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Conseguenze sull’Africa della tratta negriera

di Louise Marie Diop-Maes*
(traduzione dal francese di José F. Padova)

La tratta dei negri ha avuto importanti conseguenze sul Continente nero, tanto sulla sua demografia quanto sulle sue strutture e sul suo sviluppo economico. Il presente ne porta le tracce.


* Louise Marie Diop-Maes, Docteure d’Etat [ndt.: il più alto dei 4 gradi di dottorato francesi] in Geografia umana, autrice di “Africa nera, demografia, suolo e storia, Presenza africana”, Ed. Khepera, Dakar-Paris, 1996.

Da Le Monde Diplomatique, novembre 2007

Nel XVI secolo in gran parte delle regioni dell’Africa subsahariana esistevano città rimarchevoli per l’epoca (da sessantamila a centoquarantamila abitanti o più), grandi villaggi (da mille a duemila abitanti), sovente nell’ambito di regni e imperi organizzati molto bene, e anche territori con un habitat disperso ma denso. Questo rivelano le vestigia e gli scavi archeologici e anche le fonti scritte, tanto straniere (arabe ed europee, anteriori alla metà del XVII secolo) come interne (cronache autoctone redatte in arabo, lingua della religione, come lo era il latino in Europa). Agricoltura, allevamento, caccia, pesca, artigianato molto diversificato (metallurgia, tessitura, ceramica, ecc.), navigazione fluviale e lacustre, commercio a medio e largo raggio, con monete particolari, erano molto sviluppati e attivi.

Il livello intellettuale e spirituale era analogo a quello dell’Africa del Nord nella stessa epoca. Il grande viaggiatore arabo del XIV secolo, Ibn Battuta, loda la sicurezza e la giustizia che si trovano nell’Impero del Mali. Prima dell’impiego delle armi da fuoco la tratta negriera da parte degli arabi era rimasta marginale rispetto all’attività economica e al volume della popolazione. Leone l’Africano (all’inizio del XVI secolo) ricorda che il re del Bornou (regione del Ciad) organizza solamente una volta all’anno la spedizione per catturare schiavi (1).

A partire dal XVI secolo la situazione si aggrava in misura straordinaria. I portoghesi penetrano nel Congo e, a sud della foce del fiume, conquistano l’Angola, attaccano i principali porti della costa orientale e li mandano in rovina, penetrano nell’attuale Mozambico. I marocchini attaccano l’impero Songhai, che resiste per nove anni. Gli aggressori dispongono di armi da fuoco, mentre i sub sahariani non ne hanno. Migliaia d’abitanti sono uccisi o catturati e ridotti in schiavitù. I vincitori s’impadroniscono di tutto: persone, animali, provviste, beni preziosi…

Regni e imperi sono smembrati, sminuzzati in principati spinti sempre più a farsi guerra allo scopo di procurarsi prigionieri che potranno essere scambiati, in particolari contro fucili, indispensabili per difendersi e attaccare. Ne conseguono spostamenti d’intere popolazioni, che provocano nuovi scontri, concentramenti in luoghi di rifugio, propagazione di uno stato di guerra latente fino nel cuore del Continente. Le razzie si moltiplicarono fino a raggiungere il numero di un’ottantina ogni anno all’inizio del XIX secolo, nel nordest del Centro Africa, secondo il letterato tunisino Mohammed El-Tounsy, che in quell’epoca viaggiò nel Darfur e nell’Ouddai (l’attuale Ciad) (2). La percentuale di prigionieri in rapporto all’insieme della popolazione aumenta quindi continuamente fra il XVII e la fine del XIX secolo e «distretti un tempo densamente popolati furono riconquistati dalla savana» o dalla foresta (3).

Una categoria sociale criminale

Tutto il tessuto socio-economico e politico-amministrativo che vi si era costituito venne progressivamente sconvolto e poi mandato in rovina. Le genti furono sovente ridotte all’autosostentamento in località difendibili, difficili da coltivare e da alimentare con l’acqua. Un enorme regresso in tutti i campi. La sorte dei prigionieri peggiorò. Fece la sua comparsa una nuova classe o categoria sociale criminale: quella dei sensali, dei guarda ciurma carovanieri, degli interpreti intermediari, dei fornitori di viveri… i «collaborazionisti» dell’epoca. Alcuni principi tentarono invano di opporsi a questo crescente commercio di esseri umani. Ma il re del Portogallo rispose negativamente alle lettere di protesta del re del Congo, Alfonso, che pure si era convertito al cristianesimo. Uno dei suoi successori fu ridotto al silenzio a mano armata. Lo stesso in Angola. La colonia francese in Senegal rifornì di armi i Mori perché attaccassero il damel [ndt.: carica equivalente a capo di Stato] (4), che rifiutava il passaggio delle carovane di schiavi [ndt.: vedi http://africamaat.com/article.php3?id_article=58&var_recherche=traite]. Fu quindi proprio l’impulso proveniente dall’esterno che provocò grande estensione e proliferazione della riduzione in schiavitù nell’Africa Nera.

All’inizio i re consegnavano soltanto i condannati a morte. Ma i portoghesi volevano quantitativi rilevanti, che si presero da sé attaccando senza altra motivazione. A partire dal 1575-1580 Dias Novais, primo governatore dell’Angola, spediva gli schiavi in ragione di dodicimila all’anno in media (5). Si tratta del doppio, a partire dalla sola Angola, di tutta la tratta trans sahariana della stessa epoca, se ci si riferisce, per esempio, alle cifre calcolate dallo storico americano Ralph Austen.

Nel secolo XVII e soprattutto nel XVIII la maggior parte degli armatori europei si dedica a questa tratta che rende moltissimo, soprattutto gli olandesi, gli inglesi e i francesi. Nella seconda metà del XVIII secolo si raggiungono quantità enormi: salvo nel periodo delle guerre franco-inglesi centinaia e centinaia di navi imbarcano da centocinquantamila a centonovantamila schiavi ogni anno (6). L’insicurezza crescente e generalizzata nella maggior parte delle regioni moltiplicò le carestie, le miserie, le malattie locali e ancor più le malattie importate, in particolare il vaiolo. Si impiantarono malattie endemiche e fiorirono le epidemie.

Razzie e guerre intestine

Occorre quindi aggiungere tutti quelli che sono morti durante gli attacchi, i trasferimenti dall’interno verso i punti di partenza e nei depositi; i suicidi e i rivoltosi uccisi al momento dell’imbarco, i morti imputabili al moltiplicarsi delle razzie e delle guerre intestine generate dagli spostamenti delle entità politiche, dalla fuga delle popolazioni, dall’accresciuta volontà di fare comunque prigionieri; i morti di fame (raccolti e riserve essendo stati saccheggiati) e per malattie di ogni genere; i morti dovuti all’introduzione delle armi da fuoco e degli alcolici adulterati, alla regressione dell’igiene e della sapienza acquisita…, tutti morti ai quali aggiungere gli schiavi e le schiave strappati al sub-continente. Si constata che questo disavanzo demografico supera largamente il numero delle nascite vitali, anch’esso forzatamente in diminuzione. E bisognerebbe ancora tenere conto dei «nati mancati». Come durante la Guerra dei Cent’anni, che fece perdere alla Francia la metà della sua popolazione,la diminuzione avviene in modo irregolare e diverso a seconda delle regioni e si accentua fortemente a partire dalla fine del XVII secolo. Dalla metà del XVIII la diminuzione complessiva fu massiccia e rapida.

È possibile calcolare questa diminuzione? Per misurare gli effetti demografici della Guerra dei Cent’anni in Francia si è paragonato il numero dei «fuochi accesi» (vale a dire delle case abitate) esistenti prima di questa guerra a quelli conteggiati in seguito. Certamente, non più che in India, qui non sono a disposizione i registri di battesimo, ma si sa, secondo quanto riferito dai viaggiatori e dagli esploratori del XIX secolo, che in Africa occidentale gli agglomerati abitativi più grandi non avevano più di trenta o quarantamila abitanti e quindi erano circa quattro volte meno importanti delle più grandi città del XVI secolo.

Secondo le medesime testimonianze, si può osservare che la differenza era ancora più grande per la popolazione rurale o per il numero dei combattenti che un principe o un capo guerriero poteva mettere in campo. Il rapporto approssimativo di quattro a uno, osservato in Africa occidentale, è rappresentativo della diminuzione dell’insieme della popolazione dell’Africa Nera fra il XVI e il XIX secolo? Dal Capo delle Palme (7) [ndt.: nell’attuale Liberia] fino al sud dell’Angola le perdite furono ancora più elevate. Gwato, il porto del Benin (attuale Nigeria), contava duemila fuochi al momento dell’arrivo dei portoghesi e non ne aveva più di venti o trenta quando vi giunsero gli esploratori del XIX secolo (8). Lo storico americano William G. Randles dimostra che la popolazione dell’Angola era stata ugualmente ridotta in proporzione molto elevata (9). D’altro canto, le regioni del Ciad sono rimaste molto bene popolate fino verso il 1890 (villaggi di tremila abitanti nel 1878).

Nell’attuale Sudan lo spopolamento comincia con la dominazione schiavista del pascià d’Egitto Mehemet-Ali, nel 1820. in Africa orientale gli altopiani, come il Ruanda e il Burundi, restano densamente popolati, circa cento abitanti per chilometro quadrato, contrariamente a quanto accadeva nella regione del lago Malawi (ex lago Niassa). In Africa del sud, a partire dalla prima metà del XIX secolo, all’azione dei Boeri (10) di decimazione delle popolazioni autoctone si aggiunge quella degli inglesi. Nell’insieme sembra ragionevole considerare che la popolazione dell’Africa Nera nel XIX secolo fosse da tre a quattro volte inferiore a quella del XVI.

Ma è possibile valutare la consistenza demografica dell’Africa Nera verso la metà del XIX secolo? La conquista coloniale (artiglieria contro fucili), il lavoro forzato multiforme e generalizzato, la repressione di numerose rivolte, la sottoalimentazione, le diverse malattie locali e, ancora, le malattie importate e la continuazione della tratta orientale hanno ridotto ancor più la popolazione che restava, nella misura di un terzo, fino al 1930. da questa data, misure amministrative e sanitarie hanno avviato la ripresa demografica che si è realizzata molto progressivamente.

Questa valutazione è stata possibile perché, con la presenza europea all’interno dei territori, certe indicazioni statistiche si sono aggiunte alle fonti narrative (11). Nel 1948-1949 in tutta l’Africa sub sahariana è stato effettuato un censimento generale e coordinato. Dopo le correzioni per difetto di rilevazioni, la popolazione è stata valutata fra centoquaranta e centoquarantacinque milioni di persone, approssimativamente. Tenuto conto dell’accrescimento registrato fra il 1930 e il 1948/49, si può stimare che nel 1930 la popolazione ammontava a 130/135 milioni d’individui, che quindi rappresentano i due terzi della popolazione approssimativa degli anni 1870-1890, valutata così in circa duecento milioni. Se ne conclude che nel XVI secolo la popolazione era dell’ordine di seicento milioni almeno (con una media di circa trenta abitanti per chilometro quadrato), secondo i risultati delle mie ricerche. Le vecchie cifre di trenta fino a cento milioni erano totalmente immaginarie, come lo dimostra Daniel Noin, ec presidente della Commissione popolazione dell’Unione geografica internazionale (12).

Insicurezza permanente e crescente

Fra la metà del XVI e la metà del XIX secolo la popolazione sub sahariana si è quindi ridotta di circa quattrocento milioni. Su questo totale, la percentuale di coloro che furono deportati, partendo dalle coste e dal Sahel, non può essere definita, a causa della rilevanza degli imbrogli e del numero molto elevato di clandestini, sia prima che dopo il divieto della tratta. Diverse fonti e ricerche portano ad aumentare di più del 50% le cifre ufficiali per quanto riguarda la tratta europea (13). Anche le stime della tratta araba sono altrettanto aleatorie. Per dare un ordine di grandezza possiamo dire che il numero, per le due tratte sommate assieme, deve porsi fra venticinque e quaranta milioni. Queste cifre sono ancora molto discusse, ma è certo che le valutazioni poco approfondite non tengono conto dell’enormità delle dissimulazioni. Per lo meno i nove decimi delle perdite totali si sono prodotte nell’Africa stessa, ciò che si spiega con la straordinaria durata di una grave insicurezza permanente e crescente sull’insieme del territorio, per il cumulo degli effetti distruttivi, diretti e indiretti, delle due tratte simultanee e sempre più violente.

Una Guerra dei Cent’anni che è durata trecento anni, con le armi della Guerra dei Trent’anni e poi dei secoli che seguirono. La conquista e l’occupazione coloniale, così agevolate, hanno incrostato l’estroversione, tanto culturale che economica, e reso particolarmente problematica la ristrutturazione dell’insieme sub sahariano e di ognuna delle sue regioni. Solamente una decina di anni fa l’Africa Nera ha riguadagnato il livello di popolamento che essa aveva nel XVI secolo, ma in modo molto squilibrato per la congestione umana nelle capitali e grandi città.

Le conseguenze delle tratte negriere sono pesanti e perniciose, ma molti non ne misurano l’importanza.

(1) Léon I’Africain, Description de l’Afrique, J. Maisonneuve, Paris, 1981.

(2) Pierre Kalck, Histoire de la République centrafricaine, Berger-Levrault, Paris, 1995.

(3) Charles Becker, « Les effets démographiques de la traite des esclaves en Sénégambie », dans De la traite à 1’esclavage, actes du Colloque de Nantes, tome II, Centre de recherche sur l’histoire du monde atlantique (CRHMA) et Société française d’histoire d’outre-mer (SFHOM), Nantes-Paris, 1988.

(4) Titolo attribuito ai sovrani tradizionali del regno di Cayor (Sénégal).

(5) William G. Randles, « De la traite 8 la colonisation. Les Portugais en Angola », dans Annales Economie Société Civilisal’tion (ESC), 1969, p. 289-305.

(6) Idem.

(7) Sull’attuale frontiera fra la Costa d’Avorio e la Liberia.

(8) Duarte Pacheco Pereira, Esmeraldo de situ orbis, Centre d’études de Guinée portugaise, Mémoire n° 19, Bissau, 1956.

(9) Williams Randles, op. cit.

(10) Colonizzatori olandesi.

(11) Daniel Noin, La Population de I’Afrique subsaharienne, Editions Unesco, 1999, p. 21 et 23.

(12) Idem.

(13) Charles Becker, op. cit.

Testo originale (non corretto dopo la scannerizzazione):

Conséquences sur l’Afrique

La traite a eu des conséquences considérables sur le continent noir, tant en ce qui concerne sa démographie que ses structures et son développement économiques. Le présent en porte les traces.

Par Louise Marie Diop-Maes, Docteure d’Etat en géographie humaine, auteure d’Afrique noire, démographie, sol et histoire, Présence africaine - Khepera, Dakar-Paris, 1996.

Au XVIe siècle, dans la plupart des régions d’Afrique subsaharienne, il existait des villes considérables pour l’époque (soixante mille à cent quarante mille habitants ou plus), de gros villages (mille à dix mille habitants), souvent dans le cadre de royaumes et d’empires remarquablement organisés, et aussi des territoires à habitat dispersé dense. C’est ce que révèlent les vestiges et les fouilles archéologiques ainsi que les sources écrites, tant externes (arabes et européennes, antérieures au milieu du XVIIe siècle) qu’internes (chroniques autochtones rédigées en arabe, langue de la religion comme le latin en Europe). L’agriculture, l’élevage, la chasse, la pêche, un artisanat très diversifié (métallurgie, textile, céramique, etc.), la navigation fluviale et lacustre, le commerce proche et lointain, avec monnaies spécifiques, étaient très développés et actifs.

Le niveau intellectuel et spirituel était analogue à celui de l’Afrique du Nord à la même époque. Le grand voyageur arabe du XIVe siècle, lbn Battuta, loue la sécurité et la justice qu’on trouve dans l’empire du Mali. Avant l’utilisation des armes à feu, la traite arabe était restée marginale par rapport à l’activité économique et au volume de la population. Léon L’Africain (début du XVle siècle) mentionne que le roi du Bornou (région tchadienne) ne monte une expédition pour capturer des esclaves qu’une fois par an (1).

A partir du XVIe siècle, la situation s’aggrava singulièrement. Les Portugais pénètrent le Congo, au sud de l’embouchure, ils conquièrent l’Angola, attaquent les principaux ports de la cote orientale et les ruinent, pénètrent dans l’actuel Mozambique. Les Marocains attaquent l’Empire songhai, qui résiste pendant neuf ans. Les agresseurs disposent d’armes à feu, alors que les Subsahariens n’en ont pas. Des milliers d’habitants sont tués ou capturés et réduits en esclavage. Les vainqueurs s’emparent de tout : hommes, animaux, provisions, objets précieux...

Royaumes et empires sont disloqués, émiettés en principautés amenées à se faire la guerre de plus en plus souvent afin d’avoir des prisonniers qui pourront être échangés, notamment contre des fusils, indispensables pour se défendre et pour attaquer. Il en résulte des déplacements de populations provoquant de nouveaux heurts, des regroupements dans des sites refuges, la propagation d’un état de guerre latent jusqu’au cœur du continent. Les razzias se multiplièrent au point d’atteindre le chiffre de quatre-vingts par an, au début du XlXe siècle, au nord-est de la Centrafrique, d’après le lettré tunisien Mohammed El-Tounsy, qui voyageait au Darfour et en Ouaddài (actuel Tchad) à cette époque (2). Le pourcentage des captifs par rapport à l’ensemble de la population s’accroit donc continuellement entre le XVll’ siècle et la fin du XIXe, et des «districts autrefois densément peuplés furent reconquis par la brousse » ou la forêt (3).

Une catégorie sociale malfaisante

Tout le tissu socio-économique et politico-administratif qui s’était constitué fut progressivement perverti puis ruiné. Les gens furent souvent réduits à l’autosubsistance dans des sites de défense difficiles à cultiver et à alimenter en eau. Une régression énorme dans tous les domaines. Le sort des captifs empira. Une nouvelle classe ou catégorie sociale malfaisante apparut : celle des courtiers, des gardes-chiourmes caravaniers, des interprètes intermédiaires, des avitailleurs... les «collabos » de l’époque. Certains princes essayèrent en vain de s’opposer à ce commerce grandissant des étres humains. Mais le roi du Portugal répondit négativement aux lettres de protestation du roi du Congo, Alfonso, pourtant converti au christianisme. L’un des successeurs de ce dernier fut réduit au silence par les armes. De méme en Angola. Le comptoir francais au Sénégal fournit des armes aux Maures pour qu’ils attaquent le damel (4), qui refusait le passage des caravanes d’esclaves. C’est donc bien la sollicitation extérieure qui provoqua une grande extension et la prolifération de l’esclavage en Afrique noire.

Au départ, les rois livraient seulement les condamnés à mort. Mais les Portugais voulurent des effectifs importants, qu’ils prirent eux-mémes en attaquant sans autre motif. Dès 1575-1580, Dias Novais, premier gouverneur de l’Angola, expédiait les captifs à raison de douze mille par an en moyenne (5). C’est deux fois plus, à partir du seul Angola, que toute la traite transsaharienne à la même époque si l’on se réfère, par exemple, aux chiffres retenus par l’historien américain Ralph Austen.

Au XVIL’ siècle et surtout au XVIIL’, la plupart des armateurs européens s’adonnent à cette traite qui rapporte gros, principalement les Hollandais, les Anglais et les Français. Dans la seconde moitié du XVIIIe siècle, des chiffres énormes sont atteints (lire l’article de Marcel Dorigny page 11) : sauf dans les années de guerres franco-anglaises, des centaines et des centaines de navires embarquent cent cinquante mille à cent quatre-vingt-dix mille captifs par an selon les années (6). L’insécurité croissante et généralisée dans la plupart des régions multiplia les disettes, les famines, les maladies locales et plus encore les maladies importées, particulièrement la variole. Les endémies s’installèrent et les épidémies fleurirent.

Razzias et guerres intestines

Il y a donc lieu d’additionner tous ceux qui sont morts lors des attaques, pendant les transferts de l’intérieur vers les points de départ et dans les entrepôts ; les suicidés et les révoltés tués au moment de l’embarquement ; les morts imputables à la multiplication des razzias et des guerres intestines engendrées par la dislocation des entités politiques, par la fuite des populations, par la volonté accrue de faire des prisonniers ; les morts de faim (récoltes et réserves ayant été pillées) et de maladies de toutes sortes ; les morts dus à l’introduction des armes à feu et des alcools frelatés, à la régression de l’hygiène et des savoirs acquis..., tous ces morts auxquels s’ajoutent les captifs et captives arrachés au sous-continent. On voit que ce déficit démographique dépasse largement le nombre des naissances viables, lui-méme forl’cément en diminution. Et il faul’drait encore tenir compte des « manques à naitre ». Comme pendant la guerre de Cent Ans, qui fit perdre à la France la moitié de sa population, la diminution s’est faite de fa4on irrégulière et différemment selon les régions. Elle s’est fortement accentuée à partir de la fin du XVlle siècle. Dès le milieu du XVIII’, la diminul’tion globale fut massive et rapide.

Est-il possible d’évaluer cette diminution ? Pour mesurer les effets démographiques de la guerre de Cent Ans en France, on a comparé le nombre de «feux allumants» (c’est-à-dire de maisons habitées) existant avant cette guerre au nombre de ceux comptabilisés après. Certes, pas plus qu’en Inde, on ne dispose ici de registre de baptémes, mais on sait, d’après les voyageurs et explorateurs du XIXe siècle, qu’en Afrique occidentale les plus grandes agglomérations n’avaient plus que trente mille à quarante mille habitants. Elles étaient donc environ quatre fois moins importantes que les plus grandes villes du XVL’ siècle.

D’après les mémes témoignages, on peut observer que la différence était encore plus grande pour la population rurale ou pour le nombre de combattants qu’un prince ou un chef de guerre pouvait aligner. Le rapport approximatif de quatre à un, observé en Afrique occidentale, est-il représentatif de la diminution de l’ensemble de la population de L’Afrique noire entre le XVle et le XIXe siècle ? Du cap des Palmes (7) au sud de l’Angola, les pertes furent plus élevées encore. Gwato, le port du royaume de Bénin (actuel Nigeria), comptait deux mille feux lors de L’arrivée des Portugais et n’en avait plus que vingt à trente quand les explorateurs du XIXe y surgirent (8). L’historien américain William G. Randles montre que la population de l’Angola avait également été réduite dans de très grandes proportions (9). En revanche, les régions du Tchad sont restées assez bien peuplées jusque vers 1890 (villages de trois mille habitants en 1878).

Dans le Soudan actuel le dépeuplement commence avec la domination esclavagiste du pacha d’Egypte Méhémet-Ali, en 1820. En Afrique orientale, les hauts plateaux, comme au Rwanda et au Burundi, restent densément peuplés, environ cent habitants au kilomètre carré, contrairement à ce qu’il en était dans la région du lac Malawi (ex-lac Nyassa). En Afrique du Sud, dès la première moitié du XIXe siècle, l’action des Anglais s’ajoute à celle des Boers (IO) pour décimer les peuples autochtones. Dans l’ensemble, il parait raisonnable de considérer que la population d’Afrique noire était, au XIXe siècle, trois à quatre fois moindre qu’au XVL’.

Mais peut-on connaître L’importance de la population d’Afrique noire vers le milieu du XIXe siècle ? La conquéte coloniale (artillerie contre fusils de traite), le travail forcé multiforme et généralisé, la répression des nombreuses révoltes, la sous-alimentation, les diverses maladies locales et, de nouveau, les mala-dies importées et la continuation de la traite orientale ont encore réduit la population qui restait d’environ un tiers, jusqu’en 1930. A cette date, des mesures administratives et sanitaires ont amorcé le redressement démographique qui s’est réalisé très progressivement.

Cette évaluation a été possible car, avec la présence européenne à l’intérieur des territoires, certaines indications statistiques se sont ajoutées aux sources narratives (I I). En 1948-1949, un recensement général et coordonné a été effectué dans toute L’Afrique subsaharienne. Après correction pour défaut de déclaration, la population a été évaluée entre cent quarante et cent quarante cinq millions de personnes, approximativement. Compte tenu de L’accroissement enregistré entre 1930 et 1948-1949, on peut estimer qu’en 1930 la population se chiffrait entre cent trente et cent trentecinq millions d’individus, lesquels représentent donc les deux tiers de la population approximative des années 1870-1890, évaluée ainsi à environ deux cents millions. On en conclut que la population était au XVle siècle de L’ordre de six cents millions au moins (soit une moyenne d’environ trente habitants au kilomètre carré) selon le résultat de mes recherches. Les chiffres anciens de trente à cent millions étaient totalement imaginaires, ainsi que l’a montré Daniel Noin, ex-président de la commission population de l’Union géographique internationale (I 2).

Insécurité permanente et croissante

Entre le milieu du XVle siècle et le milieu du XIXe siècle, la population subsaharienne s’est donc réduite de quelque quatre cents millions. Sur ce total, le pourcentage de ceux qui ont été déportés, à partir des cótes et du Sahel, est impossible à préciser en raison de l’importance des fraudes et du nombre très élevé de clandestins, avant et après L’interdiction de la traite. Diverses sources et recherches conduisent à augmenter de plus de 50 % les chiffres officiels pour ce qui est de la traite européenne (13). Les évaluations de la traite arabe sont aussi aléatoires. Pour donner un ordre de grandeur, disons que le chiffre, pour les deux traites additionnées, doit se situer entre vingtcinq et quarante millions. Il reste encore très discuté, mais il est certain que les faibles évaluations ne tiennent pas compte de l’énormité des dissimulations. Les neuf dixièmes des pertes totales, au moins, se sont produites en Afrique méme, ce qui s’explique par l’extraordinaire durée d’une grave insécurité permanente et croissante sur l’ensemble du territoire, du fait du cumul des effets destructeurs, directs et indirects, des deux traites simultanées de plus en plus intensives.

Une guerre de Cent Ans qui a duré trois cents ans, avec les armes de la guerre de Trente Ans puis des siècles suivants. La conquéte et l’occupation coloniale, ainsi facilitées, ont incrusté l’extraversion, tant culturelle qu’économique, et rendu particulièrement problématique la restructuration de l’ensemble subsaharien et de chacune de ses régions. Il n’y a qu’une dizaine d’années que L’Afrique noire a recouvré le niveau de population qu’elle avait au XVL’ siècle, mais de façon très déséquilibrée par la congestion des capitales.

Les conséquences des traites sont lourdes et pernicieuses, mais beaucoup n’en mesurent pas l’importance.

 (1) Léon I’Africain, Description de l’Afrique, J. Maisonneuve, Paris, 1981.

(2) Pierre Kalck, Histoire de la Répul’blique centrafricaine, Berger-Levrault, Paris, 1995.

(3) Charles Becker, « Les effets démol’graphiques de la traite des esclaves en Sénél’gambie », dans De la traile à 1’esclavage, actes du Colloque de Nantes, tome II, Centre de recherche sur l’histoire du monde atlantique (CRHMA) et Société frangaise d’histoire d’outre-mer (SFHOM), Nantes-Paris, 1988.

(4) Titre donné aux souverains traditionl’nels du royaume de Cayor (Sénégal).

(5) William G. Randles, « De la traite 8 la colonisation. Les Portugais en Angola », dans Annales Economie Société Civilisal’tion (ESC), 1969, p. 289-305.

(6) Idem.

(7) Sur l’actuelle frontiere entre la C&te d’Ivoire et le Liberia.

(8) Duarte Pacheco Pereira, Esmeraldo de situ orbis, Centre d’études de Guinée portugaise, Mémoire n° 19, Bissau, 1956.

(9) Williams Randles, op. cit. (I O) Colonisateurs hollandais.

(11) Daniel Noin, La Population de I’Afrique subsaharienne, Editions Unesco, 1999, p. 21 et 23.

(12) Idem.

(13) Charles Becker, op. cit.



Lunedì, 10 dicembre 2007