Vedi alla voce laico

di Carlo Augusto Viano (L’Unità, 24.11.2004)

«RIPRENDERE L’INDICAZIONE DI KANT: riprendere il lavoro degli illuministi è oggi urgente. E una cultura che voglia farlo dovrebbe porre tra i propri compiti, più che il riconoscimento delle comunità religiose, l’emancipazione da esse.... Emancipazione: maturità e libertà, capacità di pensare con la propria testa e di camminare eretti, con le proprie gambe! "L’ Illuminismo - ricordiamo le chiare e non equivocabili parole di Kant (Risposta alla domanda: che cos’è l’illuminismo?, 5.12.1783) - è l’uscita dell’uomo da uno stato di minorità il quale è imputabile a lui stesso. Minorità è l’incapacità di servirsi del proprio intelletto senza la guida di un altro. Imputabile a se stessi è questa minorità se la causa di essa non dipende da difetto di intelligenza, ma dalla mancanza di decisione e di coraggio di servirsi del proprio intelletto senza essere guidati da un altro. Sàpere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza - è dunque il motto dell’illuminismo. La pigrizia e la viltà sono le cause per cui tanta parte degli uomini, dopo che la natura li ha da lungo tempo affrancati dall’eterodirezione (naturaliter maiorennes), tuttavia rimangono volentieri minorenni per l’intera vita; e per cui riesce tanto facile agli altri erigersi a loro tutori. E’ tanto comodo essere minortenni!" [Federico La Sala]»

La questione laica non sembra troppo popolare di questi tempi. Una lunga tradizione la vede come una cosa da vecchi liberali, che non capiscono la realtà storica, un tempo si diceva le masse. Del resto perfino i teorici liberali più esigenti hanno dovuto fare i conti con il comunitarismo, cioè con l’insieme di dottrine che pone la comunità al centro della vita associata e non va tanto per il sottile con le garanzie delle libertà individuali. Infine il multiculturalismo ha proclamato che, se si vogliono davvero riconoscere le culture nelle loro differenze effettive e si vuol dar modo alle persone di rivendicare la propria identità culturale, bisogna ammettere che credenze e pratiche religiose hanno una funzione essenziale, spesso ignorata dai difensori della società laica.
L’imbarazzo di fronte alla questione laica si cela perfino dietro artifici linguistici. Tutti d’accordo - si dice - se si tratta di proclamarsi laici; ma laicisti no, come se il laicismo fosse una pretesa esagerata. Qualche volta un po’ di pedanteria linguistica chiarisce le idee. I laici sono molti, perché è laico chiunque non sia un prete: perfino Buttiglione è un laico. Il termine "laico" designa uno status e può riferirsi a una persona come a un’istituzione. Laicista è invece chiunque sostenga l’opportunità che qualcosa (lo stato, la giustizia, la scuola) sia, resti o diventi laica, e si può essere laicisti tiepidi, moderati, intransigenti e così via, come accade con qualsiasi tendenza. Eppure la riluttanza a riconoscere la legittimità del laicismo è tanta che perfino un esponente autorevole della cultura liberale come Norberto Bobbio si è nascosto dietro la falsa opposizione tra laico e laicista.
I fatti sono più eloquenti delle parole. Il multiculturalismo incomincia a suscitare diffidenze. Le culture, riconosciute nella loro integrità, non sono innocue: spesso sono intolleranti e molte di esse negano alle altre culture il riconoscimento che pretendono per se stesse. Inoltre le culture che garantiscono un forte senso di identità esercitano pressioni sulle persone e negano ogni margine di libertà individuale. L’immagine poetica delle culture è stata turbata dalle violenze alle quali le comunità religiose hanno dato origine proprio nei paesi nei quali il multiculturalismo aveva ispirato le politiche sociali.
Qualcosa del genere è accaduta anche sul piano internazionale. Fino all’ultimo quarto del Novecento i grandi conflitti internazionali e i pericoli di guerra sembravano correre lungo le divisioni ideologiche. Come c’era da aspettarsi, la fine della guerra fredda e la dissoluzione dei blocchi che in essa si erano costituiti ha generato nuove guerre, più o meno locali. In queste guerre sono emersi i vecchi confini tra confessioni religiose. Già durante la guerra fredda, nell’Irlanda del Nord o in Palestina, erano scoppiati conflitti lungo confini religiosi; ma dopo, dalla Jugoslavia all’Afghanistan e all’Iraq, il fenomeno si è esteso. Oggi non più le ideologie, ma le religioni, sono le minacce che ciascuno sente puntate contro il proprio modo di vita e contro la possibilità di conservarlo o correggerlo d’intesa con i propri concittadini, senza che nessuno invochi conoscenze e certezze che solo lui e i suoi confratelli posseggono. Spesso i capi religiosi si dicono fautori della pace e dichiarano che non si può fare la guerra in nome di Dio; ma le guerre, gran parte delle guerre in corso, sono fatte in nome di Dio.
Infine la vittoria di Bush negli Stati Uniti ha riacceso entusiasmi religiosi e la tentazione, già manifestatasi durante la crisi delle ideologie, di utilizzare le religioni come strumenti di affermazione politica. Tutti sono oggi alla ricerca di tradizioni e di valori, e un populismo elettorale minaccia le regole formali dei paesi liberali, quelle che difendono i singoli dalla forza delle maggioranze.
Contro queste minacce il laicismo fa valere un’istanza precisa, che consiste nella separazione dello stato dalla chiesa. La separazione va intesa però non come una forma di parallelismo tra le due società, quasi che esistesse una sovranità religiosa accanto alla sovranità civile. Quest’ultima può essere limitata attraverso istituzioni che sono state collaudate nei paesi a tradizione liberale, mentre le autorità religiose pretendono spesso di esercitare un potere illimitato, perché fondato sulla rivelazione, su testi sacri o su tradizioni immodificabili. In uno stato laico nessuno può impedire a una persona di far parte di una comunità dominata da un’autorità assoluta, che pretende di fondare la propria legittimità su un mandato divino e di disporre di poteri soprannaturali, purché però si tratti di un’adesione volontaria, revocabile in qualsiasi momento, e purché quell’autorità non pretenda riconoscimenti da parte di chi non la accetti esplicitamente. Ciò che distingue la società laica da quella religiosa è il fatto che non si può abbandonare la prima, rinunciando alla cittadinanza, mentre si deve poter abbandonare la seconda in ogni momento. Negli stati liberali l’impossibilità di rinunciare alla cittadinanza è compensata dai limiti del potere politico e dalle istituzioni che permettono di rinegoziarlo e di partecipare alle sue decisioni. Pertanto le religioni non devono condizionare le regole pubbliche di una società laica, cioè non devono influenzare le regole con le quali si amministra la giustizia, si prendono le decisioni politiche, si impartisce l’istruzione, si pratica la sanità, si rende possibile lo sviluppo della scienza e così via. Sono regole che non hanno bisogno di entrare in sistemi di credenze, ma che si depositano nelle pratiche pubbliche. In altre parole in una società laica le religioni fanno parte della sfera privata dei cittadini.
Ma tutto ciò non fa parte di una cultura fra le altre, della nostra cultura? E imporre queste regole non comporta il misconoscimento delle altre culture? C’è qualcosa di vero nelle riserve dalle quali traggono origine queste domande. La separazione tra potere politico e autorità religiosa si è delineata all’interno del cristianesimo come separazione tra popolo dei credenti e clero. La stessa parola "laico" deriva da una parola greca che significa "popolo". E proprio le rivendicazioni del popolo contro il clero furono spesso la base per la conservazione e lo sviluppo di un potere politico indipendente dall’autorità religiosa. Ma ciò non è avvenuto per la natura intrinseca del cristianesimo, per una sua ipotetica "bontà interna", perché il cristianesimo, come gran parte delle altre religioni, ha sempre preteso di imporsi sugli altri. La diffusione del cristianesimo nel mondo romano, dove c’era un forte potere politico, collegato a pratiche religiose ma privo di un clero unitario, ha favorito la separazione delle funzioni. Far valere le istanze del laicismo significa perciò non imporre una cultura sulle altre, ma estendere ad altre comunità le regole che per le vicende casuali della storia sono emerse in una famiglia di tradizioni. Questa estensione può anche essere intesa come un’imposizione culturale, ma si tratta di un’imposizione che è tuttavia compensata dall’offerta di mezzi per la liberazione degli individui dalle tirannidi religiose.
Il laicismo si scontra tuttavia con l’aggressività delle comunità religiose e il populismo dei movimenti politici. Negli anni nei quali in nome delle ideologie si stava conservando il potere di controllo della politica sulla cultura, instaurato dai regimi totalitari, Norberto Bobbio intraprese la difesa della libertà della cultura ed elaborò una critica efficace della giustificazione ideologica del potere politico. Oggi un compito urgente della cultura consiste nella critica delle credenze religiose. Populisti di plastica alla Berlusconi o populisti pane e salame alla Bossi respingono l’eredità dell’Illuminismo come i comunitaristi tutto cuore e tradizione; invece riprendere il lavoro degli illuministi è oggi urgente. E una cultura che voglia farlo dovrebbe porre tra i propri compiti, più che il riconoscimento delle comunità religiose, l’emancipazione da esse.

Il testo è parte della lezione che Carlo Augusto Viano terrà oggi a Roma sul tema «Laicismo e laicità» (Aula Magna, Istituto Caetani, viale Mazzini 36) nell’ambito delle «Lezioni Norberto Bobbio». Le lezioni sono organizzate dalla Fondazione Critica liberale in collaborazione con la Provincia di Roma



Giovedì, 25 novembre 2004