Conoscere l’Islam
Approccio all’Islam

di Rosario Amico Roxas

Si commettono molti errori nella interpretazione del modo di vivere, di pensare e di comportarsi dei popoli islamici, attribuendo ogni comportamento alla volontà di applicare, come pratica unica, i dettami del Corano.
E’ certo che l’Islam prevede una ’immersione totale in Dio’, che guida la vita intera e stabilisce canoni invalicabili, ma il comportamento di tutti i giorni, la pratica della convivenza sono dinamici, subiscono, cioè, mutamenti da una generazione all’altra, pur mantenendo fede ai principi portanti della Fede coranica.
Non possiamo, in questo breve spazio, trattare ogni aspetto della vita per fornirne la spiegazione in chiave coranica, dobbiamo limitarci ad analizzare i punti che maggiormente colpiscono l’immaginario collettivo occidentale, per cercare di chiarire gli errori che si commettono nel forzare interpretazioni che nulla hanno a che vedere con la legge coranica.
Voglio soffermarmi, innanzitutto, sull’usanza delle donne di coprirsi il volto e di non mostrare le proprie fattezze, perché è uno dei punti più controversi, che ha stimolato interventi spesso lontani dal contesto coranico. Se andiamo in paesi come la Tunisia, l’Algeria, il Marocco, il Kuwait, gli Emirati del Golfo, ci accorgiamo che le nuove generazioni hanno modificato questo costume e vanno in giro in assoluta libertà; sono i paesi più legati alle antiche tradizioni che impongono ancora certi usi, che, con il tempo, con la miscellanea dei popoli finiranno con lo scomparire, perché si tratta di usi e costumi che non appartengono ai dettami del Corano universalmente riconosciuti come immutabili. Non scompariranno i principi portanti dell’Islam, quelli contenuti nei versetti ’muham’, cioè chiari e univoci.
Il Corano, infatti, contiene due tipi di versetti: quelli chiari e univoci, che formano l’ossatura portante dell’intero Islam, e i versetti ’mutashabih’, che sono allegorici e ambigui; per comprenderli occorre saperli interpretare nello spirito e non nella lettera.
Un esempio: nelle Sura II ’Al Baqara (La Giovenca), nel versetto 25 vengono descritte le gioie del Paradiso:

e annuncia a coloro che credono e compiono il bene, che avranno i Giardini in cui scorrono i ruscelli. Ogni volta che sarà loro dato un frutto diranno ’…già ci era stato concesso’. Ma è qualcosa di simile che verrà dato loro; avranno spose purissime e colà rimarranno in eterno’ (Corano 2-25) .

In questo caso è evidente l’allegoria; benché descritti in termini inequivocabilmente terreni, come i piaceri a cui siamo abituati sulla terra, tali piaceri sono di ben altra natura, inafferrabile per la condizione umana; il lettore distratto o frettoloso o quello ’per sentito dire’ mantiene la convinzione che le gioie del Paradiso promesso da Dio nel Corano siano di natura edonistico-sessuale, che si concretizzano in quelle spose purissime, che tali rimarranno in eterno. E’ uno dei classici versetti allegorici scritti per essere comprensibili, ma che bisogna sapere interpretare.
Se ci si discosta dalla corretta metodologia di approccio al Corano, non si riuscirà mai a comprenderne lo spirito, e il divario con noi cristiani resterà incolmabile. I versi coranici ambigui, non chiari, hanno diverse chiavi di interpretazione; la più importante di queste è quella ortodossa, che si rifà, secondo la tradizione, alle spiegazioni date dallo stesso Maometto per chiarirne il senso. Successivamente l’Islam si rifarà alla Sunna.
Altre chiavi interpretative sono più remote, più interiori, potremmo definirle mistiche, nel senso che l’intero Corano potrebbe rappresentare un’allegoria o un’anagogia, come l’itinerario che percorre l’anima verso l’unione con l’Assoluto. Tale chiave di lettura non dovrebbe risultare estranea a quei cristiani che si sono accostati allo studio dei Padri della Chiesa o ai mistici della tradizione cristiana, come S. Bernardo di Chiaravalle, per il quale l’origine, il mezzo e il fine della conoscenza è l’amore di Dio. Sempre secondo San Bernardo la vita spirituale è governata dalla legge del progresso e si fonda su una base ascetica con accento sull’umiltà, tendendo a sviluppare l’amore di Dio fino ai più alti gradi dell’unione mistica.

E’ esattamente quanto si legge nel Corano, con oltre cinque secoli di anticipo, lì dove l’amore di Dio per gli uomini è ’Ar Rahman’, attributo che racchiude in sé la misericordia, la benevolenza, il perdono e l’amore, ma un amore che solo Dio è in grado di elargire, un amore che non attende di essere ricambiato, offerto a tutti gli uomini, credenti e non credenti, mistici e profani, santi e peccatori.
Quel livello di amore è la meta indicata come desiderabile nell’itinerario di ogni uomo, un itinerario difficile, doloroso, pregno di significati che sfuggono all’uomo, ma che devono, comunque, essere accettati. Quando l’uomo raggiunge quel livello di amore, diventa rappresentante di Dio in terra: Khalifat Allah.
Nella interpretazione dei mistici cristiani circa il rapporto uomo-Dio ritroviamo la medesima ’immersione totale ’ in Dio, che sta alla base di tutto l’Islam.
Per tornare all’argomento che fa tanto discutere, la copertura del volto delle donne, c’è, innanzitutto, da rilevare che ci sono argomenti ben più importanti da approfondire, che vengono trattati solo per "sentito dire", o, peggio, ascoltando opinionisti o leggendo libri scritti su ordinazione per squalificare l’Islam e il mondo musulmano.
Quando si parla della copertura delle donne si fa riferimento ai versetti 30 e 31 della Sura Al-Nur (la Luce), la XXIV . Per comprendere l’intimo significato di questa Sura sono indispensabili tre condizioni:

• conoscenza del momento storico
• conoscenza dell’arabo coranico e delle accezioni di origine aramaica
• spiegazione che ne ha dato Maometto

Sono ’strati’ di lettura più o meno approfonditi, che spiegano il significato più intimo e recondito delle affermazioni; un esempio deve illuminarci: quando studiamo la Divina Commedia, apprendiamo che ci sono ben quattro livelli interpretativi: letterale, allegorico, morale e anagogico, senza che l’uno interferisca con l’altro, si tratta solamente di una lettura più ’in profondità’.
Parlare del momento storico ci porta alle paure dell’Islam, alle debolezze degli Imam, all’esigenza degli hudud, (limiti posti da Dio; protezione contro i pericoli che vengono dall’esterno per la famiglia, per la casa, per la comunità, per la città).
Numerose sono le paure dell’Islam: innanzitutto la paura dell’Occidente, lì dove il mare inghiotte il sole e lascia dietro di sé le tenebre, paura di quell’Oceano sconosciuto. Occidente in arabo si dice Maghreb e per Maghreb si intende il Marocco, a contatto con quell’oceano Atlantico che ancora Colombo non aveva attraversato, scoprendo un nuovo mondo. Ma, prima di allora, dopo quell’oceano c’era il mistero, e con il mistero la paura, e con la paura l’esigenza di protezione, l’hudud.
Il Maghreb è il paese del tramonto, il Marocco è conosciuto come l’estremo Occidente, e Maghreb sono chiamate le nazioni della fascia Settentrionale dell’Africa: Marocco, Algeria, Tunisia e Libia. Prima della conquista araba questi paesi erano berberi, con usi, costumi, culti e lingua diversi; ancor oggi sono visti con sospettosa diffidenza dagli arabi del Medio Oriente, quelli al-mashriq (dove sorge il sole).
Altra paura è quella della democrazia, o meglio paura delle nazioni democratiche, dopo aver subito secoli di crudele colonizzazione. La domanda che si pongono è:

’Perché l’Occidente è così forte e noi siamo così deboli e vulnerabili ?’

Non è paura della democrazia in sè, anzi in più occasioni è emersa dalla base popolare l’esigenza di essere coinvolti nelle grandi scelte. Il 3 febbraio 1991, quando le forze anglo-americane bombardavano Baghdad e mostravano in mondovisione lo spettacolo di quella prima guerra del golfo, la gente di Tunisi, di Algeri e di Rabat scese in piazza protestando contro quella guerra e urlando:

’ Non ci hanno consultato, la decisione spettava a noi !’,

questo perché i rispettivi governi avevano appoggiato quella guerra che, all’apparenza, avrebbe dovuto essere in difesa del Kuwait invaso da Saddam Hussein. Quando dal popolo emerge il desiderio di avere un peso nelle decisioni e, quindi, di democrazia, il potere decisionale (qatar) cerca di assimilare la paura dell’Occidente straniero alla stessa democrazia. Un fatto desidero evidenziare, quel 3 febbraio mi trovavo a Rabat e ho visto quel corteo di manifestanti, contro i quali si parò davanti la Guardia Nazionale marocchina.
Il re del Marocco aveva dato il suo assenso a quella guerra, legato come si trovava, e si trova ancora, alle scelte americane. Di fronte alla Guardia Nazionale il corteo si fermò, si aprì in due parti e dal centro avanzarono le donne con il capo coperto da uno scialle nero con quel loro urlo gutturale la cui origine si perde nella notte dei tempi. Gli uomini sparirono e lasciarono spazio alle donne, contro le quali la Guardia Nazionale non oppose nessuna resistenza, consentendo che si recassero davanti al palazzo del Governatore di Rabat per manifestare il loro ripudio a quella guerra:

E’ un problema fra capi e fra capi devono risolverlo, perché bombardare Baghdad ?

Ripetevano questa frase alternandola con quel loro grido che viene usato in tutte le circostanze nelle quali si vuole esprimere un sentimento forte, sia doloroso che gioioso.
Lo stesso imam che guida la umma (comunità) lungo la via indicata dal Corano, non è l’onnipotente, incontestato e incontestabile imam che ci viene presentato dalla informazione occidentale. E’ un leader religioso vulnerabile, sfidabile e spesso anche contestato, tormentato dalla paura di non essere più accettato dalla umma; la sua parola non è la parola dell’Islam, come accade nella religione cristiana, dove la parola del Vescovo è la parola della Chiesa. Questa vulnerabilità ne ha spesso decretato la morte. Oggi la politica usa l’imam per imporsi, ammettendo l’impossibilità di sostenere un esplicito autoritarismo, se svincolato dall’aspetto religioso.
Le paure dell’Islam portarono alla costruzione di alte mura intorno alle loro città, quelli che oggi visitiamo come i vari Zuk. Queste forme di protezione sono chiamate hudud (limiti posti da Dio), per evitare i pericoli che vengono dal di fuori della Umma.
Anche il velo che copre il volto e il petto delle donne è un hudud , un baluardo a difesa dell’integrità della donna, che rappresenta la famiglia e, quindi, dello stesso Islam, che nella famiglia identifica il cardine della società, e, innanzitutto, invita alla modestia e alla castità; quello di abbassare lo sguardo è l’invito a non guardare le donne come oggetto, ma a rispettarle nella loro dignità.

Dì ai credenti di abbassare il loro sguardo e di essere casti. Ciò è più puro per loro. Dio ben conosce quello che fanno. (Corano XXIV, 30)

Bisogna notare che il Corano si rivolge ai credenti, esortandoli alla castità, che non è la pura e semplice astensione da ogni relazione sessuale illecita, ma è un atteggiamento generale della mente e dei sensi, è una caratteristica fondamentale del comportamento del musulmano, sia uomo o donna.

E dì alle credenti di abbassare i loro sguardi ed essere caste e di non mostrare, dei loro ornamenti, se non quello che appare ordinariamente; di lasciar scendere il velo fin sul petto e non mostrare i loro ornamenti ad altri che ai loro mariti, ai loro padri (segue l’elenco dei parenti nei confronti dei quali non necessita nascondere le proprie fattezze; il termine ornamenti è, per assimilazione, la traduzione del termine arabo che fa riferimento alle fattezze). (Corano XXIV, 31)

In questo versetto è contenuta un’espressione non chiara, ambigua: ’se non ciò che appare ordinariamente’; ma ordinariamente dove ? Se facciamo riferimento alla vita quotidiana è una cosa, ma se guardiamo una spiaggia o una discoteca è ben altro, anche se in questi due ambienti la donna musulmana mantiene sempre un alto grado di pudicizia e di riservatezza.
Le donne del tempo se lo chiesero e domandarono lumi a Maometto, che, secondo una tradizione fra le più accreditate, rispose: ’le mani e il volto’. Ciò potrebbe significare che le donne possono mostrare il volto, ma la consuetudine dell’hudud è prevalsa, e le donne preferiscono rifarsi ai versi del Corano, che non alla tradizione orale riferita al Profeta. Questa tradizione si rifà, peraltro, al Khimar, un velo che copre i capelli, il viso e il petto, così la lettura chiara e univoca del Corano è prevalsa sulla lettura allegorica o ambigua.

Rosario Amico Roxas
(raroxas@tele2.it)



Mercoledì, 05 dicembre 2007