Eluana Englaro: necessaria una legge sulle questioni di fine vita

di di Erika Tomassone,
pastora e membro del Comitato bioetica delle chiese metodiste e valdesi

Lo scorso 9 luglio la prima corte d’appello civile di Milano ha riconosciuto il diritto costituzionale di Eluana Englaro di interrompere le cure che la mantengono in stato vegetativo permanente da sedici anni. Contestualmente, il padre di Eluana, in qualità di tutore, è stato autorizzato ad interrompere il trattamento di alimentazione e idratazione forzata. Il 16 luglio il Senato della Repubblica apre le procedure per sollevare un conflitto di attribuzione con la Corte di Cassazione, presso la Corte Costituzionale. Questo significa che il Senato assume che la Corte di Cassazione abbia invaso il campo di attribuzioni che invece spettano al Parlamento, di cui il Senato è un ramo. In realtà la Corte di Cassazione non ha fatto altro che svolgere il suo compito proprio, vale a dire rispondere ad una domanda nell’ambito di giustizia. Il potere legislativo di cui il Senato è parte ha invece da anni disatteso il suo compito, vale a dire l’emanazione di una legge atta a regolare le questioni di fine vita. Certamente si tratta di materia eticamente sensibile che richiederebbe al legislatore serietà di approccio scientifico, rispetto per la Costituzione (art. 32), indipendenza e sovranità rispetto a posizioni etiche frutto di scelte religiose che non possono che essere liberamente assunte e non imposte a tutti. Quello che è mancato in Italia è una legge che, come in ogni Stato di diritto, regoli le azioni dei cittadini e delle cittadine davanti allo Stato, qualunque sia il loro orientamento etico particolare. Più che censurare la Cassazione, il Parlamento, nei suoi due rami, deve seriamente arrivare ad una legge non sull’onda del “caso Englaro”, ma nel rispetto dei cittadini e delle cittadine che, in stato di salute e piena coscienza, possono esprimere le loro volontà come parte di un patto terapeutico in quanto soggetti consapevoli. Se esistesse una tale legge, non ci sarebbe stato alcun bisogno di rivolgersi alla Cassazione. Da quello che ho potuto consultare non è qui in gioco un conflitto tra vari componenti di una stessa famiglia (come nel caso di Terry Schiavo) o una stanchezza della famiglia Englaro rispetto alle cure per la figlia (non è che qualcun altro si debba sostituire nella responsabilità per la ragazza), o una superficialità nella valutazione dello stato vegetativo permanente di Eluana. In gioco è il diritto di una persona ad esprimere la sua volontà su situazioni di fine vita, in rapporto a eventuali terapie da mettere in atto oppure no. Questo è il vero nodo nella legislazione italiana, ma anche nella pratica sanitaria. Perché si teme tanto l’assunzione di responsabilità dell’individuo? Nessuno Stato può eliminare dalla mia vita il dilemma etico, e se pretende di farlo muta natura e fa dei suoi cittadini dei sudditi e non degli individui liberi. Forse perché alla parola libertà viene associato l’arbitrio? La parola libertà si lega invece alla parola responsabilità. Farsi carico della propria vita. Mi auguro che tutti coloro che in questi giorni utilizzano la situazione coraggiosa e sofferente della famiglia Englaro per i propri fini ideologici o politici sappiano fare un passo indietro, perché le questioni in gioco non possono essere oggetto di battaglie ideologiche, piuttosto di un serio lavoro legislativo. (NEV 29/30)



Mercoledì, 30 luglio 2008