche, fratelli e sorelle,
il 5 ottobre 2007, ultimo venerdì del mese di Ramadan dell’anno Hijri 1428 prima della festività di Id Al Fitr, celebreremo la sesta giornata ecumenica del dialogo cristianoislamico.
Ancora una volta devo confessare che allorché, all’indomani dell’11 settembre 2001, assieme ad altri amiche ed amici del dialogo lanciammo in rete l’appello all’origine di questa esperienza, i miei sentimenti spaziavano tra lo scetticismo e la fiducia. Certo, non avrei scommesso molto che sei anni dopo ci saremmo ritrovati per un altro appuntamento, e soprattutto che la nostra giornata - in sordina, leggermente, con la forza del passaparola, senza troppi clamori né particolari attenzioni da parte dei media - avrebbe preso piede, divenendo un punto di riferimento per il cammino del dialogo interreligioso nel nostro Paese. Era anche difficile immaginare, del resto, la vera e propria escalation che oggi tocchiamo con mano nel percepire come senso comune lo scontro fra le civiltà, le accuse al dialogo (di irenismo, buonismo, ingenuità, nel migliore dei casi) e il clima di “dalli al diverso” che vede quale principale obiettivo, inevitabilmente, il musulmano…
Nell’appello di quest’anno, come organizzatori della giornata scrivevamo di sentire come assai pressante la necessità di rilanciare in Italia i temi del dialogo interreligioso, in particolare quello con l’islam, che vediamo sempre più minacciato e ricacciato indietro, alla luce anche delle recenti vicende giudiziarie che hanno visto coinvolti studiosi e amici del dialogo come gli esperti di islam Stefano Allievi e Paolo Branca (entrambi firmatari del nostro appello): “In questi anni si sono moltiplicate le giornate istituzionali di dialogo: in realtà i mezzi di comunicazione di massa non cessano di suonare la marcia funebre della guerra e dell’odio fra le nazioni, i popoli, le religioni, le culture diffondendo razzismo e violenza. La differenza, come sempre, la può fare l’iniziativa dal basso, quella che rompe gli schemi delle persone intruppate nelle rispettive appartenenze, quella che mette a contatto donne e uomini delle varie religioni o senza religione che si incontrano per dire che non ne possono più di odio e di religioni al servizio dei potenti di turno, che spingono i propri aderenti a combattere contro altre donne e uomini di fede diversa”.
Mentre mi piace ricordare che, nella terza assemblea ecumenica europea di inizio settembre a Sibiu, in Romania, i delegati italiani hanno approvato una mozione che invitava gli estensori del messaggio finale a valutare la possibilità di estendere tale esperienza su scala europea. Un dato rilevante, al di là del fatto che nel testo conclusivo, in realtà, la cosa non compaia, pagando verosimilmente la scarsa attenzione rivolta nel complesso al tema del dialogo interreligioso.
Se la giornata ha saputo attraversare indenne questi anni affannosi, densi di slogan beceri e trovate politiche di dubbio gusto su cui il tacere è bello, è perché, in realtà, al dialogo non esiste alternativa. Il problema, piuttosto, riguarda, da un lato, la sua effettiva praticabilità, in un contesto di reiterate strumentalizzazioni e di un ascolto reciproco ancora raro; e, dall’altro, i suoi contenuti, quelli di un termine che rischia il depotenziamento a causa sia del suo abuso sia della sua banalizzazione. Ecco allora che, opportunamente, il comitato organizzatore, di anno in anno allargatosi fino a comprendere molte riviste e associazioni ecclesiali, ha proposto per il 5 ottobre 2007, quale auspicio, il motto Costruire speranza e convivialità. Con l’obiettivo di riempire di contenuti concreti, soprattutto sul piano educativo e politico, le decine di eventi previsti (fra cui l’originale proposta dell’operazione Moschea aperta, avviata da alcuni intraprendenti giovani musulmani, che vede oltre venti luoghi di culto islamici disponibili ad aprire le porte a tutti quello stesso giorno, in segno di accoglienza e trasparenza). In che direzione? Proverò a riflettervi brevemente, suggerendo alcune piste che potrebbero risultare utile in vista della realizzazione della giornata.
Il primo criterio per un dialogo interreligioso fruttuoso è, infatti, il favorire la maturazione di un atteggiamento positivo verso le altre fedi. Questo è il filo rosso del Vaticano II, ma anche del lungo pontificato di Giovanni Paolo II, e della Charta Oecumenica sottoscritta da tutte le chiese europee: “L’educazione e la formazione al dialogo interreligioso, o a una vita di amicizia e di simpatia con persone di altre religioni - scrive il saveriano padre Franco Sottocornola, forte di una lunga esperienza diretta in Giappone - deve anzitutto cercare di creare questo atteggiamento generale col quale noi sottolineiamo quello che è positivo, buono, bello nell’altra religione piuttosto che i suoi aspetti negativi, e poniamo l’accento su tutto quello che unisce o favorisce la collaborazione e l’amicizia, piuttosto che su ciò che divide”.
Si tratta, in vista di tale acquisizione, di avviare un percorso che potrà rivelarsi anche lungo e complesso: inutile farsi troppe illusioni (ma anche fasciarsi la testa prima di averci provato seriamente, beninteso!). Ecco dunque alcune indicazioni di metodo che favorirebbero tale incontro, rendendolo meno drammatico. Prima di tutto, il dialogo interreligioso dovrà maturare nel quadro di un riconoscimento che chi dialoga non sono le religioni (entità astratte) bensì donne e uomini in carne ed ossa, con storie, vissuti, sofferenze, speranze, peculiari e irripetibili. Non sembri una considerazione banale, o scontata: quanti errori sono stati compiuti, e continuano a farsi, a causa di una lettura tutta ideologica e metafisica dell’altro! Gli esempi si sprecherebbero... In primis, andrebbero perciò costruite delle occasioni di incontro, in ambienti che favoriscano il contatto effettivo. Occorrerà poi una buona conoscenza reciproca degli interlocutori coinvolti: conoscenza intellettuale, dei testi e dei documenti ufficiali delle chiese e delle religioni (imparare le religioni), certo, ma anche umana, a partire da un atteggiamento sincero di ascolto delle narrazioni altrui (imparare dalle religioni).
Operare assieme in qualche settore specifico, ad esempio, affrontando problemi sociali o discriminazioni palesi, potrebbe poi rendere più convincente un rapporto interreligioso. Valorizzare esperienze e testimonianze vissute, quindi, soprattutto agli occhi dei più giovani - giustamente refrattari alle eccessive teorizzazioni - faciliterà senz’altro il cammino: con l’approccio diretto, quando sia possibile, e la visita ai diversi luoghi delle comunità.
Un’ultima considerazione riguarda la necessità di investire maggiormente nella preparazione e formazione di giovani che si accingano a svolgere un ruolo di guida e di stimolatori sul tema del dialogo nelle diverse comunità. Ecco allora l’importanza di ricentrare i curricula degli studi teologici facendo attenzione al dialogo interreligioso e alla conoscenza delle religioni altre, ma anche la pastorale delle parrocchie, la vita delle chiese e delle comunità, i programmi dei movimenti, e così via. L’obiettivo è quello di uscire dal falso presupposto secondo cui il dialogo interreligioso sarebbe un’attività riservata agli specialisti, e, parlo da cattolico, assumere come caso serio l’invito dell’enciclica di Giovanni Paolo II Redemptoris Missio, per cui “tutti i fedeli e le comunità cristiane sono chiamati a praticare il dialogo interreligioso” (n.57). Anche perché oggi non possiamo più negare che “senza dialogo, le religioni si aggrovigliano in se stesse oppure dormono agli ormeggi… o si aprono l’una all’altra, o degenerano (R.Panikkar).
La grande sfida che ci attende oggi è di evitare una lettura delle differenze esistenti, anche profonde, come uno scontro tra il bene e il male, di rifuggire l’identificazione tra un islam astratto e l’incarnazione del male, di rifiutare la demonizzazione dell’altro. Per riuscire in tale impresa, ciascuno dovrà fare appello alla ragione di cui tutti sono muniti e che, nel suo fecondo intrecciarsi con i dati della rivelazione, ci può finalmente ricondurre sulle vie della pace e della fratellanza umana. Abbiamo bisogno di guardare alle nostre differenze non come ad idoli da adorare ma come arricchimento reciproco verso una vita piena di amore, quell’amore che per cristiani e musulmani caratterizza l’essenza stessa di Dio. Se uno dei nomi di Dio della tradizione islamica è Al-Wadud, L’amorevole, sappiamo dalla Bibbia che “da questo conosceranno tutti che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri” (1Gv 13,35). Non dimentichiamolo, il prossimo 5 ottobre, una giornata di speranza e convivialità.

Con i più fraterni auguri di shalom - salaam - pace


Brunetto Salvarani
Carpi, 4 ottobre 2007



Giovedì, 04 ottobre 2007