Costruire speranza e convivialità

di Brunetto Salvarani

Il 5 ottobre scorso si è celebrata in tutta Italia, per il sesto anno consecutivo, la Giornata ecumenica del dialogo cristiano-islamico.
Le testate giornalistiche «che contano» hanno in larga parte ignorato l’evento, perché le religioni fanno notizia solo se producono folklore o causano massacri, ma mai quando fungono da catalizzatrici di speranza.


Riprendiamo questo articolo dell’amico Brunetto Salvarani dal numero di Novembre 2007 di Confronti (per contatti http://www.confronti.net)


«Sai? – mi diceva un’amica per telefono l’altro giorno – questa vostra “trovata” della giornata dell’islam, con l’aria che tira, ha proprio il sapore di un miracolo all’italiana!». Da parte mia, non posso che sottoscrivere in pieno. In tempi di «maiale-day» (che personalmente, da buon modenese, festeggerei gioiosamente se si trattasse di levare le dovute lodi a quell’animale meraviglioso e ingiustamente denigrato di cui non si getta via nulla) e di islamofobia diffusa, appare davvero sorprendente che, per la sesta volta, si sia riusciti a celebrare in tutta Italia la Giornata ecumenica del dialogo cristiano-islamico. Fra l’altro, ancor più sottovoce del solito in quanto a resa mediatica, perché le religioni finiscono sulle gazzette che contano solo se producono folklore o causano massacri, ma mai allorché fungono da catalizzatrici di speranza (è passato sotto silenzio anche il bel messaggio inviato per l’occasione dal presidente della Camera Bertinotti al direttore di questo mensile, in relazione alla giornata stessa). Eppure, attorno al 5 ottobre 2007/1428 dall’egira, ultimo venerdì di Ramadan, a fare memoria di un gesto di assoluta nonviolenza da parte di Giovanni Paolo II pochi mesi dopo l’attentato dell’11 settembre 2001, la condivisione del digiuno che fratelli e sorelle musulmani effettuano in quel mese carico di una spiritualità specialissima, si sono tenute decine di appuntamenti: in chiesa o in moschea, nella sala del consiglio comunale o nelle sedi dell’associazionismo sociale. Segno, una volta di più, di un bisogno vasto e articolato, non intercettato dagli attori ufficialmente ad esso deputati. Senza molte «coccole» (per dirla col cardinal Kasper a Sibiu), e con parecchia parresìa, sono così risuonate le parole d’ordine della giornata: costruire speranza e convivialità, appunto, a partire dal basso; smetterla con le kermesses e le parate ad effetto, per puntare ai temi strategicamente decisivi, dalla promozione dell’interculturalità nella scuola al monitoraggio dell’informazione sull’islam, dall’urgenza di fornire una cornice istituzionale alla presenza islamica nella nostra penisola alla richiesta di un modello italiano per l’integrazione della popolazione immigrata, e così via.

Va segnalato fra l’altro che, nella terza Assemblea ecumenica europea di Sibiu, i delegati italiani avevano approvato una mozione che invitava gli estensori del messaggio finale a valutare la possibilità di estendere tale esperienza su scala europea. Un dato rilevante e che segnala la straordinarietà dell’iniziativa italiana, al di là del fatto che nel Messaggio finale in realtà, la cosa non compaia, pagando verosimilmente la scarsa attenzione rivolta nel complesso in Romania al tema del dialogo interreligioso.

Nell’appello di quest’anno, gli organizzatori della Giornata affermano di sentire come assai pressante la necessità di rilanciare il dialogo con l’islam, sempre più minacciato e ricacciato all’indietro, alla luce anche delle recenti vicende giudiziarie che hanno visto coinvolti studiosi e amici del dialogo come gli esperti di islam Stefano Allievi, Renzo Guolo e Paolo Branca: «In questi anni si sono moltiplicate le giornate istituzionali di dialogo: in realtà i mezzi di comunicazione di massa non cessano di suonare la marcia funebre della guerra e dell’odio fra le nazioni, i popoli, le religioni, le culture diffondendo razzismo e violenza. La differenza, come sempre, la può fare l’iniziativa dal basso, quella che rompe gli schemi delle persone intruppate nelle rispettive appartenenze, quella che mette a contatto donne e uomini delle varie religioni o senza religione che si incontrano per dire che non ne possono più di odio e di religioni al servizio dei potenti di turno…».

La grande sfida che ci attende è, in effetti, di evitare una lettura delle differenze esistenti, anche profonde, come uno scontro tra il bene e il male, di rifuggire l’identificazione tra un islam astratto e l’incarnazione del male, di rifiutare la demonizzazione dell’altro. Il rischio di farsi prendere dalla sfiducia, dalla stanchezza, dalle delusioni, è molto alto! Forse, bonhoefferianamente, nella presente stagione siamo chiamati non tanto ad edificare le «grandi cattedrali», bensì a fare piccoli passi, seminando buone pratiche per le generazioni di domani… Oggi abbiamo bisogno di educarci a guardare alle nostre differenze non come ad idoli da adorare, ma come arricchimento reciproco verso una vita piena di amore, quell’amore che per cristiani e musulmani caratterizza l’essenza stessa di Dio. Se uno dei nomi di Dio della tradizione islamica è Al-Wadud, l’Amorevole, leggiamo nella Bibbia che «da questo conosceranno tutti che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri» (1Gv 13,35). Non dimentichiamolo, in vista della prossima giornata, la settima. Come direbbe la mia amica, del prossimo «miracolo all’italiana».


Brunetto Salvarani



Giovedì, 08 novembre 2007