sul “Caso Eluana”
Il coro taccia

di Piergiorgio Cattani

Nelle tragedie greche spesso il coro che accompagna i personaggi principali sulla scena rappresenta la città e i sentimenti del popolo. In questi casi il coro non prende parte all’azione ma svolge quasi un ruolo di commento capace di sottolineare, a volte attraverso il lamento, la difficoltà della situazione. Il coro osserva, si divide, ma non può sbrogliare la matassa che si dipana davanti ai suoi occhi. Sono i pochi personaggi che devono affrontare la tragedia, il destino avverso, il fato che, secondo la mentalità greca antica, si abbatte inesorabile sugli uomini. Così accade anche a noi, a quel coro che oggi si chiama opinione pubblica, dinanzi alla vicenda di Eluana Englaro, la donna ormai 36enne che da 16 anni giace in coma vegetativo dopo un incidente stradale che la colpì a vent’anni nel fiore della giovinezza.
I personaggi della tragedia ci sono. Innanzitutto lei, Eluana, presenza muta, che non può essere identificata con il suo corpo che respira autonomamente, in forza della sua giovane età, ma che vive grazie al progresso tecnologico. Poi il padre, forse il vero protagonista, che da anni lotta per fare “la volontà di Eluana” che mai, secondo varie testimonianze, avrebbe voluto ritrovarsi in questa situazione. Il padre vuole che sua figlia sia lasciata morire e per questo si scontra con un altro personaggio: la legge, rappresentata dai tribunali, dalle sentenze, dai giudici, dai ricorsi, che in questo lungo lasso di tempo hanno fatto quasi una danza macabra intorno alla povera ragazza. Poi ci sono i medici e le suore-infermiere che sicuramente con amore curano Eluana. Sopra tutti questi personaggi aleggia un clima pietoso ma plumbeo, in cui ogni scelta diventa eticamente impossibile, in cui la vita non è vita e la morte non è ancora morte, in cui il traguardo positivo resta solamente far terminare un’esistenza diventata una lunga, lunghissima, inconcepibile agonia.
Di fronte a loro ecco il coro, dissonante e diviso al proprio interno, tra le immediate e veementi prese di posizione cattoliche (che oscillano tra i giudizi ultimativi e senza compassione di alcuni giornali e di commissioni e associazioni, e il dissenso pensoso e misericordioso del cardinale di Milano) e gli altrettanto certissimi commenti di parte laica che a volte sfociano in un giubilo malcelato e sicuramente fuori luogo. Forse un po’ di silenzio da tutte le parti sarebbe auspicabile, di fronte a una situazione che non può essere risolta obbedendo a qualche legge etica o religiosa. No, come avevano intuito i greci, di fronte alla tragedia l’etica salta, l’uomo è solo, la religione entra in conflitto con il diritto e viceversa, la città si divide, la politica è impotente, anche Dio può aiutarci molto poco. Ed è veramente ridicolo che si invochi l’intervento del legislatore quasi che il parlamento, e questo parlamento, abbia la bacchetta magica per dirimere i dilemmi. Si accusano i giudici di aver violato la costituzione, si applaude alla libertà di coscienza e al diritto di morire. Il coro diventa invadente, soffocante. I protagonisti rimangono là nel loro dramma.
Questo, non un altro, è il contesto in cui ci troviamo a svolgere alcune riflessioni dopo che un tribunale di Milano ha autorizzato il padre a interrompere l’alimentazione della figlia e quindi a lasciarla morire. Il tribunale ha motivato la sua sentenza attraverso due principali strade. Innanzitutto il giudice ha fatto leva sul lunghissimo lasso di tempo trascorso dell’incidente di Eluana: sedici anni sono sufficienti per far dire più volte alla sentenza che “nessun recupero della vita cognitiva è ormai possibile”, la povera Eluana resterà così magari per altri vent’anni.
Stiamo parlando di 16 anni, quasi metà della sua vita passata incosciente e passiva. Non c’è desiderio di morte, necrofilia (sostantivo utilizzato dal quotidiano “Avvenire”) nel padre né nei giudici. Rendersi conto di questo tempo trascorso è un aspetto fondamentale per comprendere in pieno la concretezza della situazione senza giudicarla attraverso categorie immutabili e astratte, valide sempre ma alla fine fredde e fuorvianti.
C’è però un’altra ampia motivazione della sentenza che lascia perplessi. Si tratta delle considerazioni svolte sul carattere di Eluana, sul suo temperamento libero, sulla sua voglia di vivere, sulle sue reiterate affermazioni che avrebbe preferito morire piuttosto che vivere paralizzata o in coma. Addirittura nella sentenza è riportata la testimonianza di un’amica: un amico comune era morto in un incidente stradale e Eluana disse più volte che era stato fortunato a morire invece di rimanere immobile, attaccato a un tubo, in balia degli altri. In un altro caso Eluana andò in chiesa per domandare una grazia affinché un suo amico andato in coma morisse presto, e non perché guarisse! Questa però è una mentalità diffusissima specie nei più giovani. E parlo per esperienza diretta: molto spesso chi è in carrozzina, impossibilitato a muoversi, dipendente completamente dagli altri, è sempre compianto, poche volte aiutato a farsi una vita normale. Meglio morire prima. Qui forse c’è una cultura della morte.
Ma questo di solito si dice quando si gode di grande salute. È difficile sentirsi autorizzati a staccare la spina per atteggiamenti pregressi che indicherebbero una precisa volontà di Eluana. Su questo aspetto la sentenza è abbastanza arbitraria.
Rimaniamo nel dramma che non può essere risolto da nessuno se non dai protagonisti. Occorre decidere caso per caso. Una legge per quanto perfetta e valida per tutti non servirà in questi casi. Il padre di Eluana si prende la responsabilità di questo gesto terribile ed estremo: tutti sanno, nessuno dubita che lui agisca per amore della figlia, lasciamo quindi a lui la decisione. Inutile tirare in ballo la sacralità della vita, la libertà di scelta, il testamento biologico, la religione e il diritto di morire. Lasciamo la decisione ai protagonisti. E facciamo un po’ di silenzio.

Piergiorgio Cattani

www.piergiorgiocattani.it

Articolo tratto da:

FORUM (103) Koinonia

http://www.koinonia-online.it
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Giovedì, 24 luglio 2008