Mettiamo le carte in tavola

di Paolo Branca

Una risposta a Magdi Allam


Ringraziamo Khalid Chaouki per averci messo a disposizione questo articolo di Paolo Branca che verrà pubblicato sul settimanale Vita in uscita venerdì prossimo.


Mi occupo di cultura arabo-musulmana da circa trent’anni. La mia prima e carissima insegnante è stata un’ebrea originaria di Aleppo (Siria) che a tutt’oggi considero la migliore docente di arabo che mi sia capitato di incontrare, alla quale mi lega un rapporto di reciproca stima e profonda amicizia. Con lei spesso discuto non solo di questioni didattiche ma anche di rapporti fra civiltà e tradizioni religiose, trovandomi sempre in perfetta sintonia con chi ha maturato, attraverso molte vicissitudini, un approccio umano fatto di rispetto e di attenzione per tutti, senza per questo rinunciare a far presenti le legittime preoccupazioni del nobile e sventurato popolo al quale appartiene con un amore e una fedeltà che mi sono di esempio e di monito costante. Già alla fine degli anni ’70, per approfondire la mia conoscenza dell’arabo, sono stato da lei indirizzato a un druso, vale a dire a un cittadino arabo-israeliano che ha combattuto sotto la stella di Davide, il quale è stato per me il secondo determinante maestro di lingua e cultura araba. Con lui ho preparato la mia dissertazione di laurea, riguardante un pensatore musulmano egiziano che da coraggiose posizioni riformiste stava proprio in quegli anni passando a tesi più tradizionaliste, avvicinandosi alle correnti islamiche radicali. Studiare le sue opere e incontrarlo è stato per me di fondamentale importanza per cogliere la grave crisi involutiva che l’intero mondo dell’Islam stava attraversando e dalla quale non è ancora sostanzialmente uscito. I libri, i saggi e gli articoli che ho scritto da allora (più di 300 titoli in totale) testimoniano quanto io abbia cercato di conoscere e far conoscere il drammatico travaglio di una civiltà attraverso tutte le sue voci, cercando sempre di capirne le dinamiche e le motivazioni, ma senza mai evitare di metterne in luce anche le ambiguità e le contraddizioni di cui anzitutto gli stessi musulmani, e di riflesso il mondo intero, continuano a pagare il pesante prezzo. Ho sempre cercato di evitare di puntare il dito accusatore o di compilare liste di buoni e di cattivi: una civiltà che ha 14 secoli di storia e una comunità religiosa che raccoglie 1 miliardo e 300 milioni di persone non consentono scorciatoie di questo genere, neppure a chi le accosti senza pretese scientifiche. Le responsabilità di uno studioso sono ancora maggiori e io, pur con tutti i limiti delle mie capacità e competenze, tento di non dimenticarlo mai. Negli ultimi anni, accanto all’attività di ricerca che mi ha condotto a tenere relazioni e lezioni anche in numerose istituzioni accademiche diverse da quella di cui faccio parte, in Italia e all’estero, mi sono accostato sempre di più alle comunità musulmane presenti a Milano e in Italia, interessato ad accompagnare un processo lento, incerto, difficile, ma non per questo meno reale, di evoluzione che sta coinvolgendo sempre di più soprattutto giovani e donne appartenenti a famiglie immigrate dal Nordafrica e dal Medio Oriente i quali, senza rinunciare alla loro fede, si sforzano di integrarsi nel nostro Paese. La situazione è totalmente diversa da quella di vent’anni fa quando: ai miei primi e timidi approcci nelle moschee della mia zona, zelanti ma poco idonei leader (spesso italiani convertiti o immigrati che pretendevano di continuare a vivere come se fossero nel loro paese d’origine) accoglievano con sorrisi di compatimento o aperto rifiuto le mie proposte di "dialogo". Con immensa pazienza e senza perdere mai la speranza ho atteso che le condizioni mutassero e negli ultimi anni, con grandissima gioia, sto raccogliendo i primi risultati di un impegno poco clamoroso ma serio e costante che intendo portare avanti a qualsiasi prezzo. Grazie a Dio non sono mancati riconoscimenti e soddisfazioni: senza che lo chiedessi varie istituzioni mi hanno coinvolto e dato fiducia, altre volte sono stato io a dover incitare chi, per timore o inerzia, stava solamente a guardare o voltava la faccia dall’altra parte. Mi sono così conquistato l’attenzione e il rispetto di molti, non necessariamente persone d’accordo con me su ogni dettaglio. Mi basta sentire che stiamo guardando e camminando nella stessa direzione. Molti problemi rimangono irrisolti e nuovi rischi si affacciano costantemente all’orizzonte. Non pretendo di risolvere tutto, ma ho qualche speranza di lasciare il mio piccolo mondo meno malmesso di come l’ho trovato. Sul Mondo più in generale non ho grandi pretese: da cattolico credente e praticante so che avremo sempre a che fare con le conseguenze del peccato originale e mi guardo bene dal pretendere di sradicare ogni erbaccia... ho già abbastanza problemi a cercare di non ostacolare l’avvento del Regno di Dio in me e nell’ambiente che mi è più prossimo. Quando tuttavia vedo prevalere meschinità e malafede, non rinuncio a far sentire la mia voce, per quanto poco possa contare. Una delle più recenti e significative collaborazioni è stata quella con il centro Oasis, promosso dal Cardinal Scola, del quale faccio parte da tre anni: ho partecipato a vari incontri da esso promossi in Italia e nei paesi arabi, pubblicando anche sull’omonima rivista articoli nei quali ho cercato di illustrare la pluralità delle posizioni presenti nel mondo musulmano o ho analizzato le pubblicazioni islamiche in lingua italiana: chi avrà l’onestà di leggere questi miei contributi prima di giudicarmi potrà constatare lo spirito critico con il quale ho cercato di svolgere il mio lavoro. Lo scorso dicembre, inoltre, su invito del Dipartimento di Stato degli Usa, sono stato in visita a Washington e presso le comunità islamiche del Michigan, insieme a un collega italiano e a tre giovani musulmani. E’ stato davvero interessante constatare come una democrazia aperta ed efficiente come quella americana sappia valorizzare i comportamenti migliori, al contrario di quel che avviene dalle nostre parti, dove i furbi e i parolai la fanno da padrone. E’ per questo che mi sono indignato quando sono stato dipinto da Magdi Allam come un antisemita, favorevole alla "distruzione d’Israele e all’annientamento degli israeliani". Pur non condividendo alcune sue posizioni l’avevo sempre difeso, soprattutto di fronte a quanti lo accusavano di essere un falso musulmano, un traditore al soldo del Mossad o della Cia. Purtroppo ho dovuto constatare che da parte sua non c’è stata reciprocità. Non sono affatto uno dei presunti docenti "cresciuti all’ombra delle moschee dell’Ucoii, collusi con un’ideologia di morte profondamente ostile ai valori e ai principi della civiltà occidentale e all’essenza stessa della nostra umanità". Ben prima che scattassero i recenti arresti a Perugia avevo sottoscritto un appello contro un gruppo di marocchini che minacciavano pesantemente un imam moderato, che conosco e stimo, in quella stessa città. Penso di avere dunque le carte in regola per ribellarmi di fronte a giudizi falsi e liquidatori non solo nei miei confronti, ma anche e soprattutto nei riguardi del lavoro che sto conducendo e delle persone con le quali condivido lo stesso percorso. Allam può e deve fare le sue battaglie nel modo che preferisce, senza subire minacce di nessun tipo per questo, anche se le sue smodate ambizioni rischiano di portarlo fuori strada (e i suoi amici dovrebbero essere i primi a metterlo in guardia a tale proposito), ma non gli riconosco il diritto di farlo a spese della dignità altrui con accuse infondate. Nel suo stesso interesse, e di quelli che lo sostengono acriticamente, ribadisco la mia sdegnata e decisa protesta.


Paolo Branca



Marted́, 24 luglio 2007