Sul Battesimo di Magdi Allam
IL CATECUMENO

di Raniero La Valle

Per la rubrica “RESISTENZA E PACE”, Rocca 2008, n. 8

C’è stato uno scambio di doni tra il Papa e il giornalista Magdi Allam nella santa notte di Pasqua. Il Papa gli ha fatto il regalo più grande dandogli il battesimo. Magdi Allam in quel momento aveva già scritto per il Corriere della Sera l’articolo che sarebbe uscito l’indomani, in cui diceva dell’Islam che “è fisiologicamente violento e storicamente conflittuale”; in tal modo il neo-convertito veniva ad essere il primo a confermare e fare proprio il giudizio sull’Islam che nel celebre discorso di Ratisbona il Papa aveva evocato citando le parole di Michele Paleologo, per il quale Maometto non aveva portato che “delle cose cattive e disumane come la sua direttiva di diffondere per mezzo della spada la fede ch’egli predicava”. Ma mentre dopo il discorso di Ratisbona tutti avevano cercato di separare il Papa da tale giudizio (“era solo una citazione”), il vice-direttore in procinto di battesimo ve lo riconduceva; e ciò doveva necessariamente mettere in imbarazzo il Papa, tanto più che nello stesso articolo Magdi Allam aggiungeva, a proposito della “ideologia” da cui si era separato per approdare alla fede cattolica, che essa giace “nell’oscurantismo” e che “legittima la menzogna e la dissimulazione, la morte violenta che induce all’omicidio e al suicidio, la cieca sottomissione e la tirannia”.
Quello di Magdi Allam era dunque un regalo avvelenato, che veniva a turbare gravemente il rapporto tra il Papa e i musulmani, proprio mentre in Vaticano si stava “trattando” per vedere come dovesse avviarsi il dialogo islamico-cristiano, che i 138 e più leaders musulmani di tutte le tendenze avevano proposto in quella straordinaria lettera del 13 ottobre con la quale la comunità islamica, “nel nome di Dio”, aveva chiesto ai cristiani di tutte le confessioni di trovare “una parola comune tra noi e voi”, parola che era poi l’amore di Dio e l’amore del prossimo.
Ancora più imbarazzante era la motivazione del battesimo data da quel catecumeno, in quanto irrompeva nel pieno di un analogo disagio che si era creato tra la Santa Sede e gli ebrei, a causa della introduzione nel vecchio rito latino del venerdì santo di una preghiera nella quale si chiede che, riconoscendo Gesù Cristo, tutto il popolo d’Israele possa salvarsi. Sembrava introdursi qui la necessità di una conversione, quando invece la preghiera usata nel rito comune dopo il Concilio invoca semplicemente che gli ebrei progrediscano “nell’amore del nome di Dio e nella fedeltà alla sua alleanza”. A scanso di equivoci, si precisava allora che la nuova preghiera non faceva che citare la lettera ai Romani, per la quale quando “entrerà la pienezza delle genti”, anche “tutto Israele sarà salvo”; ma mentre, come ha notato Piero Stefani, nella lettera paolina non si dice dove questo ingresso debba avvenire, trattandosi presumibilmente del regno di Dio, di suo la nuova preghiera cattolica aggiunge che si tratterebbe di entrare nella Chiesa (“in Ecclesiam tuam intrante”). Magari si potrebbe pensare che qui per Chiesa si intenda la grande Chiesa, anche invisibile ed escatologica; ma noi sappiamo, da una pronunzia della Congregazione per la dottrina della fede allora presieduta da Ratzinger, che il Papa non condivide l’idea del Concilio secondo cui l’unica Chiesa di Cristo “sussiste nella Chiesa cattolica”, senza peraltro esaurirsi in essa, e ritiene invece che il “sussiste in” significa semplicemente che la Chiesa di Cristo “è” la Chiesa cattolica romana e solo lei (le altre non potendo essere dette veramente Chiese); Chiesa nella quale si entra col battesimo “come per una porta”.
Dunque il battesimo, anche per i musulmani e gli ebrei tornerebbe ad essere una condizione necessaria alla salvezza: e qui il Concilio sarebbe veramente finito. Anche se poi la Commissione Teologica Internazionale, con l’avallo dello stesso Benedetto XVI, a proposito dei bambini morti senza battesimo rovescia una dottrina millenaria della Chiesa che li escludeva dalla salvezza, e dice che anche loro, invece di andare all’inferno, come pensava S. Agostino, o al limbo, come si è sostenuto dopo, si può sperare che vadano in paradiso.
Dunque a questo punto, per fare chiarezza, occorre che il dialogo con gli ebrei e con i musulmani sia ripreso, ma come vero e proprio dialogo teologico (e non solo sulla ragione e sul diritto naturale), nel quale la Chiesa sia davvero portata a dire che cosa pensa di sé e della salvezza degli uomini sulla terra: se Dio vuole che tutti si salvino attraverso le diverse strade che essi percorrono, o se la via sia solo una, quella di farsi catecumeni, battezzarsi e così entrare nella disciplina della Chiesa romana; come del resto per molto tempo è stata dottrina latina e papale, quale era espressa nella bolla Unam Sanctam di Bonifacio VIII che rivendicava “la sottomissione al papa di ogni umana creatura”.
Ma se mai dovesse tornarsi a questa conclusione, bisognerebbe almeno stare attenti a come vengono istruiti i catecumeni, e con quali idee arrivano alla notte prima del battesimo.

Raniero La Valle



Lunedì, 07 aprile 2008