«Sul testamento biologico abbiamo proposto soluzioni ragionevoli»

Intervista a Sergio Rostagno


a cura di Gaëlle Courtens

Roma (NEV), 27 giugno 2007 - In questi giorni si è tornati a parlare su alcuni organi di stampa del testamento biologico. I disegni di legge sono fermi al Senato, complici le manovre politiche dei diversi schieramenti. L’Agenzia stampa NEV ha intervistato in merito Sergio Rostagno, coordinatore della Commissione creata nel 1992 dalla Tavola valdese per studiare i problemi etici posti dalla scienza. Rostagno è stato titolare della cattedra di teologia sistematica alla Facoltà valdese di teologia di Roma dal 1976 al 2002.

Il dibattito in Senato sul testamento biologico è in una fase di stallo. Come teologo valdese come si pone di fronte a questa elusione politica?
L’Italia non sa se deve diventare esplicitamente lo Stato vaticano oppure avviarsi a una serie di aggiornamenti e dare alle argomentazioni il peso che loro conviene indipendentemente dalle sedi più o meno sante che li avanzano o dalla massa di elettori che preme in un senso o nell’altro. Viviamo un momento molto difficile per i rapporti tra filosofie e teologie politiche da un lato e la realtà dall’altro. Vedo la minaccia di una tenaglia nell’accordo tra il tomismo e quello che resta del marxismo. Ma continuo a sperare che altre vie d’uscita diventino percorribili.

Le chiese protestanti non hanno una posizione ufficiale in riferimento ad una legge sul testamento biologico. La Commissione della Tavola valdese per le questioni etiche poste dalla scienza quale posizione esprime?
Abbiamo più volte soppesato gli argomenti e proposto soluzioni ragionevoli sia in tema di direttive anticipate sia riguardo a quella zona veramente difficile in cui i malati stanno tra la vita e la morte e i medici a loro volta possono abbreviare o allungare le sofferenze. I testi si trovano sul sito della Tavola valdese (www.chiesavaldese.org). A noi sembra che una legge non possa regolare ogni decisione in tutte le circostanze, ma forse è necessaria una legge che garantisca al malato il libero consenso, lo difenda da ogni possibile sopruso e impedisca poi di considerare assassini i medici che prendono decisioni responsabili che abbiano per conseguenza la morte immediata di chi soffre.

Le nuove frontiere della medicina hanno dato luogo a dilemmi etici inediti; è lecito giustificare "teologicamente" le proprie posizioni in merito a questioni profondamente delicate quali il testamento biologico, o è sbagliato porre il discorso su questo piano?
In questo momento la questione che mi fa riflettere di più è la garanzia dell’autonomia della persona in merito alle direttive anticipate. Sembra che si voglia impedire la sua autonomia in nome di leggi ideali cui ognuno è tenuto a piegarsi. Queste leggi generali sarebbero violate dalla decisione della persona particolare, e per questo occorrerebbe impedirla. Tutto ciò è molto discutibile. Non siamo soli davanti a Dio e nessuno può o deve essere lasciato solo di fronte a decisioni importanti; ma la solidarietà non si esprime con divieti, almeno in questo caso. La buona politica garantisce al cittadino l’autodeterminazione, del tutto in armonia con la Costituzione italiana, come Stefano Rodotà ha ben messo in evidenza nell’articolo pubblicato ieri su “La Repubblica”.

Cosa risponde a chi teme che il testamento biologico possa essere considerato quale apripista al riconoscimento dell’eutanasia?
Si tratta di cose diverse. Ci sono infinite situazioni diverse. Dobbiamo risolvere i problemi uno alla volta e non applicare alla cieca principi astratti. I principi generali sono conseguenze pensate da noi e non premesse venute dal cielo; possono quindi aiutarci nelle scelte, ma non devono essere applicati meccanicamente ai nostri casi particolari. È bene che si fissi il limite oltre al quale non si vuole andare, ma al di qua di tale limite, è bene che si lascino aperte varie vie. Un caso è sempre concreto. Difficile quindi decidere in astratto sul caso concreto.



Giovedì, 28 giugno 2007