Filosofia
Il «vizio» di Galimberti: plagiato anche Natoli

di EDOARDO CASTAGNA *

-  Il filosofo di «Repubblica» è nell’occhio del ciclone per essersi «ispirato» al lavoro di Giulia Sissa.
-  Senza dichiararlo. Eppure non è la prima volta: già nel 1987 aveva attinto, sempre senza citarlo, agli scritti di un collega...

di EDOARDO CASTAGNA *

Galimberti non copia. «Galimberti dimentica i virgolettati». Queste le sue parole di difesa, riportate - tra virgolette - domenica da Il Giornale, il quotidiano che ha ’pizzicato’ nell’ultimo saggio del filosofo, noto al grande pubblico prima per le sue comparsate al Maurizio Costanzo Show e poi per le paginate su La Repubblica, tutta una serie di passi simili in modo imbarazzante ad altrettante frasi de Il piacere e il male (Feltrinelli) di Giulia Sissa, moglie dell’antichista Marcel Detienne.

Galimberti difende il suo L’ospite inquietante (ancora Feltrinelli) sostenendo: «Io lavoro così, leggo il libro e poi scrivo. Non faccio virgolettati, racconto. È stato questo il mio errore». Il che non ha minimamente soddisfatto la Sissa, ricercatrice e ’cervello in fuga’ all’Ucla di Los Angeles, che ieri si è sfogata con il Corriere della Sera: «Quello di Galimberti non è stato un chiedere scusa, piuttosto un cercare delle scuse, un patetico arrampicarsi sugli specchi». Il filosofo, in sintonia con un editore in posizione decisamente scomoda, promette di riparare quanto prima, inserendo nella prossima edizione del suo lavoro i dovuti riconoscimenti alla Sissa (che nella prima versione è citata appena una volta, e pure male).

Galimberti precisa che all’origine della ’svista’ c’è il fatto che le sue pagine incriminate erano la rielaborazione di una recensione da lui dedicata nel 1999 proprio al libro della Sissa, dove ’riassumeva’ il suo pensiero: «È che sono uno che si innamora della bella scrittura, e non sono abbastanza filologo... Mi piacevano le frasi della Sissa, le ho rielaborate, poi a dieci anni di distanza non mi ricordavo più che cosa fosse suo e cosa mio». Tacendo sull’entità - davvero minima - della ’rielaborazione’, la colpa quindi sarebbe quindi di una recensione e di dieci anni trascorsi. Una dinamica che però non si può proprio applicare a un altro caso di somiglianze ’sospette’ tra passi di Galimberti e altri scritti. Sì, perché il «vizietto» del professore sembra essere stato assai precoce: risale infatti al 1987 il saggio Gli equivoci dell’anima, nel quale l’allora quarantacinquenne filosofo, già da più di dieci anni cattedratico a Venezia, ha ’riassunto’ e ’rielaborato’ numerose intuizioni del suo collega e coetaneo Salvatore Natoli. Anche questa volta, ’dimenticando i virgolettati’.

In quel 1987 i saggi di Natoli che hanno ’ispirato’ Galimberti erano stati pubblicati su due riviste di settore; soltanto più tardi sarebbero stati raccolti in volume, quello del 1986 in Vita buona, vita felice (Feltrinelli - e chi, sennò? - 1990) e quello del 1982 in Teatro filosofico (Feltrinelli 1991). I passi sospetti riportati in questa pagina sono soltanto alcuni fra quelli nei quali la corrispondenza è letterale, o quasi; ma altre intuizioni galimbertiane appaiono profondamente ispirate dal lavoro di Natoli. In anni più recenti, è possibile che la ’somiglianza’ abbia incuriosito lo stesso Galimberti, tanto che nelle successive edizioni de Gli equivoci dell’anima si è premurato di inserire alcune note, che dovrebbero rendere - nelle intenzioni - a Natoli il suo merito. Un correre ai ripari che suona da mezza ammissione di colpevolezza: tuttavia, spesso le virgolette ’dimenticate’ continuano a essere tali (salvo poche eccezioni), a fronte dei numerosi passi gemelli, e i nuovi inserimenti non sembrano sufficienti a render conto di tutte le frasi che il filosofo di Repubblica pare aver preso di peso dai saggi di Natoli.

Dimostrando anche - vista la lunghezza dei passi - di possedere una memoria veramente fuori dal comune.

 

«Copia e incolla» o ispirazione? Ecco i brani incriminati

Riportiamo in queste colonne alcuni esempi - per nul­la esaustivi - di somiglianze sorprendenti tra passi dei saggi di Salvatore Natoli e il volume di Umberto Ga­limberti. A sinistra, i passaggi di Natoli, estratti da due riviste (le sigle identificano le pubblicazioni e i nume­ri di pagina): i primi cinque estratti sono parte del sag­gio «Soggettivazione e oggettività. Appunti per un’in­terpretazione dell’antropologia occidentale», apparso su «Il sapere antropologico», 1/1986; i successivi, da «Télos, skópos, éschaton. Tre figure della storicità», pub­blicato su «Il Centauro», 5/1982. A destra, su fondo gri­gio, gli equivalenti passi galimbertiani, estratti dalla prima edizione (quella dove il nome di Salvatore Nato­li non appare mai) de «Gli equivoci dell’anima» (1987).

-  Natoli: «Rivolgendosi alla propria inte­riorità, l’anima guadagna profondità. Ma la profondità è insieme l’estremamente distante dal sensibile [...]» (S30)
-  Natoli: «Quest’idea di separazione ed au­tosufficienza dell’anima costituirà uno dei filoni determinanti dell’antropologia occidentale [...]. La felicità non coinciderà più con la fruizione piena ed equilibrata della propria corporeità, ma sarà rinvia­ta, potrà essere spostata alla fine della vi­ta terrena o sublimata in un logos eterno indifferente al fluire della vita» (S13)
-  Natoli: «Porsi in rapporto con la verità e­quivale a svolgersi come interiorità. Que­sto motivo platonico sarà ripreso più tar­di dalla filosofia cristiana: in interiore ho­mine habitat veritas, dice la tradizione a­gostiniana » (S31)
-  Natoli: «Le tecniche di emancipazione dalla corporeità esigevano un controllo estremo del corpo e perciò una cono­scenza sempre più approfondita di esso [...]. In una parola, bisognava avere mi­sura delle capacità del corpo per domi­narle e reprimerle o investirle e subli­marle » (S33)
-   Natoli: «La [...] trasformazione del pen­siero in rappresentazione: da luogo delle idee, o mente, a orizzonte della presenza [...] Se prima, dunque, l’anima, quale so­stanza spirituale, abitava il corpo, adesso [...] è [...] limite estremo della presenza, to­tale esteriorità rispetto a tutto ciò che es­sa include» (S14-15)
-  Natoli: «Il finito, infatti, è perfectum, vuoi come compiuta definizione concettuale, vuoi come eterno ritorno dell’uguale [...]. Entelécheia significa entelés écho, cioè a dire: ho compimento; è lo stesso che di­re sono compiuto, finito» (C12-13)

-  Galimberti: «Rivolgendosi alla propria in­teriorità, l’anima guadagna in profondità che è insieme l’estremamente distante dal sensibile [...]» (G50)
-  Galimberti: «Quest’idea di separazione e di autosufficienza dell’anima costituirà uno dei filoni determinanti dell’antropo­logia occidentale [...]. La felicità non coin­ciderà più con la fruizione della propria corporeità, ma sarà spostata alla fine del­la vita terrena, in una dimensione eterna, indifferente al fluire del tempo» (G51)
-  Galimberti: «Questi due motivi ricom­paiono identici nella tradizione cristiana [...]. Con essa, infatti, si ribadisce che la ve­rità abita l’interiorità e disabita il mondo. I motivi agostiniani: in interiore homine habitat veritas [...]» (G51)
-   Galimberti: «Le pratiche di emancipa­zione dalla corporeità esigeranno un con­trollo sempre più accurato del corpo e quindi una sua conoscenza sempre più approfondita; bisognerà cioè aver consa­pevolezza delle capacità del corpo per po­terlo dominare, reprimere o sublimare» (G51)
-  Galimberti: «Da sostanza spirituale che abita il corpo [...] l’anima diventa l’orizzonte [...]. Questa inclusione fa del­l’anima il limite estremo della presenza, l’esteriorità rispetto a tutto ciò che essa include» (G52)
-  Galimberti: «Il finito è perfectum, perché compiuto, perché non lascia nulla fuori di sé [...]. Entelés écho significa infatti: ’ho raggiunto il compimento’, ’sono com­piuto’ » (G113)

-  Natoli: « Skopós significa fine, ma questa vol­ta nel senso di bersaglio, meta [...]. Una vol­ta che lo scopo è raggiunto, è, perciò stes­so, radicalmente consumato» (C22)
-  Natoli: «Questa asserzione, inoltre, è inclu­sa in una più generale argomentazione che distingue tra volontà e proponimento [...]. La conclusione aristotelica è chiarissima: ’ tutti infatti vogliamo ciò che ci siamo anche pro­posti, però non tutte le cose che vogliamo ce le proponiamo » ( Eth. Eud., 1226b, 17-19) [...]. La deliberazione calcola anche l’intervallo di tempo che intercorre tra la de­cisione e la realizzazione, e quindi tutte le opportunità che il tempo concede» (C24)
-  Natoli: «Il kairós designa una temporalità complessa e qualitativa. La radice indoeu­ropea della parola krr raffigura un’idea di unione, di armonia [...], ossia una situazio­ne temporale articolata in sé stessa e so­prattutto collegata con il recente passato e l’immediato futuro. Questa temporalità è perfettamente congruente con lo skopós » (C25)
-  Natoli: «L’éschaton, infatti, è il tempo di Dio [...]. Apocalisse è, infatti, rivelazione o, più propriamente, svelamento da apo-kalýpto: dis/occulto, scopro il celato. Il verbo kalýp­to, infatti, risale alla stessa radice indoeu­ropea kel da cui il celo latino, che significa appunto occulto, copro, nascondo. L’apo­calisse svela [...]. Quanto abbiamo detto fi­nora configura l’éschaton come assoluto fu­turo » (C27-29)
-  Natoli: «Lo spirito dell’Utopia ha carattere progressivo sia nell’ordine del tempo che nella determinazione degli scopi [...]. Lo spi­rito rivoluzionario, al contrario, considera lo sviluppo del tempo come movimento ac­celerato verso la fine e considera la fine co­me esplosione-dissoluzione del male» (C41)

-  Galimberti: « Skopós è parola greca che si­gnifica [...] ’l’oggetto su cui si fissano gli oc­chi’, quindi ’il bersaglio’, ’la meta’ [...]. Quando lo scopo è raggiunto, è per ciò stes­so consumato» (G114)
-  Galimberti: «La differenza aristotelica tra volontà e proponimento ribadisce questa categoria: ’Tutti infatti vogliamo ciò che ci siamo proposti, però non tutte le cose che vogliamo ce le proponiamo» ( Etica eude­mia, 1226b, 17-19). Nello scarto tra volontà e proponimento c’è tutto lo spazio del de­siderio che occupa l’intervallo che corre tra il presente e il futuro, tra l’intenzione e la sua realizzazione [...]» (G115)

-  Galimberti: «Di qui l’importanza del kairós, la cui radice krr dice unione, nodo, armo­nia. Ciò che si tratta di unire e annodare ar­monicamente è il recente passato che con­ferisce al presente le condizioni per opera­re sull’immediato futuro. Solo nel buon in­treccio di questo nodo qualcosa può confi­gurarsi come scopo» (G115)
-  Galimberti: «L’éschaton [...] è il tempo di Dio [...]. Apo-kalýpto significa dis-occultare, sve­lare il celato. La radice kel, da cui il celo lati­no, significa: occulto, copro, nascondo. L’a­pocalisse svela [...]. L’éschaton inaugura una temporalità che è assoluto futuro » (G115-116)
-  Galimberti: «La chiave [...] dell’utopia ha un carattere progressivo nell’ordine del tempo e nella determinazione degli scopi, mentre quella della rivoluzione ha un carattere e­splosivo perché segna un’accelerazione del tempo verso la fine, per l’irruzione dell’ele­mento salvifico e risolutore» (G118)

* Avvenire, 22.04.2008



Domenica, 27 aprile 2008