Riflessione
Intervista a Judith Butler

di Ida Dominijanni

[Dal quotidiano "Il manifesto" del 25 marzo 2008, col titolo "L’immaginario nazionale imposto a viva forza. Sovranita’, confini, vulnerabilita’: le due filosofe femministe americane ospiti giovedi’ 27 di una giornata di studio all’universita’ Roma Tre. Butler: Quelli che gli Usa uccidono non sono considerati veri ’esseri viventi’, sono considerati minacce per la ’vita’
come noi la conosciamo". All’intervista ha collaborato Marina Impallomeni.
Judith Butler, pensatrice femminista americana, nata nel 1956, insegna attualmente retorica e letteratura comparata all’Universita’ di Berkeley, California; e’ figura di primo piano del dibattito contemporaneo su sessualita’, potere e identita’; le sue ricerche rappresentano uno dei contributi piu’ originali all’interno dei cultural studies e della queer theory. Dal quotidiano "Il manifesto" del 24 marzo 2003 riprendiamo questa presentazione di Judith Butler scritta da Ida Dominijanni: "Judith Butler e’
una delle massime figure di spicco nel panorama internazionale della teoria femminista. Docente di filosofia politica all’universita’ di Berkeley in California, ha pubblicato nell’87 il suo primo libro (Subjects of Desire) e nel ’90 il secondo, Gender Trouble, testo tuttora di culto nei campus americani, cruciale per la messa a fuoco delle categorie del sesso, del genere e dell’identita’. Del ’93 e’ Bodies that matter (Corpi che contano, Feltrinelli, Milano 1995), del ’97 The Psychic Life of Power. Filosofa di talento e di solida formazione classica, Butler appartiene a quello stile di pensiero post-strutturalista che intreccia la filosofia politica con la psicoanalisi, la linguistica, la critica testuale; e a quella generazione del femminismo americano costitutivamente attraversata e tormentata dalle differenze sociali, etniche e sessuali fra donne e dalla frammentazione dell’identita’ che ne consegue. Decostruzione dell’identita’, analisi del corpo fra materialita’ e linguaggio, critica della norma eterosessuale e dei dispositivi di inclusione/esclusione che essa comporta, critica del potere e del biopotere sono gli assi principali del suo lavoro, che sul piano politico sfocia in una strategia di radicalita’ democratica basata sulla destabilizzazione e lo shifting delle identita’. Fin da subito attenta ai nefasti effetti dell’11 settembre e della reazione antiterrorista sulla democrazia americana, Butler e’ fra gli intellettuali americani maggiormente imegnati nel movimento no-war. ’La rivista del manifesto’ ha pubblicato sul n. 35 dello scorso gennaio il suo Modello Guantanamo, un atto d’accusa del passaggio di sovranita’ che negli Stati Uniti si va producendo all’ombra dell’emergenza antiterrorista: fine della divisione dei poteri, progressivo svincolamento del potere politico dalla soggezione alla legge, crollo dello stato di diritto con le relative conseguenze sul piano del diritto penale (demolizione delle garanzie processuali) e del diritto internazionale (violazione di trattati e convenzioni). A dimostrazione di come la guerra in nome della liberta’ e la soppressione delle liberta’ si saldino in un’unica offensiva di abiezione dei ’corpi che non contano’, per le strade di Baghdad e nelle gabbie di Guantanamo". Opere di Judith Butler disponibili in
italiano: Corpi che contano, Feltrinelli, Milano 1995; La rivendicazione di Antigone, Bollati Boringhieri, Torino 2003; Vite precarie. Contro l’uso della violenza in risposta al lutto collettivo, Meltemi, Roma 2004; Scambi di genere. Identita’, sesso e desiderio, Sansoni, Firenze 2004; Critica della violenza etica, Feltrinelli, Milano 2006. Da "Alias" del 7 ottobre
2006 riprendiamo anche la seguente scheda: "Di Judith Butler, filosofa californiana fra le piu’ amate e discusse del panorama femminista internazionale, sono disponibili in italiano Scambi di genere (Sansoni 2004, opinabile traduzione di Gender Trouble, il libro del 1990 che l’ha resa famosa, consacrandola come teorica queer), Corpi che contano (Feltrinelli 1996), La rivendicazione di Antigone (Bollati Borighieri 2003), Vite precarie (Meltemi 2003), La vita psichica del potere (Meltemi 2005). Critica della violenza etica testimonia la piu’ recente curvatura del percorso di Butler, che la porta ben oltre il dirompente inizio di Gender Truble, come lei stessa argomenta in Undoing Gender (Routledge 2004) di prossima uscita
(Meltemi): la sua ricezione italiana, troppo legata alla sua immagine di partenza, dovrebbe giovarsene. Per un confronto fra posizioni diverse all’interno di una comune matrice femminista poststrutturalista, cfr. Il resoconto di un recente incontro in Polonia fra Butler e Rosi Braidotti in www.metamute.org". Dal sito della Libreria delle donne di Milano riprendiamo la seguente recentissima scheda: "Judith Butler e’ Maxine Elliot Professor nel Dipartimento di Retorica e Letterature comparate all’Universita’ della California di Berkeley. Ha insegnato in precedenza a Princeton e tiene frequentemente corsi e conferenze a Parigi e Francoforte. Di formazione post-strutturalista, e’ una figura-ponte fra la filosofia europea continentale e la filosofia e le scienze umane nordamericane: fra gli autori piu’ ricorrenti nei suoi scritti: Hegel, Nietzsche, Foucault, Derrida, Freud, Lacan, De Beauvoir, Irigaray, J. L. Austin. Nota in tutto il mondo per il contributo decisivo che ha dato al pensiero femminista con la teoria della performativita’ del genere (Gender Trouble, 1990), lavora al confine fra filosofia politica, psicoanalisi e etica. Muovendo, fin dai primi libri, dalla teoria della sessualita’, dalla critica della nozione di identita’ e dal rapporto fra costituzione della soggettivita’, desiderio e norme, negli scritti piu’ recenti si interroga sullo statuto dell’umano e delinea una "ontologia della fragilita’" in risposta alla crisi del soggetto sovrano e della sovranita’ statuale. Per Gender Trouble, tradotto in venti lingue, e’
stata annoverata dal magazine britannico "The Face" fra le cinquanta personalita’ di maggiore influenza sulla cultura popolare negli anni Novanta. Con Precarious Life si e’ affermata come una delle piu’ impegnate voci critiche del pensiero politico americano del dopo 11 settembre.
Attualmente sta lavorando sulla critica della violenza di stato nel pensiero ebraico pre-sionista. Quasi tutta la sua opera e’ disponibile in italiano e la sua visita a Roma coincide con la traduzione italiana del suo primo libro, Subjects of Desires, e dell’ultimo, Who Sings the Nation State?, scritto con Gayatri Chakravorty Spivak. Opere di Judith Butler: Subjects of
Desire: Hegelian Reflections in Twentieth-Century France, Columbia University Press, New York 1987 (di prossima traduzione presso Laterza); Gender Trouble. Feminism and the Subversion of Identity, Routledge, London 1990 (trad. it. Scambi di genere. Identita’, sesso e desiderio, Sansoni, Milano 2004); Bodies that Matter. On the Discoursive Limits of "Sex", Routledge, London 1993 (trad. it. Corpi che contano. I limiti discorsivi del "sesso", Feltrinelli, Milano 1996); Exitable Speech: A Politics of the Performative, Routledge, London-New York 1997; The Psychic Life of Power:
Theories in Subjection, Stanford University Press, Stanford 1997 (trad. it.
La vita psichica del potere, Meltemi, Roma 2005); Antigone’s Claim. Kinship between Life and Death, Columbia University Press, New York 2000 (trad. it.
La rivendicazione di Antigone. La parentela fra la vita e la morte, Bollati Boringhieri, Torino 2003); Precarious Life. The Power of Mourning and Violence, Verso, London 2004 (trad. it. Vite precarie. Contro l’uso della violenza in risposta al lutto collettivo, Meltemi, Roma 2004); Undoing Gender, Routledge, London-New York 2004 (trad. it. La disfatta del genere, Meltemi, Roma 2006); Giving an Account of Oneself, Fordham University Press, New York 2005 (trad. it. Critica della violenza etica, Feltrinelli, Milano 2006)"]


- Ida Dominijanni: "Sovranita’, confini, vulnerabilita’": questo titolo suggerisce un nesso, se non un isomorfismo, fra la vicenda dello Stato e quella del soggetto. Le due nozioni dello Stato sovrano e del soggetto sovrano nascono assieme nel paradigma del Politico moderno. E’ possibile oggi tracciare un parallelo fra la crisi della sovranità statuale e la crisi dell’individuo sovrano?
- Judith Butler: Penso sia possibile considerare certe forme della psicologia dell’io e della psicoanalisi kleiniana come capaci di registrare le tracce della sovranita’ politica presenti nella psiche. Che tipo di ego o di psiche e’ quello che ha cara la propria impermeabilita’ sopra ogni altra forma di connessione o interdipendenza? La mia sensazione e’ che il "confine" dell’io funzioni diversamente in presenza di determinate condizioni dello Stato nazione, specialmente quelle in cui si teme l’"invasione", in cui viene dato un grande valore all’"integrita’ interna", in cui si rifiuta la dipendenza e in particolar modo l’interdipendenza globale.
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- Ida Dominijanni: Per quanto fosse rintracciabile gia’ in precedenza, la questione della vulnerabilita’ umana viene in primo piano nel tuo lavoro dopo l’11 settembre, assieme alla questione del lutto come pratica pubblica e dell’interdipendenza come antidoto alla politica della vendetta. Com’e’
stato influenzato il tuo pensiero dagli eventi dell’11 settembre?
- Judith Butler: Mi era chiaro che in risposta all’11 settembre il governo Usa, insieme a un sistema mass-mediatico di bassa lega, ha cercato di creare un soggetto nazionale pervasivamente maschilista, che si definisse come impermeabile, invulnerabile, perennemente aggressivo, e che rifiutasse i suoi legami internazionali. La questione attiene al modo in cui il soggetto nazionale risponde all’improvvisa presa di coscienza della sua vulnerabilita’. Era la prima volta che gli Stati Uniti venivano attaccati all’interno dei loro confini, dopo l’episodio di Pearl Harbor durante la seconda guerra mondiale. Gli Stati Uniti avrebbero potuto sfruttare questa opportunita’ per riconoscere la propria vulnerabilita’, e anche per riconoscere che questa vulnerabilita’ e’ generalizzabile - cosa che avrebbe potenziato gli accordi internazionali e transnazionali miranti a ridurre al minimo il rischio di violenza. Ma la loro strategia e’ consistita invece nel rimuoverla.
Questa versione del soggetto nazionale (una sorta di immaginario della nazione imposto a viva forza) e’ stata creata regolando il modo in cui intendiamo la morte o reagiamo ad essa. La morte delle vittime del World Trade Center non e’ stata considerata solo un fatto gravissimo, ma e’ stata innalzata ad uno status di straordinarieta’, di sacralita’. D’altro canto ci e’ stato impedito - e ci viene impedito tuttora - di vedere i morti di guerra. Cio’ significa che la regolazione del campo visivo in cui e’
possibile incontrare la morte resta cruciale per la guerra e per il nazionalismo su cui essa poggia. Certe vite sono degne di lutto, altre no, e questo serve a giustificare la violenza che infliggiamo e a rimuovere qualunque concezione della nostra precarieta’. Quelli che gli Usa uccidono non sono dei veri "esseri viventi", sono popolazioni che minacciano la "vita" cosi’ come noi la conosciamo. Questo e’ una pericolosa schisi che incide sulla cultura della guerra.
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- Ida Dominijanni: L’idea della vulnerabilita’ e dell’interdipendenza come base di una politica non violenta implica un rovesciamento del paradigma politico moderno basato sulla forza e sulla logica amico-nemico. In Critica della violenza etica definisci la vulnerabilita’ e l’interdipendenza in una prospettiva etica. Ma etica e politica, come sappiamo, per quanto siano connesse non coincidono. Sul fronte della politica istituzionale, dopo l’11 settembre la logica della forza e della violenza, della difesa della sovranita’ nazionale e della vendetta ha di nuovo prevalso. Puo’ un’etica della vulnerabilita’ e dell’interdipendenza farsi strada in pratiche sociali e politiche capaci di disturbare questa sorta di coazione a ripetere del Politico? Nel femminismo italiano, ad esempio, concepiamo la relazione fra donne come una forma sociale e pratica politica che mette in atto l’interdipendenza, contro il paradigma dominante dell’autonomia e della sovranita’.
- Judith Butler: Mi piace molto questa idea della relazione tra donne come forma sociale che mette in atto l’interdipendenza. La mia sensazione e’ che certi principi etici appaiano con evidenza ed entrino in gioco solo in virtu’ di situazioni politiche. Cosi’ per me non c’e’ etica al di fuori della pratica sociale e del terreno del potere. Mi sembra che qualunque decisione di mettere in atto la violenza, o di rifiutarla, abbia una dimensione etica, in quanto attiene alla condotta e al modo in cui giustifichiamo la relazione - qualunque relazione - che stabiliamo con la violenza. Ma non saremmo in situazioni di questo tipo se non fosse per l’esistenza dell’aggressione politica e, piu’ specificamente, di forme sociali di aggressione. Il movimento di autodifesa femminista e’ al contempo una pratica etica e politica. Non sarebbe necessario, se non fosse per la violenza contro le donne. E tuttavia incarna principi etici in forme sociali.
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- Ida Dominijanni: Un tema cardinale del tuo lavoro, secondo me, e’ la tua interpretazione della dinamica del ricoscimento come processo che non conferma l’identita’ di chi vi e’ implicato, ma la destabilizza e la trasforma. Ma il riconoscimento dipende anche, tu sostieni, dalle norme e dallo Stato, che tendono viceversa a fissare, normalizzare e gerarchizzare le nostre identita’. Se e fino a che punto affidare, o viceversa sottrarre, il riconoscimento collettivo alla legge, ai diritti e allo Stato, e’ una questione assai dibattuta nei movimenti politici, anche qui in Italia, dove si e’ ripresentata di recente a proposito delle convivenze e dei matrimoni gay. Tu che ne pensi?
- Judith Butler: A mio parere dobbiamo elaborare una nozione di "riconoscimento critico", ossia una pratica che consiste nel cercare riconoscimento nei termini delle norme esistenti (ad esempio, ampliare le norme per l’uguaglianza e la giustizia), ma anche nell’interrogare e mettere in discussione la portata e il carattere di queste norme. Se ci limitiamo a cercare il riconoscimento, resteremo legati alle norme esistenti. Ma se ci sta a cuore chi non riesce a ottenere riconoscimento dalle norme esistenti, o dal loro ampliamento, dobbiamo elaborare nuove forme sociali, ed anche nuove norme. Questo vuol dire interrogare i limiti del riconoscibile e formulare una politica precisamente su questo punto.
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- Ida Dominijanni: Un altro tema importante del tuo lavoro, nella mia prospettiva, riguarda il cambiamento dell’ordine simbolico, questione capitale anche nel pensiero della differenza sessuale italiano.
Personalmente leggo la tua teoria della performativita’, in Scambi di genere e in Excitable Speech, come una ricerca di pratiche di risignificazione che possono appunto modificare l’ordine simbolico. Altrove pero’ (La rivendicazione di Antigone, La disfatta del genere) sembri delineare un cambiamento dell’ordine simbolico (segnatamente della struttura dell’Edipo) che procede direttamente dal cambiamento sociale (segnatamente dalle nuove tipologie familiari post-nucleari). Che rapporto c’e’ secondo te fra ordine sociale e ordine simbolico e fra la trasformazione dell’uno e dell’altro, e quali pratiche pensi che possano innescare un circolo fra loro?
- Judith Butler: A mio modo di vedere, e’ un errore interpretare l’apparente intrattabilita’ di certi nuovi rapporti di parentela come il segno di un ordine simbolico che perdura immutato. Cio’ che chiamiamo "simbolico" e’
quella struttura del rapporto di parentela che appare difficile, se non impossibile, da cambiare. Chi difende il simbolico come un ordine dato e immodificabile e’ molto spesso costretto a patologizzare i rapporti di parentela che non si conformano alla sua legge. Di conseguenza, devono decidere costantemente che cos’e’ "veramente femminile" o "veramente intelligibile", producendo cosi’ un terreno di esclusione per una politica innovativa della sessualita’ e della parentela. Questa logica dimostra che c’e’ sempre un "fuori" dal simbolico: un terreno che e’ anche "vivibile", pur essendo costantemente allestito come "invivibile". Penso che sia possibile, ad esempio, pensare l’Edipo fuori dalla famiglia eterosessuale, ripensare la parentela stessa fuori dalle strutture familiari, e liberare la sessualita’ dal suo strangolamento nell’identita’.
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- Ida Dominijanni: La psicoanalisi gioca un ruolo cruciale nel tuo pensiero politico. Per parte mia, anch’io penso che oggi sia impossible ripensare l’ontologia politica senza uno sguardo psicoanalitico. Tuttavia il rapporto fra il livello psichico, sociale e politico della nostra vita e’ complesso.
Fino a che punto pensi che la psicoanalisi ci sia d’aiuto nel riformulare la teoria e soprattutto la pratica politica?
- Judith Butler: Penso che sia particolarmente importante, nella politica contemporanea, rintracciare le strategie di rimozione, considerare come il passato continui nel presente, anche come presente. Non so se possiamo riuscire a capire quello che succede in Medioriente senza un senso specificamente politico del trauma. E non so se possiamo riuscire a capire il razzismo, la misoginia, l’omofobia, la xenofobia senza considerare l’ansia e la paura che accompagnano le relazioni di prossimita’ con gli altri. Noi negoziamo costantemente i confini che ci separano dagli altri o che ci connettono con loro, e cio’ dimostra come certi problemi psicoanalitici, concepiti socialmente, informino la politica contemporanea sull’immigrazione (che riguarda sempre il confine: chi puo’ attraversarlo, e a quale prezzo per il se’?) e sulla guerra (chi puo’ irrompere attraverso un confine, e a quale costo?). Non credo che estrapolare un modello individuale della psiche per pensare le relazioni politiche funzioni: la cosa che mi pare piu’ promettente e’ considerare con quanta frequenza le relazioni politiche siano formulate in termini di ansia, paura, difesa, vendetta, aggressione, ma anche, e viceversa, di riparazione e relazionalita’.
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Postilla biobibliografica su Judith Butler
Judith Butler insegna nel Dipartimento di retorica e letterature comparate all’Universita’ della California di Berkeley. Nota in tutto il mondo per il contributo decisivo che ha dato al pensiero femminista con la teoria della performativita’ del genere, lavora al confine fra filosofia politica, psicoanalisi e etica. La sua visita a Roma coincide con l’imminente uscita in italiano del suo ultimo libro, Who Sings the Nation State? (in dialogo con Gayatri Spivak) per Filema, e del primo, Subjects of Desires, per Laterza. Gia’ tradotti Gender Trouble, 1990 (Scambi di genere, Sansoni 2004); Bodies that Matter, 1993 (Corpi che contano, Feltrinelli 1996), The Psychic Life of Power, 1997 (La vita psichica del potere, Meltemi 2005); Antigone’s Claim, 2000 (La rivendicazione di Antigone, Bollati Boringhieri 2003); Precarious Life, 2004 (Vite precarie, Meltemi 2004); Undoing Gender, 2004 (La disfatta del genere, Meltemi 2006);Giving an Account of Oneself, 2005 (Critica della violenza etica, Feltrinelli 2006).

Tratto da
NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
Supplemento settimanale del giovedi’ de
La nonviolenza è in cammino

Direttore responsabile: Peppe Sini.
Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Arretrati in:
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Numero 172 del 28 marzo 2008



Domenica, 30 marzo 2008