5 ottobre 2007, ultimo venerdì del Ramadan 1428 e sesta Giornata ecumenica del dialogo cristianoislamico: tre indicazioni per un solo giorno del calendario. Esemplari per evidenziare il processo di moltiplicazione degli sguardi religiosi con cui, anche nel nostro Paese, si legge la realtà; ma anche per dire apertamente il bisogno di più dialogo, di un dialogo più qualificato, su cui le chiese cristiane italiane - così come le comunità musulmane - investano, come unico linguaggio credibile per dire Dio oggi. E questa, per il cristiano, la via maestra, sulla spinta conciliare di Nostra Aetate, della pedagogia dei gesti di Giovanni Paolo II, della Charta Oecumenica e del discorso di Benedetto XVI alle comunità islamiche di Colonia, ai margini dellultima GMG. Poi venne Ratisbona, coi noti fraintendimenti, ma anche Istanbul, in cui la necessità scandalosa dellaprirsi allalterità è apparsa chiara soprattutto nella sosta orante di papa Ratzinger alla Moschea Blu: “Questa visita ci aiuterà a trovare insieme i modi, le strade della pace per il bene dellumanità”, come disse al Gran Muftì che gli era accanto nelloccasione. Nellappello di questanno gli organizzatori della Giornata affermano di sentire la pressante necessità di rilanciare i temi del dialogo interreligioso, in particolare con lislam, che vedono sempre più minacciato e ricacciato indietro. In un simile panorama non era scontato che lesperienza della Giornata, ideata allindomani dell11 settembre 2001 con lappello firmato da un gruppo qualificato di cristiani di varie confessioni e impostasi col passaparola, senza amplificazioni mediatiche, potesse giungere alla sua sesta edizione. Mentre va segnalato che, nella recente assemblea ecumenica di Sibiu, i delegati italiani hanno approvato una mozione che invitava i responsabili a valutare la possibilità di estendere liniziativa su scala europea. Se la Giornata ha saputo imporsi è perché, in realtà, al dialogo non cè alternativa. Il problema, semmai, riguarda, da un lato, la sua effettiva praticabilità, in un contesto di reiterate strumentalizzazioni e di un ascolto reciproco ancora raro; e, dallaltro, i suoi contenuti, quelli di un termine che rischia il depotenziamento a causa del suo abuso e della sua banalizzazione. Ecco allora che, opportunamente, il comitato organizzatore, via via allargatosi fino a comprendere molte riviste e associazioni ecclesiali, ha proposto per il 5 ottobre il motto Costruire speranza e convivialità. Con lobiettivo di riempire di contenuti concreti, soprattutto sul piano educativo, le decine di eventi previsti (fra cui loriginale proposta delloperazione Moschea aperta, avviata da alcuni intraprendenti giovani musulmani, che vede oltre venti luoghi di culto islamici disponibili ad aprire le porte a quanti vorranno, in segno di accoglienza e trasparenza). La grande sfida che ci attende è di evitare una lettura delle differenze esistenti, anche profonde, come uno scontro tra il bene e il male, rifuggirendo lidentificazione tra un islam astratto e lincarnazione del male e rifiutando la demonizzazione dellaltro. Per riuscire nellimpresa, ciascuno dovrà fare appello alla ragione di cui tutti sono muniti e che, nel suo fecondo intrecciarsi coi dati della rivelazione, potrà finalmente ricondurci sulle vie della pace e della fratellanza umana. Se uno dei nomi di Dio della tradizione islamica è Al-Wadud, Lamorevole, la Bibbia ricorda che “da questo conosceranno tutti che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri” (1Gv 13,35). Non dimentichiamolo, il 5 ottobre, giornata di speranza e convivialità. Brunetta Salvarani
Lunedì, 01 ottobre 2007
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