Moratoria per l’aborto

di Gloria Capuano

Vorrei spiegare perché a volte pur avendo ragione si può avere torto


GLI uomini da sempre sono bravissimi ad esigere la perfezione dalle categorie deboli (vedasi il classico ladro di polli). Ma qui non si tratta di polli ma di feti. Allora ci spostiamo nella scacchiera più in là, molto più in là, anzi oltre.
E ripetiamo che i maschi sono bravissimi a mettere mano nel misterioso groviglio femminile perché presumono di avere l’autorità della certezza o meglio la certezza della loro autorità.
Si sentono terribilmente intelligenti, ora con la chiave d’oro dell’etica, fideistica o laica, ora con il massiccio chiavistello della scienza.
Poi vai a guardare e vedi che questi uomini per capire qualche cosa, assai poco, della realtà, la spezzettano in innumerevoli rivoli specialistici così che la realtà finisce per sfuggirgli totalmente di mano.
Gli uomini non si fanno scrupolo di allevare bambini soldato o terroristi, così come di stuprarli o di venderli interi o a pezzi, non si fanno scrupolo di commerciare in armi per guerre e terrorismi e criminalità varie, senza che nessuno parli di moratoria di sorta per interrompere questi che altro non sono che (mal)costumi o, se preferite, malsana cultura.. Nessuno perché nella scala dei valori maschili è la forza che svetta in cima ad essa, ma un tipo di forza che mal si distingue dalla violenza.

Moratoria per la pena di morte, moratoria per l’aborto, superficialmente assimilando l’una all’altro. Non fa una piega, si tratta di rispetto della vita, quindi…tandem ineccepibile, e infastidisce dover spiegare che così non è e anche di dover spendere tante parole superflue per assicurarsi a vicenda che nessuno è per l’aborto così come nessuno vuole ripenalizzare l’aborto.
Lo stesso è stato per un noto giornalista che non esita a usufruire della sua notorietà - a forte costo muliebre - come non sapesse il grande potere ch’essa comporta.

Ecco perché si possono con disinvoltura imporre regole da maschio a femmina mettendosi in zona di sicurezza con ammortizzatori facili a dirsi ma difficilissimi da attuare senza, ripeto, grave ricaduta dannosa per le donne.
In realtà il maschio si rivela privo di pudore quando scruta e mescola e rivolta con ambo le mani tuffate nel mondo femminile che lui disconosce e calpesta da sempre (mi prostro in scuse davanti alle moltissime eccezioni). Mi sovviene sempre in questi frangenti l’uso dei signorotti medievali di censire le donne gravide per poter contare su un certo numero di soldati, una sorta di Erodismo a rovescio o meglio a distanza a garanzia delle nascite programmate per futuri massacri.

La realtà dovrebbe rispondere alle seguenti coordinate:
Mai la legge dovrebbe interferire nella dimensione femminile, incarcerata e ghettizzata dal mondo maschile. Questo avrebbe impedito e impedirebbe a molti popoli l’infanticidio delle femmine e in altri automaticamente avrebbe depenalizzato e depenalizzerebbe l’aborto.
Da noi la legge ha interferito appunto per annullare leggi che penalizzavano l’aborto, un male quindi per sortire un bene.

C’è bisogno che anche io come tutti intercali di non essere favorevole all’aborto come del resto credo e spero non lo siano gli altri tutti?
Non sono favorevole all’aborto come non sono favorevole alla guerra, ma non sono così sognatrice da credere che sia la guerra sia l’aborto siano depennabili con gesti e dichiarazioni teatrali.
Siamo nel profondo della cultura umana, di una cultura ancora intrisa e impastata da un biologismo deteriore dal quale il bene e la civiltà svettano solo per virtuosismi teorici rigorosamente moralistici o anche etici ma lontanissimi dalla realtà.

Quanto al noto giornalista - peraltro sicuramente in buona fede - non mi sembra avere idee chiare, “non sto parlando di un feto con due teste ma di una semplice malattia, il morbo di Recklinghausen” dice. Ma allora l’eugenetica la applica anche lui, cioè pone un confine tra un aborto lecito e uno non lecito. Il feto con due teste lo si può eliminare.

Giustamente la conduttrice delle “ Invasioni barbariche” (TV7 del 22 / 2008) gli fa notare che se lui operasse un distinguo tra l’eliminazione delle femmine in certi, troppi, Paesi asiatici e l’aborto nostrano di tutt’altra natura, si sarebbe tutti d’accordo nell’invocare la moratoria, anzi la cessazione di un crimine di genere così nefando. Poi però sopraffatta dalla maggiore potenza vocale dell’interlocutore e dalla sua passionalità ha tentato con scarso successo e non senza l’errore di confondere le motivazioni di lusso con quelle dell’estremo bisogno, di spiegare l’aborto nostrano.
Nonostante le sovrapposizioni vocalmente violente dell’uomo sulla donna è comunque emerso che attualmente a richiedere l’aborto sono in netta prevalenza le immigrate. Per questioni di sopravvivenza dunque: con un bambino nell’addome e poi un figlio a carico una donna perde o non trova lavoro.

Ma Ferrara, di lui stiamo parlando, ha pronto un rimedio: 300 euro al mese, mi pare d’aver capito per 32 mesi, e poi chi “s’è visto si è visto”. Incredibile.

Allora data questa valutazione di una maternità che in realtà viene a cessare alla maggiore età del figlio ( e va anche oltre), i 300 euro al mese fanno semplicemente ridere.
Quel che manca è la famiglia, la donna non può essere lasciata sola con o senza i 300 euro al mese.

Per questo azzardo anche io una proposta: si sostituisca l’opzione aborto con l’opzione di rinuncia alla maternità ( che già esiste) ma con affidamento del nato a coloro che osteggiano - peraltro per sani principi - l’aborto. Costoro dovrebbero costituire una sorta di fondazione per l’accoglienza e la cura e il mantenimento dei nati senza famiglia. Alla donna rinunciataria, vuoi per patologia del feto vuoi per difficoltà economiche, vuoi perché non pronta o non idonea alla maternità, resterebbe il non indifferente gravame di condurre a termine la gravidanza.
La Fondazione Antiabortisti dovrebbe sostituirsi alla famiglia anche nei sentimenti, non solo economicamente. Allora capirei di più certe crociate a costo zero di chi le promuove.

Ma il problema concettuale non è risolto (anche se personalmente non lo ritengo risolvibile). Occorre soffermarci su di esso, certo non quanto sarebbe necessario, ma almeno al minimo indispensabile.
Ferrara parte da un assunto ineccepibile e cioè che la responsabilità dell’aborto è del maschio. Al 90 % lo ritengo giusto, ma per il 10% o più, è della femmina quando fa di tutto per rimanere incinta in una prospettiva economicamente appetibile. In specie con assai anziani partner alquanto dimentichi del significato di assunzione della paternità implicito negli amplessi non protetti.

L’errore logico è nel voler intervenire nell’ultimo anello di una lunga sequenza comportamentale, con grave penalizzazione della donna, e nel non dedicarsi viceversa a tempo pieno per conquistare alla paternità i maschi.
Ma questa è cosa troppo difficile in una civiltà in cui gli uomini considerano il sesso un fatto godereccio irrinunciabile cui hanno diritto, condito da una massiccia dose di millanteria e vanità.
E’ molto più comodo trattare la donna come un contenitore subalterno a un contenuto, ed esigere solo da lei un riscatto etico dalla barbarie umana.

Questo breve articolo può dirsi concluso ma rispondo ancora a chi potrebbe sembrare che io non sia neppure entrata in argomento quale appare dai comuni dibattiti.
Volutamente evito di aggiungere anche la mia alle tante voci che si elevano ovunque perché sono scandalizzata o meglio rattristata che in un mondo in cui le donne sono seviziate, uccise da padri e da fratelli, da amici, da mariti o ex compagni, stuprate, relegate a infimi ruoli, sempre subalterne anche in famiglia, ci sia ancora chi scopra come insegnare loro ad essere donne programmate volenti o nolenti per la maternità quindi come prigione, sorretto da una passione ossessiva per la tutela della vita a partire dal momento del concepimento.
E qui si apre il grande capitolo biologico e etico senza vie d’uscita indenni da violenza sulla persona di sesso femminile.
Per questo ho parlato di pudore, entrino gli uomini in punta di piedi nel mondo femminile, altro che mettersi in cattedra a difesa dell’uovo fecondato nella ideologica presunzione che per ciò stesso esso costituisca titolarità alla vita anche a prezzo delle scelte di vita altrui.
Non si vuole capire che ciò che nel mondo animale rientra nella norma, cioè l’aborto spontaneo di un prodotto imperfetto o una nascita senza prospettiva di una vita normale che sarà abbandonata, nell’uomo si va all’eccesso opposto, si vorrebbe poter manipolare tutto in un senso o nell’altro con pretese di difesa o accuse di offesa alla vita, donna inerte a subire, esautorata della sua più intima e misteriosa problematica.
Quando il vero drammatico dibattito attiene all’ambiente culturale che l’ha da sempre letteralmente fagocitata.
Il problema è totale, non è lecito imbrigliarlo in una responsabilità coatta unilaterale.

Si rifletta che la vita umana è tenuta in assai poco conto dovunque, nelle più diverse società, nelle diverse politiche, nelle diverse religioni, e costumi e culture, nelle diverse economie, ed è questo che va combattuto, la questione aborto seguirebbe. C’è tanto da lavorare per bloccare quel che a me appare un vero disastro mondiale, dobbiamo guardarci in faccia e ammettere che tutto dovrebbe essere rimesso in discussione, proprio tutto, ben altro che agitare il vessillo di una moratoria dell’aborto, ingerenza offensiva e inopportuna.
Se riuscissimo a far virare la cultura dell’uomo verso una capacità d’identificarsi d’ogni essere umano nell’altro, e in primo luogo nell’altra, l’aborto non troverebbe che assai ridotte motivazioni.

Inopportuna anche - scendendo nel nostro particolare - perché sul collo d’elezioni già prive di chiarezza, con il rischio di spostare consensi così viziati da così riattizzati contrasti ideologici.

23 febbraio 2008



Lunedì, 25 febbraio 2008