Dialogo cristianoislamico
La carità nel mondo musulmano

di Rosario Amico Roxas

La carità nel mondo musulmano non è, limitatamente, il gesto di elargire un modesto contributo per la sopravvivenza a chi non dispone di nulla.

L’elemosina, espressione della "carità" islamica è molto simile al concetto di carità cristiana, in quanto contiene in sé la solidarietà che si deve avere verso i propri simili più deboli e più bisognosi.
Come la carità cristiana essa include sia “dar da mangiare agli affamati” che “vestire gli ignudi, dar da bere agli assetati, ospitare i pellegrini (che si intreccia con il viaggio rituale alla Mecca), confortare gli infermi, sostenere i più deboli”.

Fin dai primi versetti del Corano l’elemosina viene indicata come uno dei pilastri dell’Islam; era chiamata “decima” (zakat) ed era una elemosina obbligatoria, che veniva prelevata sul capitale, non sul reddito, veniva usato anche il termine “sadaqat”, ma in questo caso si faceva riferimento più alle entrate pubbliche, che alle elemosine, per cui anche le entrate pubbliche diventano un dovere che il cittadino deve compiere in misura delle sue possibilità.
Il radicale del termine zakat (zkt, semantema puro), di origine aramaica, è assimilato al concetto di purificazione, infatti la decima, pagata nelle mani dei percettori incaricati a tal fine, rappresenta la purificazione dei beni, serve per aiutare otto ben identificate categorie di persone:

“Le elemosine sono per i bisognosi, per i poveri, per quelli incaricati di raccoglierle, per quelli di cui bisogna conquistarsi i cuori, per il riscatto degli schiavi, per quelli pesantemente indebitati, per la lotta sul sentiero di Dio, per i viandanti. (Corano, IX, 60)

Alcune di queste categorie meritano un commento, per chiarire meglio di chi si tratta, come “..quelli incaricati di raccoglierle”, si tratta, chiaramente dello stipendio da elargire ai funzionari addetti alla riscossione delle imposte, per cui siamo più nel campo delle entrate pubbliche (sadaqat), che non della elemosina.

“Quelli di cui bisogna conquistarsi i cuori” sono i neo convertiti, ai quali bisogna far sentire la solidarietà umana dell’Islam.

C’è poi la distinzione tra “poveri” e “bisognosi”, che non è casuale, infatti per bisognosi si intendono i musulmani, mentre i poveri sono i cittadini non musulmani.

Il riscatto degli schiavi è un punto fermo dell’Islam, che, pur non condannando la schiavitù che esisteva da secoli tra i popoli pre-islamici, tende alla loro progressiva liberazione e all’eliminazione di questa condizione, destinando una parte delle entrate dello Stato musulmano per la loro liberazione.

Nel termine zakah c’è, letteralmente, l’idea di purificazione. E’ una tassa, un’imposta che ha una funzione sociale, poiché essa è prima di tutto destinata direttamente al sostentamento dei poveri, dei bisognosi, dei viaggiatori.

Ha anche una funzione spirituale, quella di purificare i beni, gli averi, come la preghiera purifica l’essere ed il digiuno purifica il corpo.
La zakah è quindi una tassa sociale purificatrice attraverso la quale si purifica ciò che si possiede, proprio come si deve purificare se stessi attraverso un intenso lavoro spirituale.

Che cosa esprime questa tassa? Da una parte che, anche quando si è con Dio, si deve restare coscienti di quello che Egli ci dona e non dimenticare mai la relazione che abbiamo con l’Altissimo nella gestione del nostro patrimonio. Non c’è una frattura tra le due sfere. E’ il senso di purificazione del quale parliamo.

Esiste, certamente, anche una dimensione orizzontale, comunitaria. E’ questa una prospettiva sempre presente nell’islam. Io sono solo con Dio sapendo che Egli mi dà, ma sono con la comunità sapendo che anch’io devo dare.

Due cose si devono mettere in evidenza. La zakah è un incoraggiamento all’investimento economico perché riguarda l’intero patrimonio di ciascuno. Bisogna dunque produrre ricchezza. Bisogna aggiungere inoltre che la zakah fa nascere e radica nell’uomo la coscienza di essere un membro molto solidale della società.

Questa concezione, ben conosciuta in Europa, è un elemento fondatore dello spazio sociale islamico: è il diritto del povero.

E’ scritto nel Corano che i credenti sono coloro che sono coscienti del: “ diritto per il povero ed il bisognoso” che c’è nei loro beni.
La formula è chiara ed attribuisce a colui che possiede, l’esigenza di dare; al povero, la dignità di ricevere e di rivendicare il suo diritto, e non di restare in attesa solo dell’inclinazione caritatevole dei suoi simili.

Alla luce della trascendenza, la solidarietà si traduce in responsabilità e diritto, non nel valore della sola bontà, commossa dalla mendicità di un suo simile. Questo può accadere ma rappresenta il margine della solidarietà e non il principio.

Ritroviamo qui le dimensioni della verticalità esigente e dell’orizzontalità rigorosa e sempre fraterna.
Inizialmente i concetti di elemosina e di entrate dello Stato si confondevano; man mano che la forma giuridica dello Stato prendeva forma e ordine, i due aspetti tendevano a differenziarsi.

Oggi l’elemosina è un cardine della religione che nulla ha a che vedere con le imposte, anche se i fruitori privilegiati delle entrate dello Stato sono sempre le fasce più deboli della popolazione, stante il fatto che, nella programmazione dello sviluppo economico, gli stati arabo-islamici tendono sempre verso uno sviluppo equilibrato, del quale possono fruire indistintamente tutti i cittadini.

La stessa logica viene seguita nella importazione di talune merci; malgrado il progressivo abbattimento dei dazi doganali, a seguito degli accordi GATT, gli Stati arabi che maggiormente commerciano con l’Occidente si sono riservati il diritto di applicare una “tassa di consumo” che mira, prevalentemente, a impedire l’uso indiscriminato del superfluo; i superalcoolici sono tassati del 750%, e non solamente per motivi religiosi, le pellicce e le auto di lusso del 100/350%, in questo modo coloro i quali hanno la possibilità economica di utilizzare beni di lusso contribuiscono fortemente ad incrementare le entrate dello Stato, che provvede a pianificare, verso l’alto, il livello della qualità della vita dei suoi cittadini senza alcuna distinzione.

Negli Stati arabo-musulmani i redditi più elevati sono tassati in maniera progressiva (tasse dirette), mentre le tasse indirette sono le più basse del mondo, perché si ritiene ingiusto che un ricco sia ugualmente tassato di un povero nell’acquisto dei beni indispensabili per i consumi di primo livello, quelli destinati alla sopravvivenza ed a un minimo di qualità della vita.
A stimolare il legislatore verso queste scelte è il contenuto del Corano, ispirato alla solidarietà, specialmente rivolta verso i meno fortunati.
La decima, che è un’entrata dello Stato, serve anche per il consolidamento della difesa dello Stato stesso.
Analizzando bene il contenuto di questo cardine della religione islamica, che coinvolge le strutture stesse dello Stato, possiamo affermare che l’Islam ha molto contribuito alla formazione di uno Stato sociale, dove la soddisfazione dei bisogni primari è ritenuta come un diritto paritario di tutti i cittadini.
L’Occidente arriverà a riconoscere queste esigenze solo dopo la rivoluzione francese (libertà, uguaglianza, fraternità), ma, più concretamente, solo dopo la divulgazione, alla fine del 1800, dell’Enciclica sociale di Leone XIII “Rerum Novarum”, che trasferì le occasionali elargizioni o generosità dal paternalismo medioevale alla categoria dei diritti inalienabili di tutti gli uomini.

L’elemosina nell’Islam rappresenta, quindi, non solamente un atto di sostegno ai più bisognosi, ma acquista un significato più ampio, è la solidarietà che ogni musulmano deve manifestare concretamente verso la propria umma.



Giovedì, 26 luglio 2007