Libertà e tolleranza valori incompatibili?

di Peter Schiesser (“Azione”, Lugano, 27 maggio 2008)

Avrà avuto tanti difetti, lo spirito di concordanza che ha permeato la politica svizzera fino a ieri – la lentezza dei processi decisionali, la maniacale ricerca di quel compromesso che non scontenta nessuno al prezzo di non soddisfare quasi nessuno, il senso di noia (per lo spettatore, per i giornalisti) per qualcosa percepito, anche erroneamente, come statico – ma è stato interprete fedele delle caratteristiche elvetiche su cui è stato costruito un Paese invidiato da molti altri: la tolleranza, che nasce dal rispetto degli avversari, e la capacità di dialogare, nella consapevolezza di avere bisogno gli uni degli altri, per esistere. A dire il vero, la Svizzera si regge da tempo anche su altri capisaldi: la libertà e l’indipendenza, da cui derivano i poteri popolari e la neutralità – caratteristiche di cui si fa militante difensore l’Unione democratica di centro.
La questione, ora, è di sapere verso quale destino ci avviamo se separiamo certi principi da altri, la libertà dalla tolleranza, il dialogo dai poteri popolari. La prossima espulsione dell’Udc grigionese, dettata dai vertici nazionali per cacciare dal partito Eveline Widmer-Schlumpf, ce ne dà la misura: s’intravede in ciò il prepotente desiderio di un ordinamento, di un sistema in cui il dialogo e la tolleranza contano meno del volere (e del potere) di chi ne sta a capo. Non sorprende quindi che la consigliera federale grigionese sia stata «condannata per tradimento» dal partito unicamente sulla base di un documentario della televisione Drs che insinuava (ma senza prove!) un accordo di EvelineWidmer-Schlumpf con i socialisti e i democristiani per scalzare Christoph Blocher; tanto meno sorprende che la signora Widmer-Schlumpf non sia mai stata convocata dai vertici del partito per spiegare la sua versione dei fatti. Che quasi tutte le sezioni cantonali abbiano a larghissima maggioranza approvato la sua espulsione in queste circostanze conferma purtroppo che non solo la fedeltà ai capi deve essere assoluta, ma che sono i capi stessi a stabilire in modo indiscutibile chi sia degno di essere considerato fedele. Idem per il termine «libertà», di cui la consigliera federale non ha potuto usufruire, per smentire l’accusa di tradimento.
Che cosa dobbiamo dunque aspettarci, per il futuro del nostro Paese, da un’importante forza politica che interpreta taluni valori profondamente elvetici in senso esclusivo anziché inclusivo? La forza dell’Udc sta nella capacità di convincere gli elettori che la causa dei problemi della Svizzera sta in qualcun o qualcos’altro – è la spesso vincente tattica del capro espiatorio: gli stranieri, i finti invalidi, i fannulloni, la sinistra, l’Europa e gli europeisti… Secondo l’Udc, la soluzione dei problemi e la garanzia della nostra libertà devono per forza passare attraverso l’esclusione di un determinato gruppo di persone. Il problema è che l’Udc è convinta – e lo dichiara – di essere ormai l’unica degna interprete di ciò che è profondamente svizzero: questo significa che chi non la pensa allo stesso modo non viene né ascoltato né tollerato. Come si fa a mantenere unito in questo modo un Paese fatto di tante minoranze (linguistiche, politiche, culturali)? E poi, chi ha il diritto di definire in modo assoluto che cosa è «svizzero» e che cosa no? Queste sono le domande cui dovremo rispondere prima o poi.



Sabato, 07 giugno 2008