Materiali di studio per il dialogo Cristiano Islamico
Chi sono i musulmani d’Italia?

L’islam seconda religione


di Stefano Allievi
Sociologo, Università di Padova

Il testo di questo articolo, è stato scritto da Stefano Allievi, sociologo dell’Università di Padova, appositamente per i firmatari dell’appello al dialogo cristiano islamico in funzione dei materiali da predisporre per sostenere la Giornata del 29/11. Questo articolo, come il testo dell’appello e gli altri materiali presenti sul sito, possono essere liberamente riprodotti da quanti intendono partecipare alla Giornata del 29/11


L’Italia era ed è tuttora considerata un paese quasi monoliticamente cattolico. Anch’essa sta tuttavia vivendo, ultima arrivata sul palcoscenico europeo, il cambiamento storico che la sta portando a diventare una società plurireligiosa e pluriculturale.
A dircelo sono i fatti, a cominciare dalle cifre: la più simbolicamente importante e significativa delle quali ci dice che l’islam è oggi la seconda religione del paese, anche se si tratta in maggioranza di cittadini stranieri; tendenza questa, tuttavia, destinata a mutare nel prossimo futuro, soprattutto per l’apporto delle seconde generazioni, nate in Italia, delle naturalizzazioni, e dei matrimoni misti.
Il passaggio da una condizione monolitica e in un certo senso monopolistica, ad una plurale e anche, in un certo senso, concorrenziale, non è tuttavia né facile né indolore. Ed è un passo forse più difficile ancora per l’Italia, rispetto ad altri paesi europei, più abituati ad una pluralità religiosa almeno interna, relativa al mondo cristiano. Da noi il quasi monopolio cattolico – e il suo sostanziale privilegio istituzionale – ha di fatto offuscato la presa di coscienza della progressiva pluralità, anche sul piano religioso, che sempre più stava caratterizzando gli altri paesi europei. E forse questa ‘disabitudine’– e non mi riferisco al solo mondo ecclesiale – non è estranea alle reazioni che questa stessa pluralità, almeno in questa fase, sembra suscitare in alcuni settori (ampiamente mediatizzati) della società. Tanto più che oggi il confronto non è con minoranze comunque considerate in qualche modo ‘di famiglia’, come quelle protestanti tradizionali o quella ebraica, ma con una minoranza un po’ più ‘altra’: quella islamica, appunto.

Chi sono i musulmani d’Italia? Complessivamente si tratta, come abbiamo visto, di un insieme cospicuo, a cui possiamo attribuire, almeno dal punto di vista dei riferimenti socio-culturali d’origine, un peso certamente non inferiore alle settecentocentomila unità, intendendo con questi i ‘provenienti da paesi musulmani’, compresa una ragionevole quota di irregolari, a cui vanno aggiunti i naturalizzati e i convertiti. Quanti – tra i musulmani d’origine presenti in Italia – siano i ‘praticanti’, sempre che la categoria abbia una sua pertinenza definitoria dell’appartenenza religiosa nell’islam (e anche ad altre religioni, del resto), è naturalmente un altro discorso, che non è possibile dettagliare in questa sede.
Il Marocco conta circa un terzo delle presenze musulmane, segue l’Albania, di cui solo una parte dei provenienti, comunque maggioritaria, è considerabile di vaga (sovente molto vaga, trattandosi di un paese fino a poco tempo fa governato da un regime di ateismo di stato particolarmente coerente e conseguente) origine musulmana, quindi la Tunisia, il Senegal, l’Egitto, il Bangladesh, il Pakistan, l’Algeria, la Bosnia, e poi ancora Iran, Nigeria, Turchia, Somalia e… Italia, con un nucleo numericamente contenuto ma assai attivo di convertiti all’islam, che giocano un ruolo importante nell’islam ‘visibile’ e organizzato.
Detto questo, il problema dei numeri non è il più rilevante. Essi servono appunto a determinare un ordine di grandezza. Ma il problema, o meglio il fatto, è qualitativo, non quantitativo. E ci mostra un islam non più solo neo-arrivato, ma ormai anche entrato in quella che potremmo considerare la ‘fase due’: quella della sedentarizzazione, della stabilizzazione, in parte anche dell’istituzionalizzazione, per quanto ancora ad uno stadio relativamente embrionale.
Quali le specificità dell’islam italiano? Possiamo citare almeno i seguenti aspetti: la diversificazione dei paesi di provenienza, che impedisce di fatto l’identificazione, sia sul piano istituzionale che su quello della percezione, con un solo paese; la maggior velocità di ingresso e di insediamento, rispetto ad altre realtà europee, in cui i musulmani hanno cominciato ad arrivare già da alcuni decenni; la più diffusa condizione di irregolarità e la maggior dispersione lavorativa e residenziale; la scarsità di provenienze da ex-colonie, con un legame preesistente (ad esempio culturale e linguistico) con il paese di emigrazione; il ruolo importante giocato dai convertiti; il fatto che la presenza islamica si rende visibile nello spazio pubblico già con la prima generazione; la mancanza o la debolezza relativa, almeno per ora, di interlocutori associativi laici (ad esempio etnici) di qualche peso e rappresentatività, che rende ancora più rilevante il ruolo sociale e religioso giocato dal tessuto delle moschee.
La strutturazione interna è influenzata tuttavia anche dai rapporti con la realtà esterna, che toccano anche le modalità di legittimazione dell’islam, e il suo processo di istituzionalizzazione. In questo processo, un ruolo importante gioca la percezione mediatica dell’islam, che spesso e volentieri ne diffonde un’immagine tutta in negativo, e più influenzata da vicende esterne concernenti il mondo islamico (il fondamentalismo, o la situazione di alcuni paesi, come l’Algeria, il Sudan, l’Afghanistan – e, oggi, le imprese di Bin Laden) che da reale conoscenza delle sue dinamiche interne.

Quale il rapporto con la realtà circostante, ovvero con la società in cui si stanno inserendo?
Ci sono diverse questioni aperte, concernenti il rapporto con la realtà esterna: quelle concernenti la legittimazione dell’islam, e quelle riguardanti il suo processo di istituzionalizzazione. In questi processi, peraltro, un ruolo importante gioca anche il mondo cattolico, e pro quota le altre chiese e confessioni presenti in Italia, attraverso l’associazionismo ma anche un capillare lavoro di presenza culturale, talvolta attraverso prese di posizione pubbliche, in un senso o nell’altro: in direzione dell’accoglienza e dell’integrazione, e talvolta anche in direzione del rifiuto e della discriminazione.
La legittimazione dell’islam molto si gioca tuttavia anche intorno ad aspetti giuridico-sociali (ad esempio questioni legate al diritto di famiglia, alla condizione della donna, ai matrimoni misti, ecc.), che insieme a quelli legati a immagini talvolta distorte ma comunque inquietanti provenienti da alcuni paesi musulmani (si pensi alla questione del fondamentalismo), ne costituiscono anche il grosso della visibilità mediatica e dunque dell’immaginario sociale.
Il processo di istituzionalizzazione è, se vogliamo, l’aspetto formale del meccanismo di legittimazione. Il suo aspetto più noto e simbolicamente significativo è quello legato all’Intesa con lo Stato, alla pari di altre confessioni religiose minoritarie (mentre la Chiesa cattolica gode già dello statuto privilegiato offerto dal Concordato). Sul piano istituzionale va notato infatti che, come altre minoranze religiose, alcune organizzazioni islamiche hanno chiesto il riconoscimento, mediante Intesa con lo Stato italiano, così come già avvenuto per la maggior parte delle minoranze protestanti e per gli ebrei. Anche i testimoni di Geova e i buddhisti hanno peraltro firmato un’Intesa con lo Stato, che non è tuttavia stata ancora ratificata dal parlamento, e vede contrari alcuni settori del medesimo, come della Chiesa cattolica e della società.
Qui ci limitiamo a ribadire la legittimità della richiesta di Intesa e la sua piena sostenibilità: di principio, numerica (trattandosi comunque della seconda comunità religiosa presente nel paese, dopo quella maggioritaria cattolica – naturalmente includendo i residenti, e non solo i cittadini), politica (anche nel senso, non secondario, pur se auspichiamo non diventi primario, di politica ‘estera’), e anche giuridica, almeno ad una prima analisi dei progetti di intesa finora proposti alla discussione, che, nonostante diffusi timori in senso contrario, non sembrano avanzare richieste in contrasto con l’attuale ordinamento giuridico.
Pare in ogni caso irrealistico ipotizzare una rapida conclusione della vicenda dell’Intesa con l’islam, sia per motivi concernenti l’islam stesso (ad esempio la risoluzione in via definitiva del problema della rappresentanza), sia per motivi che hanno a che fare con vicende politiche più generali. I due poli hanno infatti posizioni diversificate sui problemi delle Intese (sono stati alcuni partiti di centro-destra, in particolare Lega e AN, a bloccare la ratifica parlamentare delle ultime due, quelle con i buddhisti e i testimoni di Geova, siglate dal governo D’Alema), e vi sono forti pressioni affinché, al posto delle Intese mancanti, si approvi una nuova legge sulle libertà religiose: legge che, di per sé positiva, e probabilmente un utile percorso intermedio, se bloccasse tuttavia le altre Intese aprirebbe ad un regime di doppio binario, di religioni di serie A e di serie B, difficilmente sostenibile in termini di uguaglianza di diritti e dunque di legittimità democratica.
Ci preme sottolineare tuttavia che l’ossessione ‘statalista’ e centralizzatrice, implicita nell’enfasi sul processo di Intesa, non deve farci dimenticare gli importanti risvolti locali e decentrati del processo di istituzionalizzazione: che, rispettando in questo le caratteristiche intrinseche e ineliminabili dell’islam, e in particolare l’assenza di un clero formalizzato e gerarchizzato, nonché di riconoscimento interno indiscutibile, dovrebbe tener conto che, sul piano locale, per molti motivi, a cominciare dalle diverse presenze etniche d’origine, ma anche per altre ragioni (presenza di moschee facenti capo a differenti organismi, movimenti, confraternite, gruppi locali, ecc.), l’istituzionalizzazione può dare luogo a risultati ed equilibri diversi da quelli raggiungibili sul piano nazionale. In pratica un diverso ambito territoriale potrebbe dare luogo a una diversa composizione dell’interlocutore islamico. L’istituzionalizzazione infatti passa anche per la presenza e l’attivismo nelle istanze locali, municipali e regionali, su problemi non indifferenti, che vanno dall’alimentazione alle modalità di presenza e manifestazione culturale nella scuola, dall’educazione religiosa alla macellazione halal, dai luoghi di culto ai cimiteri (una forma di integrazione post mortem, di fronte alla quale assistiamo talvolta a resistenze, da parte istituzionale – per esempio nella concessione di aree cimiteriali – perfino sorprendenti).
E’ del resto soprattutto sul piano locale che si manifestano i momenti e i luoghi di confronto, di incontro e anche di scontro: che si manifestano i problemi, insomma, e che si sperimentano le possibili soluzioni dei medesimi. Ci preme a questo proposito, contro ogni buonismo o irenismo facile, notare che incomprensioni e problemi, rispetto a un fenomeno nuovo, e anche iniziali reazioni di rifiuto, sono sociologicamente non solo comprensibili, ma in un certo senso ‘normali’, fisiologiche, di fronte a un fenomeno inedito e quasi mai ‘spiegato’. Diventano o possono diventare patologiche, come lo sono diventate alcune in tempi recenti, soprattutto per effetto di una gestione non accorta, e quando ad esse si sovrappone una qualche forma di strumentalizzazione politica. Che, va detto, nel nostro paese ha raggiunto in alcune recenti occasioni livelli gravemente lesivi della dignità e forse della legge (per esempio della legge Mancino), e contro le quali non abbiamo udito sufficienti parole di condanna e di dissociazione: come quando, in occasione delle manifestazioni di Lodi e d’altrove, ci si è vantati di aver concimato il terreno su cui è previsto sorga un moschea con quot;urina di porco padanoquot;, per non parlare di talune polemiche, anche di uomini politici o di sindaci, largamente oltre le righe, e in generale di tutta la campagna anti-islamica montata da una propaganda, soprattutto leghista, che ha portato anche alla chiusura di alcuni luoghi di culto, in città governate da questo partito. Ci pare evidente che, se usato contro un’altra minoranza, come quella ebraica o protestante, o nei confronti della maggioranza cattolica, un linguaggio e anche una prassi del genere avrebbero ricevuto risposte differenti da quelle, assai flebili, sin qui udite.

L’ultimo aspetto che è importante sottolineare è quello delle interpretazioni che della presenza islamica dà la società d’accoglienza: un fattore decisivo nel favorire o meno un sano processo di integrazione. In questo ha un ruolo decisivo l’immagine del problema veicolata dalla stampa, che spesso non aiuta a comprendere i processi in atto, focalizzando su aspetti o personaggi marginali o apertamente conflittuali. Ma certamente vi è anche un problema posto dalle comunità musulmane medesime, e in particolare da parte di alcuni esponenti e portavoce, più o meno autonominatisi: che in alcune occasioni non hanno fatto nulla per migliorare la situazione ‘comunicativa’, ma al contrario l’hanno aggravata con prese di posizione certamente problematiche, per una società che si vuole democratica, pluralista e aperta. La ‘fatica’ di osservatori e attori sociali, in questa fase, deve essere quella di riconoscere e distinguere le dinamiche reali in atto, quali che siano, al di là di ciò che si dice di esse, da ambo le parti.
Su questo tema pesa tuttavia anche l’opinione di altri attori sociali e religiosi, e in particolare della confessione religiosa maggioritaria, la Chiesa cattolica, che ha di fatto o comunque si è assunta, in particolare attraverso l’associazionismo che si occupa di immigrazione (Caritas, ecc.), una responsabilità formativa e culturale, in direzioni peraltro non sempre omogenee: non riconducibili ad un disegno unitario, e rispondenti a preoccupazioni di ordine differente, sono infatti le posizioni espresse in tempi recenti da differenti episcopati, e da altre istanze religiose, che del resto rispecchiano differenti sensibilità presenti nella società stessa. Basti pensare all’innegabile diversità di taglio delle prese di posizione del card. Biffi, e dei vescovi dell’Emilia-Romagna, rispetto ai testi, usciti a dieci anni di distanza, del card. Martini o del card. Cè. E l’ambivalenza è riscontrabile nelle varie espressioni della stampa cattolica.
Il dibattito comunque, nelle Chiese come nella società, resta e resterà aperto: e dopo tutto è appena cominciato, certamente – e diremmo fisiologicamente – non è ancora maturo, e spesso non è nemmeno sufficientemente informato (quando non è, talvolta, disinformato e magari anche disinformante). Si scontano carenze conoscitive della concreta realtà islamica italiana, al di là di generiche conoscenze di principio dell’islam. E si sconta anche l’insufficienza delle conoscenze personali, tra uomini e donne, al di là delle immagini e di quelli che sono spesso, in senso letterale, pre-giudizi: giudizi dati prima di conoscere davvero. Un problema peraltro che è tale nella società di accoglienza come nelle comunità musulmane.
Va infatti sottolineato che è sul piano sociale che, in Italia come in tutta Europa – come abbiamo cercato di mettere in evidenza in un rapporto realizzato per conto della Commissione Europea, svolto con colleghi di vari paesi – l’islam si rende presente nella società: con le sue comunità, le sue moschee e le annesse scuole coraniche, le sue associazioni, le festività organizzate pubblicamente (si pensi alla festività che chiude il digiuno del mese di ramadan e la festa del sacrificio di Abramo, spesso organizzate in luoghi pubblici con grandi raduni, specie nelle città più importanti), la presenza visibile nell’abbigliamento (non solo femminile), nella diffusione di negozi ‘etno-religiosi’ (in primis le macellerie halal, che sono ormai visibili in tutte le principali città), la presenza nel mondo della scuola, e così via.

Un accenno almeno va fatto ad un problema cognitivo che ha ampie conseguenze pratiche. Noi spesso – quasi sempre – abbiamo un’immagine dell’islam come realtà statica, ben definita e immodificabile. Ora, ciò già non è vero nemmeno nei paesi d’origine dell’islam, ma è ancora meno vero in Europa. L’islam trapiantato infatti si modifica con una velocità che solo un’osservazione attenta e non preconcetta è in grado di mostrarci.
Il mondo islamico europeo, e in esso, seppure con un ciclo di sviluppo più tardivo, quello italiano, sta vivendo infatti un processo di trasformazione estremamente rapido.
In particolare, risulta di interesse strategico vedere come proseguiranno i processi di strutturazione delle comunità islamiche in questa fase cruciale, in cui non sono più delle comunità etniche provenienti da altrove, dato che con il passaggio generazionale stanno perdendo almeno in parte e progressivamente la caratterizzazione etnica e l’identificazione con i paesi d’origine, ma non sono ancora delle comunità puramente e semplicemente autoctone, per motivi legati tanto alla cultura e ai costumi, quanto alla cittadinanza (né soprattutto sono percepite come tali).
E’ qui, tra i soggetti più giovani, nelle realtà associative, nella presenza ancora relativamente silenziosa ma in movimento dell’islam femminile, tra le seconde generazioni, che è soprattutto visibile e misurabile il terreno reale dell’incontro tra l’islam e il mondo europeo-occidentale, e anche con gli altri soggetti religiosi che questo mondo abitano da più tempo.
Qui è interessante andare a vedere cosa succede davvero. Per potersi confrontare con la realtà, e non solo, come spesso accade – da ambo le parti – con delle proiezioni culturali, disincarnate e proprio per questo spesso irreali.

Bibliografia essenziale
Sulla pluralizzazione religiosa del nostro paese, segnaliamo Stefano Allievi, Gustavo Guizzardi e Carlo Prandi, Un Dio al plurale. Presenze religiose in Italia, EDB, 2001, nonché Fabio Ballabio e Brunetto Salvarani, Le religioni in Italia. Il nuovo pluralismo religioso, Bologna, EMI, 2001, e ancora Paolo Naso, Il mosaico della fede, Milano, Baldini & Castoldi, 2000. Si veda anche la documentazione raccolta in M. Introvigne, P. Zoccatelli, N. Ippolito Macrina, e V. Roldàn, Enciclopedia delle religioni in Italia, Leumann (To), Elledici, 2001.
Una introduzione ai rapporti tra islam ed Europa può essere I musulmani alla scoperta dell’Europa di Bernard Lewis, Bari, Laterza, 1991. Sui rapporti tra islam ed occidente, con approccio interdisciplinare, L’occidente di fronte all’islam, curato da Stefano Allievi, Milano, Franco Angeli, 1996, in chiave storica, Europa e Islam di Franco Cardini, Bari-Roma, Laterza, 1999, e ancora Enzo Pace, Islam e occidente, Roma, Edizioni Lavoro, 1996.
Tra le prime sintesi sull’immigrazione musulmana in Europa segnaliamo, in italiano, Europa: nuova frontiera dell’Islam di Felice Dassetto e Albert Bastenier, Roma, Edizioni Lavoro, 1991, e del solo Dassetto L’islam in Europa, Torino, Fondazione Agnelli, 1994. Si veda anche Chantal Saint-Blancat, L’islam della diaspora, Roma, Edizioni Lavoro, 1995. Più specifico, curato da Silvio Ferrari, L’islam in Europa. Lo statuto giuridico delle comunità musulmane, Bologna, Il Mulino, 1996. Per una analisi recene della situazione attuale e delle sue prospettive, a livello europeo e italiano, si veda, di Stefano Allievi, Musulmani d’occidente. Tendenze dell’islam europeo, Roma, Carocci, 2002.
Per quanto concerne il nostro paese rinviamo a Il ritorno dell’islam. I musulmani in Italia, di Stefano Allievi e Felice Dassetto, Roma, Edizioni Lavoro, 1993. Sugli aspetti giuridici si veda, curato da Silvio Ferrari, I musulmani in Italia. La condizione giuridica delle comunità islamiche, Bologna, Il Mulino, 2000. Si vedano anche Chantal Saint-Blancat (a cura di) L’islam in Italia, Roma, Edizioni Lavoro, 1999, e Mostafa El Ayoubi (a cura di), Islam plurale, Roma, Edizioni Com Nuovi Tempi, 2000.
Su alcune questioni specifiche si vedano anche gli atti dei convegni di ‘dialogo sociale’ di Modena, ormai diventati un appuntamento stabile nel rapporto tra cristiani e musulmani in Italia. Ricordiamo in particolare I bambini dell’islam e L’islam nella scuola, a cura di Innocenzo Siggillino, entrambi Milano, Franco Angeli, 1999, mentre sulla visibilizzazione dell’islam nelle città europee segnaliamo, sempre a cura di I. Siggillino, L’islam nelle città, Milano, Franco Angeli, 2000, e sulla percezione mediatica I media e l’islam, Bologna, EMI, 2001. Sulle conversioni all’islam I nuovi musulmani. I convertiti all’islam, di Stefano Allievi, Roma, Edizioni Lavoro, 1999.
Per una lettura anche ‘teologica’, dall’interno, delle trasformazioni nelle realtà islamiche europee, si veda Tariq Ramadan, Essere musulmano europeo, Enna, Città Aperta, 2002.
Sul dibattito ‘post 11 settembre’ nel nostro paese rinviamo a Stefano Allievi, La tentazione della guerra. Dopo l’attacco al World Trade Center: a proposito di occidente, islam, ed altri frammenti di conflitto tra culture, Milano, Zelig, 2001.
Per una proposta di confronto e di dialogo con l’islam italiano, Brunetto Salvarani e Paolo Naso (a cura di), La rivincita del dialogo, Bologna, EMI, 2002.



Venerdì, 04 ottobre 2002